[Diario dal letto #2]

Ieri sera ho visto le mie dita spuntare dal gesso e ho visto che si erano macchiate di blu, ho cercato di pulirle e ho scoperto che non erano sporche, era il sangue. Si deve essere fermato in alcuni punti del piede che si sono scuriti. L'ho presa con calma, ho pensato che stavo per perdere il piede e ho cercato su internet. Pare che sopravviverò. Ho chiamato il mio medico per sicurezza.

Il mio medico l'ho soprannominato, mr. saponetta. Ogni cosa che gli chiedo la fa scivolare rapidissimamente da sé, delega, a cascata. Mi ha detto di telefonare all'ortopedico che mi ha fatto il gesso. L'ho fatto. Mi ha risposto un'infermiera. La sua voce rimbombava nel vuoto. Mi ha dato l'idea di una persona sola, in un mondo troppo grande. Un enorme ospedale e lei, in un atrio, vicino a un telefono. Le sue risposte erano afferenti all'ineluttabile. “Eh” diceva. “Guardi” diceva. “Aspetti” diceva. E poi l'eterno nulla. Ho messo giù.

Per dimenticare ho letto le prime settanta pagine di un ebook che si chiama “Matematica senza numeri”. È pieno di disegnini. Per ora è piuttosto affascinante. Parla dell'infinito, della somma di infiniti e poi di questa cosa fichissima che si chiama “continuo”. Il continuo è una specie di inchiostro denso sulla realtà, sulla materia. Così denso che puoi spalmarlo sull'infinito e quello ci resta dentro, come una iper-nutella. Questo non è esattamente quello che dice il libro, ma l'autore non mi può sentire mentre leggo. Grande consolazione dei libri. L'autore non vede cosa ci entra nella testa e come.

Arrivato invece a pagina 241 di “Storia universale delle lingue” sto continuando solo come esercizio di puro masochismo. Ogni tanto procedo di due o tre pagine, disperatamente, sottolineando, consolato solo dal fatto che le pagine, loro, non sono un continuo e non sono nemmeno infinite; prima o poi, due pagine per due pagine, una per una, prima o poi arriverò alla fine e potrò rimanere così, di fronte al finito. È una delle più grandi rotture di coglioni che mi siano finite sotto gli occhi e la voglio finire proprio come monito. Potevi finire così. Potevi diventare un linguista.

Mentre soffrivo ho guardato tutto Cunk on Earth su Netflix. Bello, ma non ci vivrei. Lei è deliziosa. Alcuni momenti comunque splendidi. Però non ci vivrei. Ci vuole troppo tempo per ridere. Ho fatto vedere una puntata a Elettra e lei mi ha detto: – venerandi – dimmi amore – sai che ci sono cose venerandi e ci sono cose Elettra – sì – Cunk on Earth è una cosa venerandi – non Elettra – decisamente non Elettra – ok

BTW mi era venuta voglia di vedermi i film che non avevo ancora visto di Greenaway, per tirarmela e ricordare gli anni di quando ero ancora un giovane ragazzo universitario e soprattutto per parlarne male, ma ho scoperto che su Primevideo sono diventati tutti a pagamento. In pratica il grosso del catalogo è diventato a pagamento tranne la merda o le serie prodotte da loro. Possono sprofondare nell'inferno del digitale, ho pensato, piuttosto torno alle VHS.

Ho ripreso invece un gioco. Ho deciso di finire Grim Fandango. L'avevo mollato perché gli enigmi, in alcuni punti erano invecchiati male male. In più ero rimasto per due o tre volte bloccato per dei bachi, oggetti che sparivano, va bene, non mi dilungo. Mi sono messo in ottica storica. Se resto bloccato in un punto per più di mezz'ora, cerco in rete degli indizi per andare avanti. È contro la mia etica. Non lo faccio mai, ma, sto invecchiando. Ho pensato che poi cricco. Preferisco morire o restare senza un piede dopo aver finito Grim Fandango. Con questo pezzo Lucasarts dentro al corpo.

Ho anche comprato The Gardens Between che era nella mia lista preferiti ed era finito in offerta. Una di quelle cose prese per intuito, leggendo la trama e guardando le immagini. Un errore. Talvolta accade. Bello, interessante, ma fuori dalle mie corde. La storia è troppo sottomessa al puzzle. Non amo i giochi in cui mi trovo davanti a un puzzle logico da risolvere e lo devo risolvere perché sì. Voglio tutta la bambagia narrativa. Il cotone rosa profumato zucchero appiccicoso della narrativa.

Ogni sera mi devo fare un'iniezione di eparina. Mi metto lì, mi stringo un pezzo di carne, infilo l'ago, schiaccio. Tolgo tutto. “Infilo l'ago” è improprio. Lo appoggio. Poi faccio una leggera pressione, poi un po' più forte, poi un po' più forte, poi ancora un po' finché non sento un piccolo dolore e sento che l'ago entra e scivola dentro, lentamente. In pratica mi faccio la puntura con la stessa tecnica con cui sto leggendo Storia universale delle lingue. Per osmosi. Fingendo di non farlo.