[bada-boom #1]
E così siamo partiti ragazzi, io, adolescente di cinquanta e passa anni e mio figlio adolescente e mia moglie adolescente anche lei, mia figlia, altra adolescente e l'altro ancora, adolescente di mezzo, tutti e cinque seduti nella Citroen Nemo che brilla chilometro dopo chilometro, tutti con il proprio bagaglio personale, sacchi di roba, zaini, vestiti, cibo, tutti pronti per partire da Genova e diretti a Jorpeland, il nome è di fantasia, migliaia di chilometri di Europa da superare, tutti un fascio di nervi, nervosi, irosi, tranquilli, felici, pronti a tutto, stanchissimi, e appena partiamo mettiamo l'autoradio e si sente la voce di Massimo De Francovich che inizia anche lui a leggerci le venti e passa ore di La coscienza di Zeno di Svevo e restiamo a guardare il paesaggio Ligure che sprofonda rapido nei meandri degli svincoli autostradali mentre Zeno dice che sta male, che ha una malattia, che sta benissimo ora, che va tutto alla grande.
Assieme a Svevo ci sono le voci dei fantasmi della nostra adolescenza, De Andre, Vecchioni, Bowie, Prince mescolate con le voci di altre adolescenze decenni dei sedili dietro, Madame, Sangiovanni, Rkomi un flusso ininterrotto di ricordi che si sovrappongono e si creano in questo momento per la prima volta, suoni e voci che rimbalzano per il vuoto stretto dell'abitacolo, prendono spazio nella nostra testa e noi – ascolto dopo ascolto – iniziamo a cantarle e ripeterle, allunghiamo il nostro abbecedario, confrontiamo e facciamo analogie e differenze tra quello che eravamo stati noi e quelli che sono loro, sentiamo tutto il peso delle generazioni e tutti i canali che il commercio ci lascia aperti.
I golem della comunicazione di massa che ci ripetono per centinaia di volte gli stessi jingle, le canzoni della buona notte, quelle per ballare, quelle per fare l'amore e noi lì, seduti immobili per ore dentro l'abitacolo della nostra astronave europea, le facciamo nostre, le mastichiamo e le ingoiamo finché quelle melodie, quei ritmi, quelle timbriche, faranno parte di noi, come cookies salvati selvaggiamente in uno spazio virtuale della nostra memoria.
Nessuno di noi lì, nella tangenziale, nella corsia di ingresso o di uscita, nella corsia di sorpasso o in quella di emergenza sta ballando, nessuno sta facendo l'amore, nessuno è cullato nelle braccia per addormentarsi, ma fingiamo, seguiamo le parole e fingiamo di innamorarci, di ballare, di dormire, mentre l'asfalto scorre sotto di noi.
Chilometro dopo chilometro, anno dopo anno. Le vacanze sono l'omeopatia del viaggiare, pensi di muoverti, ma stai solo esercitandoti, hai legato in vita un elastico e per quanto ti allontani dalla tua casa, ad un certo punto l'elastico ti tirerà indietro, alla tua strada, alla tua rete locale, alla tua routine, ai tuoi desideri normali, sponsorizzati, standard.
Gli anni invece passano, non sanno fingere, passano sopra l'adolescenza come nuvole in viaggio, a tratti il sole fa brillare il verde dei prati visti al finestrino, a tratti sparisce, banchi di freddo attraversano lo spazio e io mi stringo a me, nel sedile, nel caldo animale dell'abitacolo. Devo accendere l'aria condizionata per fare sparire dai vetri il vapore che i nostri corpi mandano, la nostra impronta. In me, nel corso del viaggio, albergheranno assieme la paura, l'ansia e il sentimento di essere solo un ombra. Quando, dopo essere scesi dal Preikestolen succederà quella cosa, sentiremo tutti quel rumore, e dentro di me la turbina dell'ansia inizierà a girare a mille e la consapevolezza di essere un adolescente vecchio, da abbattere. L'ombra di un adolescente passata sul mondo, come una nuvola in una delle sue piccole fasi di trasformazione, un'ombra che si aggrappa ai miti, ai leader, alla bellezza, alla tecnologia, per credere in una mia permanenza che non vedrò mai.
Dentro 'documenta', a Kassel, ci disperdiamo, ognuno segue un percorso diverso. Ad un certo punto sono appoggiato a una balaustra che guardo nel vuoto. Sotto di me ci sono gli altri visitatori, di fronte delle bandiere appese nel vuoto con delle frasi in inglese, una mi colpisce, prendo la macchina fotografica, la fermo.
“As an art student, I felt somehow like an outsider. As a mentor now, I want to do it differently from what I received and I am trying to bring the “lacks” in the contents of my teaching”.
Quanti pezzi di me ci sono in giro. Un pezzo di me che non conosco ha scritto quella bandiera. Un pezzo di me è Zeno Cosini, un pezzo di me è Arturo Bandini, che sto leggendo in viaggio, un pezzo di me è Marlow che racconta del suo.
つづく