Il borsello

Cronaca di un tranquillo mistero domenicale

È domenica mattina in un imprecisato inverno degli anni novanta, a Cava de Tirreni.

Roberto D., come tutte le domeniche cammina per il corso della città, col suo borsello a tracolla.  Dentro, più o meno disordinatamente, ci sono soldi, carte di credito, assegni, biglietti da visita, un pacchetto di sigarette e un accendino.

In quella che sarà la prossima casa D., proprio su quello stesso corso centrale, si svolgono importanti lavori di ristrutturazione, e Roberto, prima di passare a comprare le paste e tornare a casa, si ferma a dare un'occhiata insieme al cognato che segue i lavori.

Entra in casa, tiene il cappotto, appoggia il borsello su un tavolo di cantiere e (particolare che ricorderà in seguito, reale o distorto che sia) chiude la porta, per poi partire per un breve giro perlustrativo della casa, divisa su due livelli. In tutto quindici minuti al massimo.

All'uscita, parlando col cognato, posa distrattamente il braccio sul tavolo e non afferra quello che si aspetta. Si gira: il borsello non c'è.

Ripercorre il giro esplorativo, niente. E come lui anche suo cognato ricorda che il borsello era stato messo lì. La porta è ancora chiusa.

Siamo in un inverno imprecisato degli anni novanta e i cellulari non sono ancora molto diffusi. Del resto Roberto, che è un dirigente della più grande banca del sud, ma è anche un vecchio comunista, e vede il progresso un po' come un intralcio alle sue passioni e al suo riposo, cederà al bisogno di un telefonino solo anni più tardi. Ma questa è un'altra storia.

Perciò ritorna a casa per controllare che il borsello non sia neanche lì, sai mai, o che nessuno abbia chiamato. E poi per bloccare carte, annullare assegni e recuperare le sigarette e l'accendino che ormai, tra una cosa e un'altra, gli mancano da almeno un'ora.

Ma è domenica, Roberto è un uomo da domenica a casa, e in più gli amici Giovanni, Teresa e i loro bambini sono ospiti a pranzo. Sigarette a parte, tutto il resto può aspettare perché il pranzo, e poi forse una pennichella di controra vengono prima di tutto. E poi le partite.

A tavola tiene banco il racconto confuso e il tentativo di ricostruzione di quello che ormai è chiaro essere stato un furto con effrazione.

Tra i grandi un senso di insicurezza, paura e violazione che paralizza come un brivido di freddo quell'imprecisato inverno anni novanta, ma serpeggia, tra i quattro bambini, una curiosa eccitazione per quel mistero domenicale, un brivido che attraversa un pomeriggio altrimenti triste per essere il preludio del ritorno a scuola. Poi lo squillo del telefono interrompe il pranzo, le congetture e gli interrogativi.

Roberto corre a rispondere

Sì!

Con l' esclamativo, proprio. E il suo modo particolare di mettere fretta ai potenziali scocciatori.

Siete voi Roberto D.?

Dice la voce

Chi parla?

Roberto concede la parola, ma allo stesso tempo chiarisce che è lui a fare le domande.

E qui la frase che negli anni a seguire verrà ricordata come la nota comica di una storia un po' inquietante. Buttata lì da un povero cristo in una specie di sceneggiatura poliziesca improvvisata. Ma andiamo con ordine...

Il mio nome non ha importanza. Diciamo che mi chiamo Pasquale.

“Pasquale” racconta di aver trovato un borsello privo di denaro ma pieno di carte, documenti e biglietti da visita alla stazione di Ponticelli, e di trovarsi ora a Nocera, disposto a restituire l'oggetto. Può aspettare poco. Poi andrà via. È un senza dimora, dice, e non vuole avere a che fare con la polizia.  Prendono accordi per vedersi di lì a poco, e Roberto, prima di abbassare la cornetta, sente l'uomo dire:

Dottò, portatemi una cosa da mangiare, tengo fame.

Roberto è pronto a partire. 

L'amico Giovanni ha già preso il cappotto, le chiavi della Prisma e l'autoradio perché nonostante Roberto insista per non farlo alzare da tavola, Giovanni sa che non ama guidare, e non lo lascerebbe andare da solo all'incontro con qualcuno che potrebbe minacciarlo, rapinarlo o chissà cosa. Tra l'altro un direttore di banca è una figura di rilievo, specie in quelle zone, e già qualche collega è stato seguito, minacciato, e altro ancora. Ma questa è un'altra storia.

Partono, non prima di aver preso, senza troppa convinzione, un panino per l'uomo, caricato caritatevolmente di prosciutto e formaggio da Tonia, moglie di Roberto, che coglie, cristianamente, la difficoltà dell'uomo indigente costretto a rubare per fame. Teresa cerca di dissuaderli, ma senza una reale preoccupazione, più scettica che altro, cercando di tradurre in modo educato il pensiero “ma dove vi avviate...non fate gli eroi”. Ma loro vanno.

Per strada elaborano un piano: Roberto farà un pezzo in auto da solo per farsi vedere arrivare non accompagnato. Giovanni lo seguirà a distanza, per non spaventare Pasquale e rischiare che salti tutto, pronto ad avvisare la polizia nel caso qualcosa andasse storto.

Alla stazione di Nocera, Pasquale, interrogato dalla vittima mentre Giovanni in incognito segue la scena e non perde di vista un attimo l'amico, fornirà una versione confusa, poco credibile, e subito dimenticata, ma non sembrerà mai a nessuno dei coinvolti poter essere un criminale, un truffatore, un ladro d'appartamenti. In costruzione, poi...

Semmai un uomo che per una notte ha dormito in un cantiere, dal quale è scappato per non farsi vedere.

Ma poi, si sa, il borsello sul tavolo fa l'uomo ladro.

Nessuna denuncia, nessuna verità.  Solo il ricordo di un uomo che all'arrivo di Roberto aveva chiesto subito di mangiare, e si era avventato sul panino portato da casa.

Pasquale va via.  Giovanni e Roberto si ricongiungono.

Dal borsello mancano solo contanti.  Le sigarette e l'accendino sono li e  Roberto se ne accende una. Giovanni ha già avviato la Prisma e acceso il riscaldamento e la radio. E ha aperto i finestrini. Da quando ha smesso non sopporta che qualcuno fumi in auto, ma a Roberto non si sente di dire nulla, soprattutto in queste condizioni, invaso nelle sue cose, ma soprattutto nel suo riposo domenicale, fatto di pranzo, divano, letto, partite e domenica sportiva.    Fa freddo, domani inizia un'altra settimana.

In auto neanche una parola: solo la sigla di tutto il calcio...

Parapà, Parapà, parappapaaaaa parapapà.


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