Narrare la Tecnologia

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Tra l'estate e l'autunno di quest'anno è imperversato un dibattito sullo stato della fantascienza italiana; non ho seguito tutti i botta e risposta di editori e autori coinvolti, ma da quello che ho captato la situazione pare essere questa: la fantascienza italiana fa schifo e non vende.

Non ho intenzione di confermare o smentire queste illazioni; se vi interessa il drama potete sguazzarci su YouTube tra le interviste a Franco Forte e le relative risposte. Ciò che a me interessa, da scienziato e soprattutto da scrittore, è instaurare un dibattito non sul perché la fantascienza non venda ma su cosa vogliamo raccontare con le nostre storie, se abbiamo ancora qualcosa da raccontare.

Di recente ho dunque provato a raccogliere qua e là alcuni racconti lunghi italiani, scritti negli ultimi 5/6 anni, nel tentativo di mappare lo stato attuale delle idee, le direzioni e le domande che gli autori della mia generazione si stanno ponendo, insieme ad alcuni lavori dei luminari del secolo scorso (ispirato da questo articolo di Franco Ricciardiello su Lino Aldani).

È un lavoro lungo che mi prenderà qualche mese per essere elaborato e per formulare conclusioni rilevanti, ma vi basti sapere che il primo (che non nominerò qui, ma recensirò altrove) è stato talmente deludente che mi ha spinto a una riflessione di cui avevo da tempo bisogno. Proverò a elaborare in questo articolo, nella speranza di coinvolgere altri autori di fantascienza nel discutere di cosa scrivono e di cosa vogliono scrivere, ma concedetemi una premessa necessaria dalla quale questa riflessione ha origine.

Cos'è la Tecnologia?

Chiedete a dieci persone e otterrete cento risposte diverse. Quella che trovo più proficua è quella di @alxd@writing.exchange">Paweł “ALXD” Ngei, che la definisce come “cristallizzazione di una comunità” (potete leggere per esteso i suoi pensieri qui), ed è in questo framework che sto cercando di ragionare in questi ultimi mesi. Vi invito a leggere anche il suo articolo prima di continuare, poiché devo molte delle mie attuali mappe mentali a questo concetto (con l'unica aggiunta che anche l'architettura e le leggi sono possibili forme di comunità cristallizzata).

Eppure non tutte le tecnologie, per quanto positive o interessanti, sono sufficienti a raccontare una storia; un paio di esempi possono essere le macchine elettriche (nonostante i potenziali benefici, sono fondamentalmente sempre macchine), la cura definitiva del cancro (che sarebbe un traguardo fenomenale per il benessere delle persone, ma che non ci aiuta a raccontare storie che non possiamo già raccontare oggi. Provate a inventarvi una storia a partire da questa tecnologia; io pur avendoci pensato a lungo non riesco!) o, prendendo un esempio dal racconto lungo menzionato sopra, bici fatte con componenti vegetali (tipo bambù); idea fighissima, ma quali conseguenze o colpi di scena può offrire?

In quanto fisico, mi viene immediato definire queste tecnologie, se pur “innovative”, a basso potenziale narrativo: ovvero che permettono di raccontare poche storie complete e avvincenti e che spronino il lettore a porsi domande morali ed etiche su tali tecnologie (che poi è lo scopo primo della fantascienza) oltre che a meravigliarlo per una manciata di secondi.

Quindi l'unica opzione che rimane è far apparire tali tecnologie come accessorie, secondarie alla trama anziché come colonna portante; un “elemento sullo sfondo” che pur essendo utile o immaginifico ha interazioni ridotte con i personaggi o gli eventi, perché le possibilità che offre sono, appunto, ridotte. Questo però (a mio parere!) riesce malissimo in forma testuale, ed è molto più efficace in media audiovisivi; esempi notevoli sono il pane rapido di Rey Skywalker o i @the_lemonaut@mastodon.art/113522486118401506">dettagliati interni di Lemonaut.

Noi scrittori non lavoriamo per immagini; o meglio, lo facciamo ma in modo più sottile, meno diretto. Mostrare un elemento (tecnologico o meno) senza che questo sia rilevante alla storia lo rende meno rilevante, quasi ingombrante; che poi è la massima del buon vecchio Chekhov:

“Se nel primo atto c'è una pistola appesa al muro, allora nell'atto seguente deve fare fuoco. Altrimenti non mettetela.”

Approfondisco questo passaggio: in pratica, una buona storia (di fantascienza, ma anche cyberpunk o solarpunk) deve mettere al centro una tecnologia che abbia conseguenze varie, imprevedibili e soprattutto SIGNIFICATIVE sulla società e/o sulle persone; qualcosa che possa essere usato (e mal-usato!) a scopi diversi, che ogni personaggio può adattare ai propri scopi e che abbia applicazioni diverse in contesti diversi. Non basta inserire un elemento interessante o immaginifico e lasciarlo lì sullo sfondo; va approfondito ed esplorato in ogni possibile direzione, o almeno in quelle che ci sembrano narrativamente più potenti.

Sempre prendendo esempio dal racconto di cui sopra, è stata una grandissima opportunità mancata la menzione di una bolla internet degli indigeni, che però viene liquidata in tre righe e non viene più usata da alcun personaggio per tutto il resto della storia. Perché non seguire quest'idea fino in fondo e raccontare come viene usata dagli abitanti della foresta, come viene mantenuta e quali sono stati i problemi che ha causato e che hanno dovuto risolvere?

Esempio di questo tipo di tecnologie, che mi sento di chiamare “trasformative”, sono colture di batteri in grado di decomporre i polimeri plastici, l'interpretazione di “mind uploading” di Cory Doctorow in Walkaway e il concetto di nave generazionale esplorato da vari autori (Aurora di Kim Stanley Robinson e Paradises Lost di Ursula LeGuin sono i due che mi hanno ispirato di più nella scrittura di Simulacra Navigans). Le idee più potenti ispirano una moltitudine di autori, perché offrono così tante direzioni di esplorazione che un autore solo difficilmente può individuarle e realizzarle tutte.

Credo che noi scrittori dovremmo riflettere su quali aspetti si prestano meglio a una storia raccontata su pagina piuttosto che su schermo, e dunque lavorare su relazioni, conseguenze ed emozioni della tecnologia che appare nelle nostre storie. Questi sono elementi che una tecnologia trasformativa tocca attraverso le interazioni dei personaggi tra di loro, con la tecnologia stessa e con la società tutta (idealmente anche con l'ambiente naturale, nel caso del solarpunk).

In questo senso la tecnologia funziona, in senso puramente narrativo, contemporaneamente da motore (nel senso che instilla una progressione nella storia separando un prima e un dopo; pensate a un foglio di carta che grazie all'uso delle forbici diventa una stella) e da connettore (la persona o le persone che hanno operato lo strumento e lo scopo per cui lo hanno fatto).

EDIT: In seguito a una discussione con ALXD, riporto una sua citazione in merito:

“Molti autori di fantascienza feticizzano la tecnologia per l'atmosfera che crea o per le conseguenze dirette su chi la usa. I grandi autori la usano come scusa per analizzare problemi di portata più grande, come le società e le ideologie del mondo in cui vengono sviluppate.”

Potere nei Limiti

Mi lancio ora in una speculazione più azzardata, poiché non ho ancora letto di nessuna formulazione del tema nei termini che seguono. Spero comunque che possa stimolare una discussione su come ci approcciamo alle tecnologie nella narrativa e su come possiamo inventarne di veramente trasformative, in grado di sorreggere una trama completa e che sfidino contemporaneamente il lettore e lo zeitgeist dei nostri giorni (ovvero lo status quo neoliberale e iperfinanzializzato della Silicon Valley). In questo includo anche le tecnologie che tendo a definire “sociali”, come ad esempio assemblee, metodi decisionali collettivi, varianti della democrazia e, perché no, gerarchie e strutture istituzionali.

Chi di voi legge e soprattutto scrive anche fantasy conoscerà le famosissime Leggi della Magia di Sanderson, che elenco di seguito in quanto comunque meno note della Pistola di Chekhov:

Chiaramente chi scrive fantascienza non si interessa di magia e sistemi magici, ma aggiungendo la Terza Legge del molto più noto Arthur Clarke:

“Ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia”

...possiamo sostituire “magia” con “tecnologia” nelle Leggi di cui sopra. Otteniamo per cui che:

Credo che nel panorama odierno queste tre formulazioni possano esserci più utili per sviluppare idee e tecnologie che siano veramente radicate nel mondo di domani, nei problemi che affrontiamo e affronteremo, con le relative soluzioni.

A voi autori e lettori lancio questi spunti; discuteteli, criticateli, parliamone. Nulla di questo è facile e non intendo parlare con l'esperienza o l'arroganza di chi sa già fare tutto questo (anche se rimango fiero di come, a posteriori, il Protocollo Tunnel che ho inventato per Simulacra ricalchi molti degli aspetti che ho descritto qui), ma con la determinazione di chi vuole imparare a farlo consistentemente, e possibilmente non da solo. Il requisito necessario per sviluppare queste idee è comunicarle e discuterle, confrontarle e limarle finché non diventeranno i nostri strumenti narrativi di punta e potremo di nuovo raccontare un futuro che sia davvero nostro.