In pratica correvo per prendere mia figlia terzogenita, avete presente, da calcio per portarla dall'ortodontista e ho messo male il piede, si è storto, ma storto storto che ho pensato cazzo così tanto storto non è bene, e ci sono caduto sopra, e ho sentito male come se fossi caduto con la moto ma senza moto.

Sono rovinato a terra come Harrier Du Bois, riuscendomi a sbucciarmi le ginocchia pur cadendo con tutto il peso sullo zainetto che avevo sulle spalle dove c'era l'ebook reader, ero sparso sul marciapiede come una vecchia giacca.

Mi sono alzato e ho iniziato a zoppicare come se mi avessero sparato a una gamba e sono andato a prendere ma figlia così, scusandomi, rantolando e ho preso mia figlia, l'ho caricata in moto e sono partito per andare dall'ortodontista.

Solo quando sono sceso dalla moto ho capito che mi stava facendo troppo male per essere una semplice botta. Non riuscivo più a camminare e mia figlia, per attraversare, mi ha dato la mano. Per aiutarmi. “Grazie” le ho detto.

Nella sala d'aspetto dall'ortodontista ho avvertito Elettra. “Guarda, amore sono caduto, non con la moto, non preoccuparti, non con la moto, non so se andare al pronto soccorso”. Elettra, che è esperta, mi ha detto vai in bagno, togliti la scarpa, guarda se il piede è gonfio.

Mi sono trascinato in bagno, ho tolto la scarpa, ho tolto il calzino, e avevo un uovo, in più rispetto al piede standard, un uovo di pelle rosa che ero sempre io, il mio piede. “Cazzo cazzo” ho pensato.

Ho scritto a Elettra, le ho detto temo si sia rotto qualcosa. Elettra ha mollato tutto, ha preso l'altro figlio, è venuta a salvarmi.

Andiamo all'ospedale. C'è appena stato un incidente. Gente sporca di sangue. Mi danno una sedia a rotelle, Elettra mi spinge cercando di capire dove. Mi sento tanto James Stewart. Quando arrivo dalla dottoressa mi guarda e mi dice, senta, per onestà devo dirle che noi non abbiamo l'ortopedico. “Ah” faccio io. La dottoressa continua e mi dice che in pratica avrei fatto i raggi fra diverse ore e sarei dovuto tornare la mattina dopo, con le lastre, per l'ortopedico.

Un tempo avrei detto ok. Avrei detto sfiga, ok. Me ne sarei stato. Invece ho guardato la dottoressa e le ho chiesto, ci sono altre opzioni? E lei mi ha detto, può provare ad andare a un altro ospedale, ma non le garantisco che troverà l'ortopedico. Ho guardato Elettra, siamo andati a un altro ospedale.

Ho dei flash. Io che entro, mi mettono sulla sedia a rotelle, e mi portano in una stanza buia dove una apparecchiatura che sembra uscita da Wall-e fa ampissimi movimenti circolari e si muove verso di me e io penso ora mi uccide, sono finito in un film di fantascienza distopico. È chatGPT che si vendica. Invece si addomestica, si fa più piccola e fa uscire un piano altezza del mio piede. Bellissimo.

La scena dopo sono in un corridoio che aspetto. Ci sono letti dappertutto. Anziani, tanti anziani. Soli. Gente rabbiosa, vecchia, collerica, folle. E più sono rabbiosi più mi fanno tenerezza. Una chiede dove sia suo nipote. Che lo aspetta. Perché non viene suo nipote? Un altro, più lontano, urla che non devono legarlo. Che lo hanno sequestrato. Da quattro ore mi avete sequestrato, urla. Chiamate la polizia, urla. A questo punto dall'altra parte del corridoio urla la donna, e chiede, chi è che dice di chiamare la polizia? È mio nipote? È lui che ha bisogno della polizia?

In mezzo le infermiere cambiano pannoloni nel mezzo del corridoio, mettono flebo, fanno prelievi, sembra di essere in un ospedale da campo.

Nella scena dopo sono in boxer davanti a tre infermiere e ho una gamba normale e una ingessata e le infermiere hanno i miei pantaloni in mano e si chiedono, e ora come facciamo? Come glieli mettiamo? Una delle infermiere mi chiede se può tagliare i pantaloni, togliere le cuciture, in modo da potermeli mettere con il gesso e io dico, no la prego no, non sono miei.

L'infermiera è stupita. “Non sono suoi?”. “No – dico io – sono di mia moglie. Me li ha prestati”. L'infermiera mi guarda con uno sguardo indecifrabile, e poi dice, ok ci penso io. Alla fine Elettra mi viene a prendere con due stampelle e mi lascia al parcheggio. Dal parcheggio a casa mia c'è mezzo chilometro. Dopo venti metri capisco che le stampelle sono una tecnologia ampiamente migliorabile. Dopo cento non mi sento più le braccia. Dopo trecento metri sono fermo e spero che la rotazione terrestre autonomamente mi porti fino a casa.

Mentre arranco gli ultimi cento metri penso ai docenti che non hanno concesso la dad agli studenti malati perché – insomma – se ti rompi una gamba puoi tranquillamente venire a scuola, che c'è di difficile? No?

E penso che la sofferenza è quello che ci rende umani, alla fine, con tutti i suoi difetti.