Acqua di Cittadinanza

Come ormai è noto a tutti gli italiani, nell'ultimo anno le piogge non sono state nostre amiche. Se al nord la siccità ha compromesso i raccolti durante la stagione estiva, al centro e al sud le alluvioni continuano a devastare piccoli paesi indifesi. Sta diventando ovvio, spero anche alla Protezione Civile e alle varie amministrazioni comunali e provinciali, che le strategie di adattamento sono ora più che mai cruciali.

Ma la domanda di questo blog è: avremo ancora acqua da bere fra cinque, dieci anni?

Sapete che non sono un climatologo né un geologo; loro potrebbero dirvi con più accuratezza i livelli di precipitazioni necessari o le possibilità delle falde acquifere. Il mio scopo è quello di immaginare cosa potrebbe succedere in un futuro sempre più probabile, non di fare previsioni accurate.

In parallelo, la crisi energetica imperversa. Complice un governo indifferente, gli ostacoli burocratici alle rinnovabili e la perversa insistenza nell'aprire nuovi stabilimenti per gas e petrolio, saremo sempre più ancorati a una produzione energetica centralizzata e dipendente da un complesso sistema di aziende ed enti statali. Al momento gran parte di queste aziende sono sovvenzionate dallo stato, perché lo stato ha tutto l'interesse a garantire che i cittadini abbiano accesso all'energia elettrica. Gli extraprofitti di cui tanto si parla non sono solamente dovuti alle bollette e ai contratti futuri, ma in parte anche alle sovvenzioni statali di cui queste aziende approfittano.

Ma la transizione energetica sta avvenendo, se non in Italia, almeno in Europa e nel resto del mondo, a una velocità sempre crescente. In favore di parchi eolici e solari, le centrali termoelettriche chiudono una dopo l'altra, investimenti che non si vedono realizzati e rimangono in veste di ciminiere ed ecomostri sui nostri panorami. Le aziende fossili sanno molto bene che hanno le ore contate.

Eppure, da un punto di vista puramente economico, a queste aziende non interessa necessariamente vendere carburanti fossili. IREN, A2A, Edison, ENEL o chi per loro hanno interesse a raccogliere profitti, non importa da dove o come questi arrivino. Usare i combustibili fossili è stato solo il modo più efficiente per realizzare questi profitti, perché la domanda di energia era alta.

Dunque, in un paese in cui la domanda di energia si rivolgerà a fonti rinnovabili intaccando i profitti dei fossili, come può un'azienda energetica continuare a raccogliere profitti?

Riesco a immaginare tre modi. Il primo è il peggiore: non cambiare nulla e vivere di rendita con le sovvenzioni statali. Ma anche questo non ha lunga vita, poiché queste sovvenzioni prima o poi si sposteranno verso le rinnovabili. Il secondo è invece il più ovvio, ovvero passare a una produzione energetica rinnovabile. Ma il terzo è più insidioso: vendendo qualcos'altro, la cui domanda è o sarà in crescita.

Vendendo acqua.

Contemporaneamente lo stato italiano sovvenzionerà queste iniziative per garantire che i cittadini abbiano accesso all'acqua, così come sta già facendo con l'energia elettrica. Le varie aziende energetiche potrebbero dunque convertire i propri stabilimenti inutilizzati in desalinatori per estrarre e distribuire acqua potabile.

Problema siccità risolto, dunque?

Eppure questa non è una soluzione; non ci libera dal problema ma anzi ci rende dipendenti da esso, mentre queste aziende in realtà approfittano di queste carenze per garantire i propri profitti.

E se vi sembra complottista o fantascientifico immaginare uno scenario simile per l'acqua, sottolineo di nuovo che questo meccanismo è già all'opera per l'energia elettrica e in parte anche per gli ospedali, le scuole, le connessioni telefoniche e a internet. Ogni bene potenzialmente pubblico può essere reso preda di queste aziende; è questo il risultato dei tagli all'istruzione e alla sanità.

Non sarà solo una carenza d'acqua ma una carenza di indipendenza.