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Non so come dirlo al resto della famiglia, mi metto a scrivere diversi messaggi che poi cancello e alla fine vado diretto, condisco tutto con dei “cazzo cazzo” perché sono un grande scrittore e non voglio mancare anche in questo caso di dare – oltre al dato spiccio – anche la mia partecipazione emotiva. Il succo, comunque, è che il meccanico ha ricevuto il pezzo sbagliato. Non è il turbo giusto. Il meccanico me lo ha detto soffrendo, ma il pezzo proprio non era quello giusto, un errore dovuto al fatto che la nostra macchina non era norvegese e quindi, da da da, seguono almeno trenta secondi di spiegazione in inglese tecnico-settoriale che non ho capito ma il succo è che quel pezzo non va bene. C'è un problema di alimentazione, qualcosa del genere.

E il pezzo giusto, il turbo giusto arriverà solo lunedì. Tra cinque giorni. Cinque giorni bloccati in un piccolo paese tra i fiordi norvegesi. Lo scrivo a Elettra che dopo un po' mi risponde anche lei con dei cazzo, e poi decidiamo di andare tutti e cinque dal meccanico. Negazione, rabbia. Il meccanico ci accoglie affranto, spiega a Elettra quello che ha già spiegato a me. Elettra chiede se non possiamo andare a prenderlo noi il pezzo, partiamo in auto e andiamo a prenderlo noi e lo portiamo sicuramente prima di cinque giorni e il meccanico adesso sembra il cuoco pasticcere di quel racconto di Carver, una piccola cosa buona, se potesse ci darebbe dei dolci per farci stare meglio, ma non ha dolci e quindi alla fine ci dice di pensarci, se possiamo aspettare cinque giorni e aspettare il pezzo, lui deve saperlo per farlo arrivare.

Di quello che succede dopo ho dei flash. Giriamo per il paese pensando a soluzioni alternative, prendere un'auto a noleggio per portare primogenito a Stoccolma e andare a chiudere il conto ad Älmhult, tornare tutti in treno e abbandonare l'auto al suo destino, addio piccola Citroen Nemo, smontare l'auto e vendere i pezzi come ricambi, abbandonare tutto e restare in Norvegia, cullati dal suo sistema previdenziale. Facciamo mille ipotesi e le distruggiamo e poi le ricreiamo di nuovo. La nostra vacanza sembra essere diventata una storia a bivi, sono saltati tutti i programmi che avevamo fatto, telefoniamo al campeggio già prenotato di Älmhult per dire che non arriveremo mai più.

So che a un certo punto arriva terzogenita sorridente che dice che la mamma, Elettra, ha trovato la soluzione: ha detto che se la vita ti dà del limone, ovvero qualcosa di acido che ti fa soffrire, bisogna trasformarlo in limonata. “Quindi?” faccio io. Terzogenita alza le spalle e dice, “restiamo cinque giorni in più qua e cerchiamo di godercela”. Appare anche Elettra con primogenito che parlottano, in lontananza con un sorriso un po' triste, un po' no, e mia moglie mi sembra – tra tutti – la persona più matura e che vede più lontano. Non tra i venerandi: in generale. Poi terzogenita dice che se però la limonata riuscissimo anche a venderla ci potremmo pagare il turbo.

Così inizia questa parte della vacanza non programmata, fermarci in Norvegia per cinque giorni, perché non possiamo andarcene, il motore è bruciato. Vado con primogenito a noleggiare un'auto per muoverci in quei cinque giorni e troviamo un tipo, lo descrivo meglio. Mi sono fatto un'idea di lui, ragazzotto bello, giovane, muscoloso, faccia di uno che non gliene frega niente di niente, appassionato di moto, tatuaggi, pulito ben rasato, ogni domanda che gli facciamo lui risponde come se la risposta fosse di una semplicità impressionante, gli chiediamo se possiamo avere un'auto a noleggio, lui dice sì, gli chiediamo per quanto, ci dice il prezzo, noi gli diciamo che allora la prendiamo e lui ci dà le chiavi. Tutto molto semplice. L'auto è fuori, dice. È una Volvo. Una Volvo di età indefinita, probabilmente era la testa di serie di diverse generazioni di auto fa.

Quando entriamo e ci sediamo ci sembra di essere comodi, ma non di una comodità come la pensiamo oggi nel 2023, ma di come si pensava si dovesse essere comodi negli anni settanta. È una specie di macchina del tempo. Raggiungiamo il resto della famiglia, abbiamo l'auto, penso, ora dobbiamo trovare un letto.

[...]

Il giorno che deve arrivare il turbo per la Cirtroen Nemo siamo tutti in attesa, giriamo attorno al meccanico come le mosche attorno a una carogna che però può ancora tornare in vita, come un gesùcristo qualsiasi e invece il pezzo non arriva. Il meccanico ci chiama, risponde primogenito e vedo subito che sta zitto per un tempo preoccupantemente lungo e poi dice tomorrow, altro silenzio, not today dice ancora e poi dopo un po' tomorrow. Non so se lo dica più a noi che a se stesso che al meccanico ma capiamo, il pezzo è ancora in viaggio. “In genere — ci riporta primogenito dopo aver buttato giù — sarebbe dovuto arrivare oggi ma si vede che il corriere è in ritardo”. Non osiamo parlare. Non osiamo pensare, non in maniera lineare. La nostra testa è una ramificazione di ipotesi per uscire da questa situazione e tutte vanno a scontrarsi con il fatto che ci serve il pezzo, a questo punto ci serve il pezzo. Più tardi andremo dal meccanico a fargli capire che questo ritardo per noi è un disastro e se domani il pezzo non arriva è più che un disastro, non so se esiste un termine per definire qualcosa che è più di un disastro ma è quello, più che un disastro.

Il fatto che la Norvegia sia ricca per il suo petrolio fa sì che — a cascata — sia anche economicamente svantaggiosa, se vieni dall'Italia. Il cambio è piuttosto facile: tutto costa più o meno il doppio. Se vuoi comprare qualcosa devi calcolare che spenderai il doppio di quello che avevi pensato. Devi stare attento a cosa pensi. Una volta che hai capito come funziona il cambio diventa semplice vivere in Norvegia, se sei norvegese. In tutti gli altri casi meglio vederne, goderne, e poi spostarsi. Paradossalmente anche la benzina e il diesel sono più cari che nella vecchia e tossica Italia.

Cerchiamo di fare capire al meccanico che dobbiamo tornare in Italia anche perché dobbiamo tornare a lavorare, e lui ci confessa che ci capisce e poi aggiunge, guardandoci negli occhi, che nel fine settimana ha pensato a noi tutto il tempo. É davvero dispiaciuto che non sia arrivato il pezzo, soffre anche questa volta. Ci dice — per consolarci – che se domani il pezzo arriva, in qualunque ora del giorno arrivi, lui non chiuderà l'officina finché il turbo non sarà montato sulla nostra Citroen Nemo e noi partiti per la Svezia. Di più non può fare.

Noi usciamo dall'officina come un onda dopo aver assediato uno scoglio, ma alla fine lo scoglio resta terra e il mare torna a essere liquido e instabile.

Ad un certo punto, mentre Elettra cerca un posto, un ennesimo posto dove dormire ancora una notte, io mi giro verso i miei tre figli che continuano ormai da una settimana a seguirci in questa serie di cambi improvvisi di programma, incertezza, casino, nervosismo, scazzo e gli dico grazie. Mi fermo proprio e dico ragazzi vorrei dire che vi ringrazio, che in questo momento di difficoltà per noi adulti siete sempre stati utili, non avete protestato, avete capito la tensione del momento, vi siete adattati alla situazione incasinata e — niente — non era scontato che lo faceste. Vorrei ringraziarvi, dico. E loro alzano le spalle, mi guardano, guardano Elettra, restano seri mentre parlo e quello che sto dicendo sento che lo capiscono, lo mettono in prospettiva, ognuno a suo modo. Poi vanno avanti, continuano a fare le cose che gli abbiamo chiesto di fare, spostare zaini, prendere le cose per dormire perché nel frattempo Elettra ha trovato un posto, questa notte si dorme in campeggio, un bungalow sulla riva di un lago.