[libri e memoria]
Non dovrei mai mettere a posto i libri, oppure farlo più spesso. In questi giorni che non sto benissimo mi sono preso del tempo per farlo. E sono emerse cose che – nella vita incasinata – non curo e invece.
Trovo un libro che avevo fregato a mia zia, La caduta, di Camus. L'avevo letto decenni fa, su spinta di mia zia e ancora adesso mi ricordo alcuni frammenti dell'Esilio e il regno, che era un'altra sezione del libro. Lo apro e scopro che era quello che mesi fa cercavo da mia zia, per rubarglielo. E invece lo avevo già rubato. Non tanto per Camus, ma perché ha due frontespizi. In uno c'è scritto l'autore, il titolo del libro, e sotto il nome della casa editrice. Nella pagina a fianco – letteralmente – c'è un frontespizio identico, autore, titolo del libro, e casa editrice. Solo che a sinistra la casa editrice è Bompiani, a destra è Garzanti.
Cerco di mettere tutti i Mondadori assieme, almeno quelli di narrativa, e a un certo punto prendo un Strade blu e cerco di infilarlo a fianco degli Oscar. E quello si rifiuta. È più alto. Non ci entra. Devo necessariamente metterlo due scaffali più in basso. Le braccia mi cascano lungo i fianchi. Ecco perché evito di mettere i libri in ordine, perché poi succedono queste cose. Le idee si scontrano con il legno.
E poi ci sono i libri che scompaiono. Cerco tutti i miei libri di Morovich, ogni tanto li ricontrollo perché se scompaiono è un disastro, quello chi lo ristampa. E scopro che è scomparso I giganti marini. Vado scaffale per scaffale, al piano di sopra, al piano di sotto. Scomparso. Avrò fatto la cazzata, penso, l'ho prestato. Perché è un bel libro, l'ho prestato, la cazzata. E resto così, guardo il grande acquaio della libreria, i libri sferzati dagli anni, dai traslochi, dalla polvere, dall'umidità, dai figli e penso che magari è lì, da qualche parte, come un pesce smarrito nel piccolo oceano della mia memoria.
È sparito anche Verba manent. Te pareva. Verba manent è un libro importantissimo, spiega tecnicamente come fare storia orale, è uno dei libri più importanti che abbia letto e – per farla breve – decenni fa l'avevo perso. Perso. Poi un giorno, in casa di Francesco, eccolo. L'avevo prestato a lui. Me l'ero ripreso. E ora ho rifatto la cazzata. Devo averlo riprestato a qualcuno. Possibile che non abbia imparato? Alcuni libri si devono prestare, altri no. Servono a dare conforto in casa, non vanno lasciati liberi.
Poi trovo questo libro di Beckett, già letto decenni fa e mi ricorda qualcosa la copertina, lo apro e c'è l'anno e il mese e mi ricordo. Siamo io e Elettra, ci siamo messi insieme da un mese, siamo sul lungomare ligure in agosto e andiamo alle bancarelle e io mi compro questo libro di Beckett che mi sembra uno splendore. Io ho ventiquattro anni, a fianco a me questa ragazza con uno sguardo che buca l'estate e ora sono chinato nel corridoio, nel buio della sera, davanti alla camera di mia figlia e lo richiudo e lo rimetto a posto tra gli Einaudi.
Mentre sono lì mi appare in chat una persona cara che non vedo da tanto tanto tempo mi manda una immagine. È un mio ex libris, fatto a mano. Che libro mi hai fregato le chiedo, ed è strano perché mentre le parlo mi immagino il suo viso dell'ultima volta che l'ho vista. Forse gli anni novanta. E le parlo come se avessimo smesso ieri. È Strindberg mi confessa dopo un po', mi dice il titolo. Guardo nella mia libreria, e quel libro ce l'ho uguale. Guarda – le dico – che era un modo per regalartelo. L'ex libris non ce lo avevo messo per segnare che il libro era mio, ma perché non lo era più. Lei dice, lo so.
E poi mi racconta una cosa che avevo completamente dimenticato. Mi fa impressione. Un intero episodio della mia vita di cui non ricordo quasi nulla. Siamo ad una retrospettiva su Orson Welles, sempre anni novanta. Una maratona, non so quanti film. Per chi resta fino alla fine c'è una lotteria, estraggono a sorte un biglietto. Lei a un certo punto della maratona deve andare via. Mi lascia il suo biglietto. Io resto fino alla fine. Quarto potere. L'infernale Quinlan. L'orgoglio degli Amberson. Estraggono a sorte il vincitore. Io non vinco. Ma lei sì.
Quindi sono salito sul palco, imbarazzato, ho ritirato il premio. Mi racconta tutto lei. E cosa era il premio? le chiedo. Non ricordo nulla. Lei mi risponde, una cosa bellissima, che ho tenuto fino a pochi anni fa, poi si è rotta. E cosa era? le chiedo. Spero che l'oggetto sblocchi un ricordo di questo mio pezzo di memoria. E lei me lo dice e c'è della beffa in questo ritorno indietro nel tempo, alle cose che si sono perse con l'andare degli anni.
“Una sfera di vetro con dentro la neve” mi scrive e io sorrido e le dico grazie, mi hai fatto un bel regalo stasera.
Rosebud.