“A volte mi capita di uscire dal mio corpo e di vedere le cose da un punto esterno molto lontano nel tempo e nello spazio e tutto diventa molto mitico, mi vedo davanti al mio schermo 21 pollici con Neooffice che macina macro e fuori c'è un cielo color cemento, di fronte la seriale ripetizione di tanti appartamenti popolari, e -siamo verso le undici del mattino- mi viene in mente di essere qualcuno in qualche posto collegato ad una rete globale, tanto più piccolo il mio ufficio, tanto più grande è la rete globale

e poi alzo la testa e penso che adesso su nettuno stanno tendendo i cavi per la digitale, i piccoli robottini di Nettuno stanno tendendo i loro cavi ottici e penso di collegarmi ai robottini e vedere via webcam il nudo terreno gelato di Nettuno e cerco l'ip di connessione e quindi mi sento tanto piccolo e tanto sostituibile, mi sento così seriale anche io, un mondo fatto di tanti venerandi seduti alle undici e mezza a bersi il loro caffè di fronte al loro terminale pensando che quel momento, il momento in cui io penso queste cose, si potrebbe dilatare per sempre come se si allargasse una finestra del finder per uno spazio che eccede i limiti fisici del 1024 per 768, o come -in seconda istanza- come se quel momento potesse tornare di volta in volta e qui faccio un inciso,

non so se vi è mai capitato di avere dei rapporti sessuali con una persona, a me sì ne porto alcuni frutti del peccato, ma poniamo adesso che non ci siano frutti del peccato, parliamo in generale del momento ugualmente mitico dei tre minuti immediatamente successivi al rapporto sessuale, magari si resta lì a fissare il soffitto, magari uno va in bagno e l'altro controlla su internet la posta o mette su un disco di Prince o un caffè, ci siamo capiti, ecco, quel momento io lo penso come il buco che c'è sull'ago e penso che la vita sia un inanellamento di quei buchi con un filo che unisce idealmente tutti quei tre minuti post rapporto e li unisce in un unico momento della durata totale relativamente breve, in prospettiva voglio dire, ecco che c'è una vita parallela fatta da tutti questi momenti post rapporto sessuale che noi riconosciamo per il linguaggio del corpo, il nostro corpo in quei tre minuti parla una sua lingua diversa, e quindi -sto per finire- dopo ogni rapporto io riconosco il venerandi che avevo lasciato dopo l'ultimo rapporto e vedo che lui sta continuando la sua vita attraverso il tempo e di tanto in tanto torna a salutarmi, torniamo ad avere per tre minuti lo stesso respiro e il corpo fatto di fibre tanto umane, ecco la fine dell'inciso,

ritorno nell'ufficio fuori dal mio corpo, mi vedo dall'esterno che penso queste cose e sospiro e faccio un salvataggio e scendo a prendermi una focaccia al bar dell'istituto, per la cronaca questa cosa mi succede ogni volta che metto il disco Heathen di David Bowie non mi chiedete perché è anche un disco recente niente effetto madeleine proustiane, comunque io scendo al bar con il mio Powerbook sotto il braccio e vedo gli altri venerandi che lavorano, con il loro Powerbook sotto al braccio, e alcuni mi salutano, altri passano come se non mi conoscessero, e io penso che bello essere immerso in così tanti venerandi e cammino abbastanza spensierato e penso che questa cosa che mi succede è perché sto cambiando, me ne rendo conto tenendo ben stretto l'alluminio tiepido del Powerbook che questo momento mitico è il momento in cui sto cambiando e certe cose prendono tutto un altro aspetto e capisco che anche voi che state leggendo Macworld,

anche voi state cambiando e anche voi ve ne siete accorti, aprendo un'applicazione, sentendo un rumore, trovando dietro a un armadio a cassetti un floppy disk blu da tre e mezzo senza etichetta che chissà quando c'è finito lì dietro e lo guardate senza sapere cosa c'è dentro, magari c'è un pezzo di voi venerandi che è stato completamente dimenticato, cancellato, e proverete malinconia, un vuoto improvviso allo stomaco, sentirete la nostalgia del suono del modem, dei monitor a fosfori ambra, delle porte adb che è meglio non staccarle a computer acceso anche se lo fanno tutti da sempre, dei floppy disk a cinque pollici e mezzo quelli tutti molli, dell'icona a forma di disketto di Word che vuol dire salva, del dinghetto che fa quando ha salvato, di mia moglie bionda ventenne che ti chiama perché la tastiera del suo Macintosh plus non funziona più e tu venerandi vai da lei e scopri che la tastiera è solo staccata dietro e capisci che non è distrazione ma amore, di quando hai fatto per la prima volta un collegamento localtalk tra due Macintosh con il cavo stampante e hai guardato il tuo amico venerandi e la tecnologia vi brillava negli occhi,

di Vanessa Paradise che canta Joe le taxi su dj television e tu capisci che oltre al macintosh c'è dell'altro, del Sinclair Spectrum di tuo cugino che carica interminabili giochini dal registratore a cassette e tua zia da dietro che guarda e chiede se volete fare la merenda, di quei cosi che sembravano delle pinzatrici ma in realtà servivano a fare un piccolo buco rettangolare nei floppy disk da 800 k per farli diventare dischi da 1400k che poi dopo che avevi fatto il buco ne buttavi via metà perché non funzionavano più, dei primi cd 1x che sono più lenti dell'hard disk ma ci sta un sacco di roba, di te con primogenito tremesenne in braccio alle quattro di notte che con un braccio reggi il figlio tenendogli il viso premuto sul tuo petto su cui hai messo un tattico ciuccio e con la seconda mano puoi cliccare davanti al monitor dell'iMac tangerino che fa balenare nella sala la sua spettrale luce bluastra, di iTunes che manda le radio new age con suoni che non sai da dove arrivano e non sai neppure dove andranno a finire,

del momento in cui il disketto viene sputato fuori e i computer dice che no, ragazzi, non è proprio leggibile, delle incomprensibili traduzioni della Jackson nei libri per la programmazione dei microprocessori z80, del momento in cui il sistema si aggiorna e ti dice benvenuto in Macintosh e il tuo computer sembra dirti, da oggi meraviglie bello, grandi meraviglie e di tutte quelle cose che rimarranno per sempre addormentate nella ram carnale della nostra testa, cose che danno il senso di un rapporto con un prodotto di mercato che queste cose non le aveva neanche lontanamente previste, perché i computer diventano obsolescenti e si cacciano via, noi invece ci modifichiamo e l'obsolescenza ce la teniamo dentro, diventa un pezzo di noi venerandi che siamo il g5 biprocessore a 2 gigahertz e rotti, ma dentro quel g5 c'è ancora un 6502 che lavora come un muscolo incandescente e non si può proprio togliere” finisco di dire e apro la finestra perché l'acqua che bolle ha riempito la cucina di vapore, sembra di essere in piscina.

“Cioé?” mi chiede Elettra alzando la testa dall'iBook. “Cioé niente” dico io. “E' il pezzo per Macworld” “Mh” fa Elettra e scuote la testa e poi dice che Lotti questo non me lo fa passare. “Cioé -dice- già ha poco senso che uno nell'epoca di internet comperi una rivista di carta per computer, se poi la apre e ci trova cose che parlano di tutto meno che di macintosh, quello non la compera più”. Scuote ancora la testa e ritorna a guardare lo schermo dell'iBook bianco che tiene sulle gambe.

“Ecco ecco” faccio io indicandola. “Anche delle riviste di carta che parlano di computer sentiremo nostalgia. Adesso tutti a dire che sono obsoletissime, che non valgono i soldi della spesa, poi appena una muore, beh ti accorgi che non c'è più e non c'è manco più la linea che univa l'ultimo numero uscito a tutti quelli usciti prima. Quando comperi una rivista comperi anche quella linea, su internet non c'è quella linea, non c'è niente, non rimane niente. Ci sono siti che leggevo tutti i giorni che adesso non sono neppure così sicuro che siano esistiti veramente”. Tossisco.

Elettra annuisce e dice sì sì, ma intanto me lo bocciano perché non fa ridere e io le dico che semmai ci metto due o tre “cazzo!” in mezzo che di solito funziona ma capisco che Elettra non mi ascolta più, sta giocando a Solitaire 'till down, e io sento già nostalgia di Elettra con l'iBook sulle gambe che gioca le sue migliaia di partite a Solitaire 'till down: anche di questo proverò nostalgia.

E infatti, oggi, 2023, a rileggere questo racconto di più di vent'anni fa, mi sento come un foro dentro alla fotografia in movimento che ho davanti, un tunnel che mi fa vedere cose che non esistono più.

Sospiro e vado in bagno, alzo la tavoletta e vedo i colori dell'autunno: tiro la catena e il rumore dello sciacquone copre il turbinio dei rotori delle astronavi in partenza per Nettuno.