Referendum Terminale

Immaginate per un momento di avere una malattia cronica, iniziata come un piccolo fastidio ma che ora sta peggiorando con gli anni. Avete cercato una serie di medicine e terapie che potrebbero aiutarvi, ma cercando una soluzione affidabile vi dirigete all'ospedale. Il medico vi suggerisce... un rimedio omeopatico. Al vostro rifiuto, le infermiere si lamentano di come avete fatto sprecare tempo prezioso e di come non vi interessi la vostra stessa salute.

Può sembrare una barzelletta, ma ai miei occhi questo è lo stato della democrazia italiana, incarnato dall'ultimo, tragico referendum. Un voto che nessuno aveva chiesto su un fronte che difficilmente migliorerà la situazione decadente del nostro paese. La reazione dei media è immediata: il cittadino “si disinteressa della cosa pubblica”, “si perde la tradizione del voto” e altri mille allarmi paternalisti. Questi sono particolarmente dannosi sul lungo termine: aprono la strada per la ben nota retorica che favorisce il governo autoritario nelle situazioni in cui “il cittadino ignorante non sa governarsi”. Ci si avvicina sempre di più allo stato della malattia in cui i sintomi di fascismo diventano incurabili.

Al contrario, sono convinto che i cittadini si sarebbero prodigati per votare su questioni più centrali e vicine a loro, e i recenti mesi ne hanno viste dozzine: l'eutanasia, l'alternanza scuola-lavoro, l'acquisto di gas russo, la legalizzazione delle droghe leggere, il salario minimo, l'invio di armi in Ucraina, il DDL Zan e la patrimoniale. Un referendum su queste questioni critiche raggiungerebbe il quorum in tre ore.

Il punto cardine giace nella parola “interesse”: sono stati i cittadini a “perdere interesse” nel referendum e nelle elezioni amministrative, o è la classe politica attuale ad aver perso interesse nel cercare confronto con i cittadini che dovrebbe rappresentare? Dopotutto questo referendum sembra stato fatto con la precisa intenzione di disinteressare.

Il paziente non è incurabile. È intenzionalmente negletto.

Ma qui è dove la metafora clinica crolla: dopotutto un paziente non soddisfatto dalla cura proposta può, per quanto dispendioso o frustrante, cambiare ospedale o medico.

Il cittadino no.

Il cittadino rimane bloccato nel limbo elettorale, sul quale può avere effetto minimo nel ricambio della classe politica, e anche in quel caso viene limitato dall'offerta disponibile (nel caso attuale, sei sfumature di destre).

Questo post non ha una soluzione pronta; se l'avessi mi sarei candidato, dopotutto. Ha però una domanda su cui potete riflettere: esistono alternative? Possiamo trovare, o costruire, meccanismi attraverso i quali possiamo conquistare più diritti senza dover fronteggiare l'ostacolo della classe politica? E se l'ostacolo non può essere aggirato, come possiamo affrontarlo?