[la piscina]
Sono lì che giro su internet e scopro che dopodomani all'università di Avignone una persona si laurea con una tesi in cui in un capitolo si parla di me così decido di uscire e di andare in piscina alla sera dopo anni e anni che non lo facevo più.
Mentre vado in piscina con lo scooter elettrico mi rendo conto che è la prima volta in decenni che sto uscendo di casa per qualcosa che riguarda solo me. Non primogenito, non secondogenito, non terzogenita, niente di familiare, comunitario, è una cosa egoista mia che faccio, nuova, e non so cosa succederà.
C'è una luna piena nel cielo e mi sento quello spirito straniero, come se fossi uno dei tanti stranieri che abita la città e che potrebbe sparire in quartieri di Genova inesistenti, come quando avevo vent'anni e ogni zona della città era per me un continente inesplicabile e inagganciabile con il resto.
Dura poco, ma abbastanza.
Arrivo alla piscina alle sei e mezza di sera, posteggio, c'è un sacco di gente, auto posteggiate, vado alla cassa e dico salve sono venerandi sono decenni che non faccio più nuoto libero e volevo riprovare. Posso entrare gratis?
C'era infatti un form sul sito della piscina che se lo compilavi, in cambio della profilazione, ti davano un ingresso gratis. La signora dietro alla cassa sorride dice, vediamo, dice vedo il suo nome, venerandi, dice, lei era iscritto qua nel 2017.
Io inizio a pensare che sia un trucco per non farmi entrare gratis. Può darsi dico. 2017 può darsi. Non me lo ricordo assolutamente. Non ricordavo nemmeno fossi ancora vivo nel 2017. Non lo escludo. Ma se è un problema, dico. Lei dice no, aspetti. Lei ha anche compilato un form online. Nell'estate 2022.
La guardo. Dico può darsi dico. 2022 può darsi. Non ricordo di avere mai compilato niente del genere, ma può darsi. Lei guarda ancora poi dice, ma non c'è quello di questo pomeriggio. Eh no, dico io, quello è l'unico che sono sicuro che l'ho compilato. 2023 sono sicuro. Lei non dice niente, vabbé dice, comunque se me lo dice ci credo, la faccio entrare gratis, dice e io sorrido dico bene dico.
A Genova c'è sempre questa cosa che le cose di promozione non funzionano mai come a Milano. Non sono mai automatiche. Non è colpa dei genovesi, deve essere qualcosa del clima, la macaia, non so, ma le cose non funzionano mai bene. C'è sempre qualcosa che non funziona. Un timbro che manca. Un interruttore che non interruttora. Un appuntamento che però manca il custode con le chiavi. Una sala che si gela perché non si sa perché il riscaldamento non funziona.
Genova è così, fallisce in partenza. Per questo punta tutto sui pannelli illustrativi. Mostre con pannelli illustrativi. In italiano e inglese. Immagini un po' sgranate. I pannelli llustrativi non tradiscono mai.
Entro negli spogliatoi che sono sotto la piscina, una specie di polmone che respira sottoterra. Dentro ci sono figure femminili che asciugano bambini e bambine, maschi alfa che si circondano i piedi con l'asciugamano, rumori di asciugacapelli con lucine colorate verdi e rosse che scattano, rumore di cloro odore di vociare lontano, colpi nel grosso corpo dell'acqua che sta sopra di noi.
Penso a quante volte sono stato lì, a portare primogenito ranocchio, secondogenito ranocchio, terzogenita ranocchia, a vederli cambiarsi, aiutarli, scomparire dietro la chioccia istruttrice. Andare sugli spalti e vederli fare i loro fragili movimenti nell'acqua fondo azzurro mentre io – con il portatile – fingevo di essere uno scrittore, di essere da qualche altra parte e invece ero lì che bruciavo tutto.
Le vasche del nuoto libero sono piccolissime, c'è troppa gente. Resto così a fissare cercando di capire dove entrare e poi mi butto. Cerco di capire il ritmo degli altri nuotatori, mi infilo in mezzo.
Mi ricordo ancora le serate passate d'inverno nell'acqua gelida delle piscine di Serra Riccò, quanto avrò avuto. Tredici anni. Forse meno. Non esistono più. Una volta ci sono passato, decenni fa, c'era tutto il complesso in rovina. Cemento armato che si sfaldava.
Dopo due ore che nuoto alzo la testa e vedo che sono passati dieci minuti. “Cosa” penso e ansimando mi aggrappo al cordolo. Cazzo, penso, cazzo. Ma non esco, ho pagato per un'ora, penso, e almeno un'ora faccio.
Poi mi viene in mente che sono entrato gratis.
Dopo mezz'ora esco dall'acqua come un naufrago che cammina a passi tardi e lenti sulla spiaggia e si volta indietro per vedere il pericolo da cui è scampato e nel mio caso non è la piscina, ma la consuetudine e la vecchiaia. Sotto la doccia poi, mi beo di questo getto primordiale sul corpo come una pisciata divina, forte, scoordinata.