[bada-boom #5]

Nel mio zainetto portatile ho messo il mio ebook reader, carico di romanzi, questa estate voglio leggere romanzi, e le medicine di Elettra. Sono i farmaci salvavita che deve prendere tutti i giorni, per anni, perché qualche anno fa le hanno asportato un tumore da un seno.

La prima volta che Elettra mi ha detto che aveva un tumore al seno, era distrutta e io la consolavo dicendo cose che – a posteriori – erano delle cazzate. Non avevo idea di cosa volesse dire avere un tumore. La consolavo con parole piene di una speranza che era tutta artificiale, dettata dalla mia ignoranza. Le dicevo che la avrebbero curata, che avrebbero tolto il tumore, che era piccolo, che anche il medico le aveva detto che – tra i tumori – non era uno dei tipi peggiori, che era controllabile. Che – insomma – era un momento duro ma lo avremmo superato.

Quello che ho imparato invece, nei mesi successivi, durante tutte le visite, durante tutte le rabbie, le paure che hanno accompagnato Elettra durante la preparazione all'operazione e poi dopo durante la chemioterapia e la radioterapia, è che un tumore ti cambia la vita. C'è una vita prima del tumore, dove hai dei sogni, degli obiettivi, che sai di poter contare su alcuni aspetti del tuo carattere e del tuo corpo, e c'è una vita dopo il tumore, dove i sogni, gli obiettivi, gli aspetti del suo carattere e del tuo corpo su cui puoi contare sono completamente cambiati.

Il tumore entra nella tua vita e inizia a prendere spazio, i tuoi pensieri, inizia a rivedere con te le prospettive che ti eri data, prende il futuro e ci si mette dentro. Anche quando viene rimosso, quando la carne viene presa e portata via, quando vengono tolti anche i tuoi linfonodi, quando ti cadono i capelli, quando ti senti debole e sola, quando le radiazioni ti bruciano la pelle e dentro per fare in modo che quel tumore sia eradicato da te, anche lì il tumore in realtà lascia il suo segno. Rimane nella paura costante della recidiva, nel suo sequel possibile. Resta nel cercare in rete le persone che sono come te, le microcomunità di donne che hanno vissuto o stanno vivendo quello che hai vissuto tu e che – di mese in mese – cambiano il loro assetto. Alcuni nuovi membri entrano nei gruppi, terrorizzati e in cerca di informazioni, altri escono, annunciano il ritorno del tumore, raccontano lo stadio finale, lasciano tutto.

Nel mio zaino ci sono le medicine che accompagnano Elettra da anni e ancora per anni l'accompagneranno, medicine che le alterano il corpo, l'umore, l'energia. Che le salvano la vita e le deformano la vita di tutti i giorni. La stancano. Quando le avevo detto che era un momento duro ma lo avremmo superato, mi facevo carico di una cosa su cui non avevo nessun potere, una cosa che che resta personale. Il tumore è tutto suo. Non è empatico, non è infettivo. Io posso solo mettermi lì, vicino a lei, e cercare di capire la cosa migliore da fare in un momento. Aspettare di capire cosa potrebbe essere utile per lei, in quella piccola ora che passiamo assieme, in quel frammento di vita. Frammento per frammento, momento per momento.

Non dare consigli. Non dare speranze. Non dire “dài, poi tornerà tutto come prima”. Non mettersi a organizzare la sua vita. Non scomparire. Non scomparire. Non sottovalutare il suo dolore, il suo fastidio, la sua stanchezza in tutti gli step dello stress della pre-operazione, il panico che – mese dopo mese – lui è lì nel tuo seno che cresce e l'ospedale non ti chiama. La routine meccanica delle infermiere e dei medici che ti trattano come uno dei tanti anelli della catena di montaggio e non si rendono conto che non è facile restare lì ad aspettare. Non trovare informazioni. Non trovare modo di comunicare il tuo essere irrazionale, il tuo diritto – cazzo – di essere irrazionale. Le ore passate ad attendere i preparati per la chemio senza sapere quanto manchi al tuo turno, perché non arrivino, perché uno sia passato prima di te. Andare a vedere le parrucche, i foulard per i tumorati che fanno chemio, scoprire i negozi specializzati anche in questo. Tornare a casa furenti perché la macchina per la radioterapia è guasta, piangere. Incazzarsi.

Volere soltanto il modo migliore per passare questo momento peggiore della vita. Dignità, civiltà, ascolto. Cose che si frantumano nei tagli, nei corridoi deserti, nelle code infinite, nello stress, nei banconi dove non c'è nessuno con cui parlare, gli uffici chiusi. Ogni piccola tagliola diventa un muro, un impedimento ad andare avanti. L'indifferenza.

È irraccontabile. Quando le persone vengono e parlano con Elettra, e si parla di queste cose, capisco che è irraccontabile. Non si percepisce la svolta, il cambiamento che prende la tua vita. Il fatto che la tua vita comunque continua, e puoi ancora fare cose incredibili, ma non è quella di prima, è un'altra cosa. Ed è un'altra cosa quello che dici tu che le stai parlando, è un'altra cosa avere dei figli, è un'altra cosa pensare a cosa farai tra cinque anni, tra dieci. È un'altra cosa il peso di quello che ti circonda, anche la merda, la sfiga, quando ti colpisce è un'altra cosa. Sei più debole, ma nello stesso tempo sei anche più resistente. Hai un tumore, hai vissuto cose che sono irraccontabili e sei ancora qua. In prospettiva, hai spianato montagne.

Anche lì in auto, tra me e Elettra che ora dorme, c'è il tumore, nei medicinali, nei pensieri, anche lui sta facendo con noi le vacanze, zitto, eradicato, decorticato, ci segue in Germania, in Svezia, in Norvegia. Il viaggio di Elettra è un viaggio più profondo del mio e dei nostri figli, sta viaggiando in un pezzo di Europa che è fatta anche dal suo corpo, dal suo odore, dal suo esserci e dal suo volerci essere. Se il mio viaggio è solo un viaggio il suo è una presenza. La guardo, di tanto in tanto, quando non mi vede poi di colpo si risveglia. Si guarda attorno, mi vede. “Vuoi il cambio?” mi chiede e io dico, grazie, alla prossima pausa, grazie.