La consapevolezza dell'Universo

Questo capitolo è diverso dai precedenti: nasce da una domanda che, almeno una volta nella vita, chiunque si è posto. Cercando di non cadere in ovvietà e semplificazioni, provo ad inoltrarmi in un tema considerabile più che scontato e particolarmente generico. Le tesi sostenute possono essere intese come una valvola di sfogo opinabile, senza alcuna presunzione nei significati. Chiunque, prima o poi, si è chiesto quale sia il significato della vita sulla Terra. È un quesito talmente ricorrente da sembrare imposto dalla stessa natura umana. Perché noi, e tutte le creature che conosciamo, abbiamo questo privilegio? Per iniziare questa sognante risposta, differenzio il concetto di essere umano dal non umano. Il motivo preponderante è che noi, in pochissimi millenni, abbiamo raggiunto una presenza straordinariamente alta e profondamente impattante sull’ambiente, diversamente da qualsiasi altra specie mai esistita. A differenza degli altri animali, ci siamo appropriati di tutto ciò di cui avevamo bisogno, modificando e plasmando l’ambiente senza limiti fisici o morali.

Ogni altro essere vivente è nato e cresciuto per rispondere a un bisogno naturale, contribuendo all’equilibrio che tiene le redini della vita nel mondo, ogni singolo ecosistema conosciuto. Le api impollinano, le piante ossigenano l’aria e vengono mangiate da animali, i cui escrementi fertilizzano la terra, dove vivono colonie di insetti e migliaia di microrganismi. Anche i batteri presenti nel nostro corpo, così come in quello degli animali, sono indispensabili al corretto funzionamento di organi e apparati. Tutti, se avessimo il bisogno di definirlo, hanno un ruolo preciso. Perfino le zanzare, che superficialmente sembrano esistere solo per avvelenare e recare fastidio a ogni altra creatura durante la loro breve vita, hanno il compito di diffondere malattie che, nello schema generale dell’ordine naturale, servono a contenere la popolazione animale, e talvolta anche quella umana, per mantenere un equilibrio regolato dal lento scorrere del tempo.

Questo equilibrio, però, è stato stravolto dalla nostra presenza in poche e rapide decine di secoli. Mi chiedo quindi quale sia il motivo dell’esistenza umana.

Apparentemente noi esseri umani, nell’arco di tutta la nostra esistenza, non abbiamo mai avuto uno scopo diretto nel funzionamento dell’ordine naturale. Non abbiamo mai contribuito in maniera attiva al miglioramento degli ecosistemi in cui abitiamo. Abbiamo viaggiato e sovrastato tutto ciò che riguarda l’ambiente, trasformandolo a nostro vantaggio, indebolendolo, ammalandolo.

Possiamo essere considerati una malattia per la Terra, e per noi stessi. Questo è il concetto affrontato dall’agente Smith nel celebre film Matrix (1999) riguardo la natura distruttiva dell’uomo e la sua presenza eccessiva. Mi riferisco soprattutto alla cultura dominante europea. Fanno eccezione i buddisti e alcune etnie indigene che, vivendo in simbiosi con la natura, hanno cercato di mantenere un equilibrio sano tra essere umano, essere non umano e mondo naturale. L’essere dominante europeo, invece, è il più nocivo fra le culture: ha esportato i propri valori e disvalori ovunque, quasi senza opposizione.

Allora perché dovremmo esistere? Se escludiamo filosofia, scienza e religione, secondo il mio punto di vista non dovremmo nemmeno abitare questo pianeta. Potremmo avere una ragione per esistere, se cercassimo la risposta nella caratteristica che più ci distingue da tutto il resto del mondo naturale, l’unico grande e nobile privilegio che ci esalta: la consapevolezza. Potremmo esistere per la nostra dote di coscienza. Nel grande sistema degli elementi naturali, che senso avrebbe avere un universo più o meno infinito, capace di ospitare infiniti pianeti belli e complessi come il nostro, se nulla e nessuno, in tutta questa immensità, fosse in grado di rendersi conto della propria esistenza? Gli animali abitano il mondo senza sapere di abitarlo. Le piante agiscono secondo ciò che è scritto nel loro patrimonio genetico, senza eccezioni. I batteri vivono come automi, limitati da una traiettoria biologica che non lascia spazio alla riflessione. Il loro contributo all’equilibrio naturale è dettato solo dall’istinto di sopravvivenza, senza alcuna libertà di scelta. L’essere umano, invece, si interroga su ciò che va oltre la propria funzione vitale, è capace di percepire un contesto più ampio del proprio bisogno. Siamo mossi da una curiosità senza paragoni.

Fra i nostri molti difetti, abbiamo quello di non avere limiti né freni. Abbiamo da sempre rivolto lo sguardo al cielo, e fin da subito ci siamo posti domande, coltivate nel tempo dalla nostra natura affamata di sapere. Dal momento che siamo stati coscienti, siamo stati affascinati dall’ignoto, e abbiamo cercato di capirlo. Millimetro dopo millimetro ci avviciniamo a una risposta lunga chilometri, sapendo che non potremo mai conoscere tutto, ma consapevoli di conoscere qualcosa. Dal momento esatto in cui, per la prima volta, abbiamo alzato lo sguardo verso le stelle, abbiamo reso l’universo consapevole della propria fantastica e immensa esistenza.