Arrivo dai miei genitori per prendere i miei figli che hanno passato da loro la pasqua e al parcheggio c'è terzogenita. Posteggio, scendo dall'auto. Terzogenita è in piedi sul bordo di un enorme trogolo, tiene in mano un retino da pesca. Accanto a lei c'è una ragazzina che sembra la sua copia, ma con i capelli castani. Un padre diverso da me correrebbe da lei per farla scendere, urlandole che è pericoloso stare lì, che se casca dentro potrebbe farsi del male, una congestione. Io invece cerco di ricordare con cosa hanno sostituito il 118, so che hanno cambiato il numero. “Ciao terzogenita” dico. Lei non mi risponde, parlotta con la sua amica e con forza gettano i loro retini dentro al trogolo per tirarne fuori liquame nero che – in parte – buttano fuori dal trogolo, in parte sui loro vestiti post pasquali. “Lei è Elena – mi spiega – stiamo lavorando per pulire i trogoli”. Annuisco. “Capisco” dico. Guardo il liquame nero che circonda il trogolo, guardo mia figlia, la vedo semibagnata e fangosa che getta le reti nelle profondità delle acque gelide e ne tira fuori limo che poi scaglia fuori e riprende ancora.

A modo suo sta migliorando l'umanità. Sua madre apprezzerà.

Arrivo alla casa dei miei genitori. Primogenito è sulla sdraio con il cellulare. “Ciao primogenito” dico. Lui non mi risponde. Mette in buffer. Passano almeno dieci secondi. “Ciao” dice alla fine. “Tutto bene?” gli chiedo. Altri dieci secondi di delay. Mio figlio sta laggando. “Sì” dice poi. Alza la testa, impercettibilmente. “Scusa – dice – sono concentrato. Sto facendo un torneo di scacchi”. Riabbassa la testa, torna nel suo mondo.

Vado nel giardino dei miei. Nel centro c'è secondogenito. È solo. Si muove lentamente, fa gesti ampi e coordinati nello spazio, tipo zazen. Per un attimo mi sembra un giovane praticante di Tai-chi. Poi vedo che in realtà ha l'Oculus Quest. “Ciao secondogenito” dico. Lui non si gira verso di me, continua a fare i suoi movimenti nello spazio della realtà virtuale. “Ciao” mi dice, come se mi avesse visto. “Sto sperimentando l'Oculus in spazi esterni” mi spiega. “Capisco” dico e – niente – penso che la vita in famiglia sia bellissima.