Il Ministro Sangiuliano vs il cavaliere Don Chisciotte

Il Ministro della Cultura Sangiuliano li avrà letti i cinque libri finalisti del premio Strega? Ce lo chiediamo dopo aver ascoltato il suo intervento durante la serata finale: “Ho ascoltato le storie che sono espresse in questi libri finalisti questa sera e sono storie che ti prendono e ti fanno riflettere. Ecco, proverò a leggerli”. A quel punto una basita Geppi Cucciari gli ha chiesto:”Ah, non li ha letti?”. Il ministro ha replicato che li aveva letti perché li aveva votati, ma che li avrebbe voluti approfondire. Beh, comunque siano andate le cose, prima di giudicarli, leggiamoli i libri. È vero che a causa della vita frenetica è sempre più difficile trovare del tempo da dedicare alla lettura, però è anche una questione di scelte. Per dire, prendiamo il cavaliere Don Chisciotte. Cervantes ci racconta che era un lettore così appassionato che si dimenticava di andare a caccia o di amministrare il suo patrimonio. Non solo, era arrivato persino a vendere dei terreni, pur di possedere i libri che tanto amava.

L'età del nostro nobiluomo rasentava i cinquanta anni: robusto, segaligno, di viso asciutto, molto mattiniero e amante della caccia. Vogliono dire che avesse il soprannome di Chisciada o Chesada, giacché quanto a ciò v'è qualche disparità fra gli autori che ne scrivono; sebbene per verosimili congetture si lascia capire che si chiamava Chesciana. Ma questo poco importa per la nostra storia: basta che, narrando, non ci si sposti un punto dal vero. È, pertanto, da sapere che il suddetto nobiluomo, nei momenti d'ozio (che erano la maggior parte dell'anno) si dava a leggere libri di cavalleria con tanta passione e diletto da dimenticare quasi del tutto lo svago della caccia e anche l'amministrazione del suo patrimonio. E, a tanto arrivò, in questo, la sua smania e aberrazione che vendette molte staia di terreno seminativo per comprare libri di cavalleria da leggere, sì che ne portò a casa tanti quanti ne poté avere; ma fra tutti nessuno gli pareva così bello come quelli che compose il famoso Feliciano de Silva, perché la limpidezza di quella sua prosa, e quei suoi discorsi intricati gli parevano maraviglie, specialmente quando arrivava a leggere quelle proteste d'amore e lettere di sfida, in molti luoghi delle quali trovava scritto: «La ragione del torto che si fa alla ragion mia, siffattamente fiacca la mia ragione che a ragione mi lagno della vostra beltà». E anche quando leggeva «....gli alti cieli che in un con le stelle divinamente con la vostra divinità vi fortificano e vi fanno meritiera del merto che merita la vostra grandezza». Con questi discorsi il povero cavaliere perdeva il giudizio. Pur s'ingegnava d'intenderli e sviscerarne il senso che non l'avrebbe cavato fuori né l'avrebbe capito lo stesso Aristotile se fosse resuscitato solo a questo scopo.