Per chi è la scienza? // Science for whom?
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La scorsa settimana si è conclusa una conferenza di fisica teorica incentrata sui superfluidi, esattamente il fulcro del mio dottorato. Avrebbe dovuto essere la conferenza più interessante alla quale io abbia partecipato, eppure nel corso dei giorni ho realizzato che non sarebbe stato così.
Il luogo della conferenza incarnava puntualmente i problemi che sto per esporre: un hotel di ottima qualità in cima alla collina, distaccato dal paesino ai suoi piedi e accessibile solo in macchina o tramite una ripida salita. Così è la fisica attuale: completamente avulsa, incomunicabile e per questo incomprensibile.
Il cursus academicum
La carriera accademica prevede una serie di tappe molto rigide, non differenti dal cursus honorum latino, senza le quali è impossibile ricevere una posizione fissa in università rilevanti. Si inizia con la la laurea magistrale, senza la quale è impossibile accedere al dottorato; quest’ultimo è a sua volta un requisito imprescindibile per accedere ai post-doc, i famosi assegni di ricerca precari. Il nucleo di tutti i problemi risiede in questa serie di colli di bottiglia.
Non solo è quasi impossibile completare questo percorso nello stesso ateneo o nella stessa città, ma gli spostamenti da un paese all’altro e anche da un argomento all’altro sono fortemente incoraggiati dai professori e dalle istituzioni, citando allargamenti di orizzonti e accumulo di esperienza. Questo promuove una cultura spietatamente competitiva che, sotto la maschera della collaborazione con gruppi nuovi e vecchi, nasconde l’obiettivo cardine del successo a qualunque costo, della caccia senza scrupoli al prossimo assegno e poi alla cattedra da difendere con le unghie e con i denti.
Il reale effetto di questa struttura, contemporaneamente ordinata nella sua sequenzialità e caotica nei movimenti che impone, è che lå scienziatå viene costantemente e forzatamente sradicatå dal contesto locale della sua città e del suo gruppo di ricerca. Rende più arduo costruire legami collaborativi con altri esperti o banalmente stringere amicizie e imparare la lingua locale. Esperienza che ho provato sulla mia pelle e che ha disintegrato ogni aspetto della vita sociale che avevo costruito durante gli anni di università.
Per le donne è ancora più complicato: il dover saltare di assegno in assegno ogni due o tre anni rende la scelta di una gravidanza quasi impossibile, e questo ha l’effetto di autoselezionare le donne che decidono di dedicare meno tempo alla propria famiglia o non averla affatto. Come in molti altri sistemi, il cursus academicum è pensato da uomini e per uomini, e nonostante tutte le “soluzioni” per le donne nella scienza che i vari atenei stanno cercando di perseguire, nessuna risolve veramente il nodo dei trasferimenti forzati.
Scienza e comunità
Negli ultimi decenni, i progressi scientifici (non solo in fisica) sono stati più frequenti e significativi che in qualsiasi altro periodo storico, eppure in contemporanea la sfiducia verso la scienza e i suoi esperti è in continua crescita, tra novax e negazionisti climatici. È così sorprendente, alla luce del fatto che lå scienziatå è sistematicamente estromesso da qualsiasi comunità che non sia strettamente scientifica? Lå scienziatå viene relegatå a un ruolo puramente tecnico e quasi mai sociale (informare i cittadini, partecipare al dibattito pubblico, raccontare storie) o politico (nella creazione di programmi dei partiti o nei movimenti culturali). In questo modo si innesca il circolo vizioso che sempre di più porta la professione scientifica a essere vista, sia da scienziati che da non-scienziati, come fine a se stessa, slegata dal mondo reale e senza possibili applicazioni utili. In cima alla collina, lontana dal paese.
E a questo punto che mi chiedo, da quasi-scienziato: per chi è questa scienza? Come possiamo restituire la scienza alle comunità e riattivare la partecipazione scientifica in modo che la professione diventi attiva e proficua per tutti, e non solo per una cerchia ristretta di esperti?
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Last week I took part in a conference on theoretical physics, specifically about superfluids, the core of my current doctoral studies. It should’ve been the most interesting conference I’d ever been to, yet as the days went on I realized it wasn’t meant to be.
The place itself closely embodied the issues I’m about to discuss: a good quality hotel on top of a hill, secluded from the town at its feet and only accessible by car or through a steep uphill. Such is current physics: completely detached, uncommunicable and therefore incomprehensible.
The cursus academicum
To embark the scientific career, one is expected to go through a very rigid set of steps, not unlike the ancient cursus honorum of Latin times. Skipping one of these steps makes it almost impossible to reach a stable teaching position in a university. It begins with masters’, a requisite to access PhD positions; the latter is again a requisite to apply for post-docs, the infamous temporary research grants. The core of all issues resides in this series of bottlenecks.
Not only it’s almost impossible to complete this path in the same institution (or even in the same city), but on top of that moving from country to country and even from topic to topic are heavily encouraged by professors and evaluation committees, mentioning broadening horizons and experience in various branches. This promotes a ruthlessly competitive culture that, under the veneer of cooperation with new and old groups, hides the main goal of success at all costs, of hunting the next grant and so on until one lands a teaching position.
The real effect of this structure, at the same time ordered in its sequentiality and chaotic in the movements it requires, is that the scientist is constantly and forcibly eradicated from the local environment of their city and research group. It makes it unnecessarily harder to form cooperative bonds with other experts or even just making new friends and learning the local language. This experience is one I’ve had on my skin and it vaporized every aspect of the social life I had built through my university years.
Women have it even harder: jumping from grant to grant every two or three years makes the choice of childbearing almost impossible, and this has the effect of self-selecting the women that end up choosing to dedicate less time to their family or to have none at all. As in many other systems, the cursus academicum is thought and planned by men and for men. Despite all the “solutions” for women in STEM that many departments are chasing, none really addresses the core issues of forced relocations.
Science and community
In the last decades, scientific progresses (not only in physics) have been more frequent and impactful than in any other age. Yet at the same time mistrust towards science and its experts is constantly rising, among novax and climate deniers. Is it surprising, considering that scientists are systematically ejected out of whatever community that is not strictly scientific? The scientist is relegated by design to a purely technical role and devoided of social (informing citizens, taking part in public debates, telling stories) and political (creating party programs or cultural movements) agency. This triggers the vicious circle that brings scientific professions to be seen, by both scientists and non-scientists, as selfish, detached from the ordinary world and with no useful applications. On top of the hill, far away from the town.
This is where I ask myself, as a quasi-scientist: for whom is this science? How can we give science back to the communities and reactivate scientific participation by both citizens and scientists, so that the profession becomes active and prolific for everyone and not for a tight circle of experts?
- Andrea “Clockwork” Barresi