disattualizzando

Ognuno di noi potrebbe rispondere a questa domanda in modo diverso. E, anche dopo aver ascoltato le opinioni di una miriade di persone, ci sarà sempre qualcuno che, per originalità o fantasia, sarà capace di stupirci ancora. Potrebbe sembrare una questione filosofica, scientifica o religiosa, ma la domanda che vi sto ponendo si riferisce solo a voi stessi e al vostro modo di approcciarvi alla vita, come partecipazione attiva all’esperienza umana. La soluzione mi porta a un immaginario talmente ampio e antico che ho difficoltà a inquadrarlo nella mia mente. Eppure, guardando all’evoluzione, la risposta è semplice: 11 siamo il risultato delle nostre origini. La nostra crescita come specie è dipesa da un solo, imprescindibile elemento: la Natura. Un tempo, l’essere umano era molto più animale di quanto lo sia oggi, senza screditare le menti geniali e poliedriche che hanno abbattuto le barriere del tempo plasmando le nostre vite. Con “animale” intendo ciò che ci legava indissolubilmente alla Natura. Vivevamo in una situazione in cui la nostra sopravvivenza dipendeva dalla conoscenza e dal rispetto del pianeta: conoscere le peculiarità dei raccolti, le fasi lunari, il periodo di semina, era indispensabile per sopravvivere.

Era un’epoca “x”, un tempo non definito, più o meno lontano, ma certamente distante dalla nostra attuale dipendenza dalle tecnologie. Da qualche decennio, la trasmissione orale delle storie, la fatica di tramandare leggende e tradizioni, è stata soppiantata dalla tecnologia, cambiando completamente il nostro approccio alla conoscenza. Mi riferisco a un tempo in cui le grandi storie erano narrate soprattutto per ricordo o per sentito dire, rendendo l’origine di qualsiasi tradizione vicina e lontana, dinamica e costantemente mutabile. I nostri avi, non così diversi da noi, sapevano affascinarsi e stupirsi con grande facilità. La loro vita era semplice ma dura. La nostra è confusa e complessa, a volte troppo facile, esagerata in ogni aspetto. Questo ci ammala psicologicamente e fisicamente. Oggi le grandi storie sono diventate facilmente reperibili, le troviamo ovunque, subito, e per questo abbiamo perso la capacità di stupirci e gioire ogni volta che ne abbiamo l’occasione.

Viviamo nell’epoca dell’Abbondanza – è una condizione che ci ha reso umani molto diversi; le nostre superficiali e viziate priorità hanno seppellito molti preziosi aspetti di un passato ormai dimenticato. In appena un secolo,ci siamo snaturalizzati a dismisura. Abbiamo cessato di essere legati alla Natura, cercando di diventare qualcos’altro di molto più subdolo e complesso, perdendo così la necessità di vivere in sintonia e in rispetto con l'ambiente circostante: abbiamo perso l’essenza stessa di ciò che ci rende umani, rendendoci irrimediabilmente infelici. Non sappiamo più cosa può renderci veramente felici.

La più grande rivoluzione comportamentale della nostra contemporaneità è definita dalle tecnologie smart. Questo nuovo aspetto invasivo e contaminante è diventato lo spartiacque di due epoche: il prima e il dopo. Ma per chi, come me, è nato già nel “dopo”, è difficile immaginare quanto saremmo potuti essere semplici, e semplicemente felici, senza il bisogno dell’abbondanza a caratterizzare la nostra quotidianità. L’odierno “essere umano” ha barattato le meraviglie della Natura con una malsana comodità e una consapevole ignoranza. Cosa ci rende esseri umani adesso? Un tempo, procurarsi qualcosa di così semplice e indispensabile come il cibo, richiedeva fatica, intelligenza, attenzione. Ma il sistema attuale ha abbattuto ogni difficoltà, donandoci il piacere dell’Abbondanza: qualsiasi cosa desideriamo è a portata di scaffale, pronta e confezionata, e noi possiamo ignorare se sia una verdura di stagione o un animale che stiamo portando all’estinzione solo per distribuirlo nei nostri generici punti di rifornimento.

Le tecnologie smart, oltre a non essere quasi mai usate per denunciare un meccanismo malsano e autodistruttivo, incentivano il consumo e lo spreco, un sistema pensato per arricchire pochi, a spese di tutti e di tutto. Il rispetto dedicato alla Natura, unico fattore indispensabile per permetterci il nostro alto tenore di vita, è gravemente trascurato. Il nostro modo di ricambiare questa entità planetaria, che ci ha donato tutto ciò di cui abbiamo avuto bisogno, è la devastazione: la maggior parte della flora e fauna vengono trasferite nei supermercati, nati dalla nostra totale pigrizia e indifferenza. Il semplice e scontato supermercato, a cui tutti siamo abituati, è eticamente e moralmente sbagliato e disumano: crea una voluta ignoranza e un disequilibrio tra la società e le persone che la compongono. La consapevolezza data dalle nostre tecnologie smart, i nostri “distributori di conoscenza”, non ammette ignoranza e non giustifica il nostro comportamento egocentrico come specie animale. Siamo tutti consapevoli, me compreso. Con ogni nostra scelta quotidiana che incrementa il nostro inattaccabile sistema autodistruttivo, scegliamo di voltare le spalle alle nostre origini.

Alla domanda “Cosa ci rende esseri umani?”, rispondo con convinzione: siamo ciò che la Natura ci ha permesso di essere, e nutro un grande sentimento di debito da saldare con il Mondo. Un debito che si paga solo in un modo: proteggendo il Pianeta, sarà lui a provvedere alla preservazione delle nostre vite nei secoli e oltre. Preservare la Terra significa riconoscerci per ciò che siamo, abitanti e ospiti, trascurando la nostra malsana necessità di sentirci padroni.

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Ciò che ci ha resi così diversi da come eravamo, e forse da come avremmo dovuto essere, è legato soprattutto alla tecnologia, che in brevissimo tempo ha mutato radicalmente le nostre abitudini e priorità. La nostra disumanizzazione è sicuramente iniziata prima della diffusione della tecnologia smart, ma con essa ha raggiunto l’apice economico e sociale.

I vertici del sistema hanno orchestrato una rapida trasformazione che ha avuto gravi ripercussioni sulla nostra vita, alimentando un infinito processo costantemente mutevole. La vita sociale si è spostata sugli schermi di computer e telefoni: interessi, passatempi e amicizie vengono consumati in un mondo filtrato. Questa esagerata necessità di adoperare continuamente la tecnologia ci ha resi dipendenti, schiavi di connessioni che però sono solo surrogati: non puoi sentirti solo finché fai parte di un gruppo WhatsApp. Oltre alla manipolazione comportamentale, lo scopo del sistema è il costante bombardamento pubblicitario, che crea bisogni utili solo all’apparenza, per renderci dei perfetti consumatori. La pubblicità è ovunque, ci dice cosa fare, cosa desiderare, come mostrarci, chi essere; più siamo uguali agli altri, più siamo accettati. È così che nasce la competizione universale, una corsa senza senso verso un ideale esagerato. Il tuo ruolo determinerà la tua rispettabilità come persona.

Per un uomo, il successo passa dall’auto costosa, dal telefono di ultima generazione, una carriera brillante, magari come imprenditore o avvocato, e da una compagna che ricalchi gli attuali canoni di bellezza. Una donna sa che, oltre a dover rispecchiare alcune precedenti caratteristiche, il suo valore è legato al suo corpo, la perfezione estetica è un dovere: solo la ragazza perfetta potrà avere la misera illusione di avere il mondo al proprio servizio. Seno troppo piccolo? O forse il sedere non è abbastanza rotondo? Da rifare. E quando la giovinezza inizia a svanire, resta solo la necessaria illusione di poterla comprare, chirurgicamente, per dimostrare a se stessa che non invecchia tanto velocemente quanto invecchia il mondo.

Tutti noi siamo corrotti da questi stimoli inutili, voluti per farci sentire sempre in difetto e renderci la vita impossibile, imprigionando i più deboli in un turbinio di imperfezioni. Queste imperfezioni vengono suggerite dal mondo umano stesso: siamo programmati per essere dei consumatori al servizio di chi ne trae profitto, come le grandi multinazionali che governano le pubblicità. Il miglior consumatore sarà sempre quello che sente l’estremo bisogno di avere ciò che ancora non ha, anche se potrebbe non servirgli a niente. I nostri smartphone non sono solo telefoni, ma hanno agito da catalizzatori al servizio di questi processi.

Vi rendo partecipi di una riflessione personale: Le persone che hanno vissuto i primi venti o trent’anni della loro vita nel “prima”, senza tutto questo, oggi sono comunque immerse nel sistema. Noi, che ci siamo nati dentro, quando saremo adulti, quando avremo cinquant’anni, sessanta, settanta... quando il mondo potrebbe essere completamente convertito alla fede delle tecnologie inutili: sapremo rinunciare alle più tossiche e invadenti? E se non ci riuscissimo? cosa resterebbe di noi e della nostra umanità?

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Nella società odierna, il computer è diventato uno strumento indispensabile per la propria integrazione nel sistema, sia nella vita professionale che nella sfera personale: un’evoluzione più che giustificata per il pigro essere umano, da sempre incline alla comodità. Il nostro fidato Pc ha reso la vita più semplice, piú rapida, più autonoma. Anche la tecnologia smart è ormai considerata un bene di prima necessità.

Il nostro “telefono intelligente” ha amplificato le precedenti comodità, aggiungendo ben poco di inedito alle nostre vite, permettendoci di fare le stesse identiche cose di prima, ma in modo più veloce e seducente – eppure tutti abbiamo estremamente bisogno di possederne uno, due, tre... e poi la smart TV, lo smartwatch, gli occhiali smart. Siamo completamente assuefatti da questi strumenti, che ci rendono sempre piú pigri e rischiano di farci regredire in un sistema senza precedenti.

Eppure, le cose davvero importanti restano sempre le stesse: l’aria pulita, l’acqua incontaminata, la salvaguardia degli animali, la protezione dei ghiacciai. A livello sociale, abbiamo bisogno di sanità e istruzione di qualità, di una politica equa, dalla parte dei cittadini. Ma tutta questa comodità rischia di alterare le nostre priorità, facendoci dimenticare gli obiettivi comuni, smorzando il desiderio di reagire, di lottare, di ribellarci. Un adolescente oggi ha bisogno di like, di visualizzazioni, di follower: ecco i nuovi valori. Questo processo, indotto su vasta scala, è un lavaggio del cervello orchestrato da pochi oligarchi che traggono profitto dal nostro disinteresse.

Il modo migliore per vendere un prodotto è quello di creare un bisogno collettivo, anche se solo apparente. Ci sentiamo obbligati ad avere ciò che tutti gli altri hanno. Ma alle multinazionali non interessa davvero rendere le nostre vite più comode, più veloci e più facili. Vogliono solo vendere, e più diffuso è il prodotto, più ci guadagnano: in questa epoca il più venduto al mondo è proprio lo smartphone. E così abbiamo telefoni dotati di enormi prestazioni, totalmente sprecate per l’uso reale che ne facciamo. Anche il più povero sente il bisogno di investire centinaia di euro in uno strumento che spesso non comprende e non sfrutta appieno, ma quale interesse reale dovrebbe avere un consumatore verso uno strumento di cui ignora le vere potenzialità? Servirebbe un’indifferenza collettiva, invece siamo spinti a possedere almeno uno.

Il mondo si è così abituato all’esistenza di questo accessorio che, se smettessimo tutti di usarlo per qualche tempo, il sistema collasserebbe. Chiunque si senta obbligato ad avere uno smartphone costoso e di marca è vittima di un sistema che ci ha cresciuti come perfetti consumatori.

Se compriamo tutto ciò che la pubblicità ci propone, siamo davvero liberi? O siamo talmente condizionati da credere di esserlo, mentre scegliamo ciò che è già stato scelto per noi? Non siamo più esseri umani: siamo consumatori, acquirenti potenziali. Io, almeno, vorrei sentirmi libero di dissociarmi da un sistema che non approvo, da una società che sfrutterebbe chiunque al posto mio.

Ciao Mondo! Che bello poterti parlare di nuovo! Ti chiederei spensieratamente “come stai”, ma con disagio la reputerei una domanda tristemente incline alla retorica. L’ultima volta che ci siamo confrontati, le cose erano parecchio diverse... Dal punto di vista che riguarda la tua preziosa salute (da cui dipende, senza mezzi termini, anche la nostra) l’acqua era di certo più pulita, l’aria più respirabile, gli animali liberi di vivere le loro vite, ignari di tutto ciò che comporta condividerle con l’umanità. Mi correggo: con l’ultimo stadio raggiunto dall’umanità. Qualche scambio di parole addietro, mi avresti detto senza 3 pensarci due volte di essere felice. L’unico grande motivo che avrebbe potuto renderti ineguagliabilmente spensierato ed appagato, sarebbe stato vedere noi esseri umani (nonostante la nostra natura animale, in perenne evoluzione e mutamento) capaci di non compromettere in modo irreversibile ciò che di più importante custodisci nella tua infinita composizione: i sistemi che ti appartengono, che ti rendono unico e speciale.
È quasi inutile affermare che una volta eravamo molto diversi. Eravamo facilmente affascinabili, e lo stupore ci arrivava sempre da te: un paesaggio, un temporale, una stella, ci lasciava senza fiato. Ci definivano i nostri grandi sentimenti universali, quelli rivolti a ciò che era ignoto, ingestibile, indomabile: la paura dell’ignoto e il bisogno di conoscenza. Ora tutto è diventato più piatto, ovattato, il sentimento stesso non ha più lo stesso valore. La nostra esistenza, un tempo legata a un bisogno di semplicità oltre che di curiosità, ci permetteva di gioire di una quotidianità lenta e sana. Attributi che, a parer mio, rendevano le persone di ogni epoca, più felici di quanto sappiamo esserlo oggi. Non eravamo ancora contaminati da mille fattori esterni inutili, che oggi ci bombardano, ci distraggono, ci rincoglioniscono.
Una cosa che rendeva unica la nostra esistenza passata era che, involontariamente, non avendo i mezzi e la tecnologia per compiere disastri ambientali come quelli odierni, non avevamo nemmeno la responsabilità che oggi invece ci accomuna tutti. Non avevamo strumenti per essere tanto pericolosi quanto lo siamo adesso. Oggi, farti del male è diventata un’abitudine di poca importanza. Che dire... ci legava una parte animale, primordiale, atavica, priva della complessità che oggi ci caratterizza. Eppure, anche allora la vita sapeva essere cruda, spietata, incoerente, profondamente parziale come concetto di giustizia. Il bianco doveva essere bianco, il nero a sua volta doveva rimanere nero. L’emancipazione dei deboli, la lealtà, la moralità, la coerenza... erano concetti limitati a un bisogno personale, non collettivo. Non erano diritti accettati e riconosciuti da un sistema volto alla tutela degli ultimi scalini della nostra infinita piramide sociale. Pochi condividevano quei valori e chi predicava la sua giustizia, se la trovava contro: dalla parte del carnefice, del potente, del socialmente riconosciuto. C’era molta parzialità e prepotenza, i torti erano all’ordine del giorno, e al sistema interessava poco.
Oggi, noi occidentali del “primo mondo”, possiamo ritenerci fortunati. Da questo punto di vista, devo ammettere che siamo migliorati parecchio, almeno nella porzione di mondo che impropriamente mi permetto di chiamare “casa”. Nel resto del pianeta... chi lo sa? Sarò sincero, Mondo: i tempi di cui parlo vorrei tanto ricordarmeli. Desidererei sapere, conoscere esattamente ciò di cui sto discutendo o bagolando, ma quando sono nato io, poche decine di anni fa, era circa tutto così come è adesso. Forse il contesto umano era appena diverso, ma già predisposto a modellare il presente che conosciamo oggi. Viviamo in una situazione complessa: non ci capiamo, e nessuno capisce nessuno. La quotidianità è diventata subdola, fittizia, apparente, superficiale.
Tutti pensiamo di essere liberi di agire secondo decisioni personali, con delle volute esigenze personali, ma è solo una bugia travestita da libero arbitrio, che ci incatena senza che nemmeno ce ne accorgiamo. Viviamo in una prigione senza sbarre, da cui è impossibile evadere. Tutto ciò che un tempo era raro e indispensabile oggi è considerato ovvio, scontato: nessuno si stupisce più di niente. Prendendo degli esempi banali, fare due o tre pasti variegati al giorno, o fare i propri bisogni su di un bagno caldo e accogliente, sono diventati normalità quotidiane, giustamente o meno. Ci sarebbero esempi più pertinenti, meno banali, ma lascio a te decidere se pensarli. Qui a casa mia, la qualità della vita è davvero migliorata, ma ogni medaglia ha il suo rovescio. Siamo viziati, annoiati, abbiamo tutto. Facciamo appena in tempo a desiderare qualcosa, lo ordiniamo e arriva a casa in pochissimo tempo: dopo una settimana ci siamo già dimenticati il motivo per cui lo abbiamo voluto. Ogni nuovo oggetto è un anestetico che attutisce temporaneamente i nostri problemi, una distrazione che ci allontana da ogni pensiero, soprattutto quelli più utili e costruttivi. Ciò che oggi dovrebbe essere considerato davvero indispensabile, è diventato trascurabile. Come preservare te, Mondo, invece ti stiamo lentamente rovinando e compromettendo irreversibilmente. Uno dei motivi è che per le grandi masse, non sei più abbastanza seducente o interessante quanto le solite, misere cagate di cui ci circondiamo. Sicuramente non sei per noi seducente ed interessante come un tempo. La nostra condizione attuale ha avuto grandi ripercussioni nei tuoi confronti, questa è l’altra faccia della medaglia che ti ho menzionato prima.
Il prezzo più alto, purtroppo, l’hai pagato tu, Mondo. Hai dovuto rinunciare ad ecosistemi, specie animali da noi portate all’estinzione, ci hai permesso di avvelenarti l’aria, forare l’ozono, farti sciogliere i ghiacciai, prosciugarti i fiumi e desertificare le foreste. Fossi in te, sarei furibondo.


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Ciao amico mio! Grazie per non avermelo chiesto direttamente, mi sarei sentito infastidito se l’umanità avesse ignorato ciò che è stato fatto. Apprezzo che ci sia ancora qualcuno disposto a rivolgermi la parola. Ormai, tutti sono distratti da mille impegni ritenuti più importanti di me, nessuno si preoccupa più nemmeno per l’altro, vicino o lontano che sia. Capisco appieno il tuo disagio verso l’epoca in cui vivi, per le mille incoerenze ed ingiustizie che caratterizzano la tua vita e quella di chiunque altro voglia rendersene conto. La presa di coscienza fa male, lo so. Anch’io, spesso, mi imbestialisco: è assurdo che nel 2025 abbiate ancora una costellazione di problemi facilmente risolvibili, se solo lo voleste. Ma non dovresti avvelenarti il fegato per questo, prova a esistere nel miglior modo possibile, perché l’unico vero motivo per cui valga la pena esistere, è l’esistenza stessa, la tua, quella di qualsiasi altro essere vivente e non vivente.
Molti mi considerano impassibile, distaccato, ma non è mai stato così. La mia tristezza per ciò che è stato rovinato è grande, ma ciò che mi rattrista ancora di più è sapere che l’essere umano pagherà un prezzo ben più alto del mio per via della sua scarsa resilienza, dote che almeno io posso vantare. Chi patirà di più le conseguenze sarà l'umanità stessa. Le mie visibili reazioni sono governate dal caos e dalla casualità, non sono volontà punitive. Io non voglio scatenare sulla vita preziosa, calamità naturali come tsunami, uragani o incendi di massa... sono solo le conseguenze di ciò che avete fatto. Quando imparerete a rispettare ciò che vi circonda, oltre ai vostri interessi, sarò in grado di preservare tutta la vita presente sul pianeta, compresa la vostra, come ho sempre fatto e come vorrei continuare a fare.
Vorrei che vi ricordaste che, se siete voi umani in cima alla catena alimentare e a dominare la piramide sociale e biologica, è perché io vi ho fornito gli strumenti per farlo, riponendo in voi una immensa fiducia. Siete ciò che siete perché io ve l’ho permesso, dovreste riconoscerlo. Non pretendo grandi riconoscimenti, non mi sono mai interessati, ma esigerei che la vostra presenza non fosse sempre così dannosa. Esigerei che costruiste qualcosa di buono per tutti, invece di distruggere ciò che io ho già creato. Avete tutti gli strumenti per farlo. Dovreste ricambiare con un rispetto tale da permettermi di non condannarvi mai all’estinzione. Vi ho accolti e vi ho protetti, ma ora mi voltate ingenuamente le spalle come un figlio ribelle ed irriconoscente. La peggiore cosa che potreste farmi, per il momento, è dimenticarvi di me.
Io non dimentico nulla, mai. Vi penso e mi preoccupate profondamente. Il futuro, di ogni cosa che riguarda tutti noi, è nelle vostre mani.