Basta “worldbuilding”. E' il momento della cosmopoiesi.
Il worldbuidling è una parte del processo creativo, a mio avviso centrale nella costruzione di un universo narrativo fantastico, il cui scopo è quello di costruire il mondo in cui una data storia si svolgerà. Credo che questa fase di strutturazione del mondo sia generalmente trattata in modo superficiale, soprattutto nelle opere fantasy di autori nostrani. Questo post ha come obiettivo quello di creare un discorso su questo processo creativo, e come parte di questo discorso voglio proporre un termine a sé stante, per dare sostanza a un atto di creazione che, quando anche esiste, è sempre riferito ad autori d’oltremare (Sanderson, Tolkien, Paolini, Herbert). Tale termine è cosmopoiesi, composto da cosmos (mondo, universo) e poiein (fare, creare).
La parola worldbuilding, come avrete subito pensato dopo aver letto questo neologismo, è intuitiva: letteralmente significa “costruzione del mondo” e indica quel momento (generalmente precedente alla stesura di una storia) in cui vengono definite le caratteristiche geografiche, socioeconomiche e storiche dell’ambientazione in cui la storia si svolge. Il primo a compiere tale sforzo fu, come sappiamo tutti noi lettori di fantasy, Tolkien con la sua Arda, universo ben più esteso della Terra di Mezzo in cui si svolge la sua opera più nota. Eppure Tolkien non parlò mai di worldbuilding in sé, ma piuttosto di mitopoiesi, ovvero la creazione di miti, leggende e storie (narrate nel Silmarillion) che fanno da impalcatura e sfondo culturale al Signore degli Anelli. Ancora prima di lui, lo scozzese George MacDonald fu il primo a sperimentare la creazione sistematica di mondi e popoli già a fine Ottocento, influenzando Tolkien, Lewis e molti altri autori del fantastico del Novecento.
Elias Lönnrot, autore del poema epico finlandese Kalevala, viaggiò per vent’anni nell’entroterra finlandese, raccogliendo storie, canzoni e leggende dei contadini locali per “raccontare un mondo di magia e mistero, un’epoca eroica che potrebbe non essere mai esistita in quell’esatta forma, ma che nonostante ciò infiammò la Finlandia di un senso di valore a sé stante.” Tolkien, nelle sue opere, intendeva inventare sia i popoli che raccontano tali leggende, sia i cantastorie che vagano per le loro terre raccogliendo tali storie, nella speranza di replicare tale impresa narrativa e costruire un’epica anglosassone con radici più profonde del ciclo arturiano.
Questi miti a loro volta riguardano l’origine dell’universo in cui i personaggi vivono; sono storie create sì dall’autore che concepisce quell’universo, ma anche dai popoli primigeni che cercano di spiegarne l’origine. È pertanto una cosmogonia, una collezione di miti tesi a razionalizzare l’esistenza del mondo e dei suoi elementi da parte di chi lo abita.
Pertanto l’atto cosmopoietico dell’autore che costruisce un mondo è una combinazione di mitopoiesi (creazione di miti) e cosmogonie (miti che motivano l’origine dell’universo e dei suoi elementi). Se vogliamo, è in potenza un processo più completo e profondo del worldbuilding come inteso dai lettori di fantasy, in quanto include non solo le caratteristiche del mondo e di alcuni popoli, ma anche la consapevolezza che questi i personaggi a loro volta hanno verso di esse. È un livello metanarrativo, costituito da personaggi che si meravigliano del mondo esattamente come l'autore, e facendo ciò aggiungono una dimensione all’universo che l’autore intende raccontare. L’autore crea i popoli e si lascia affiancare da essi nel raccontare il proprio mondo, in un processo interattivo e dinamico che trascende la semplice fantasia. Dopotutto, se i personaggi di Tolkien parlano dei miti perché ci credono, allora un cosmopoieta moderno può avere personaggi che parlano del proprio mondo perché lo amano.
Siete disposti a diventare cosmopoieti?
- Andrea “Clockwork” Barresi