Sono in auto con terzogenita, guido e ogni tanto la guardo nei suoi incasinatissimi dodici anni e vedo che il suo volto cambia continuamente, come se dal fondo di un fiume che io non posso vedere emergessero ombre di tronchi dell'immaginazione: e ride allora, al niente; fa gli occhi grossi; diventa attonita e poi le fiorisce sulle labbra un sorrisetto ironico.

Chissà cosa sta pensando, mi chiedo. E poi penso che fino a poco prima anche io ero perso nei miei ragionamenti, nelle mie illusioni e questa – mi dico – è una cosa per la quale io e lei ci somigliamo: siamo due sognatori, di quelli ad occhi aperti.

“Sai cosa abbiamo in comune noi due?” le chiedo allora nel silenzio dell'abitacolo. Lei si volta verso di me, la fantasia del suo volto mutante scompare.

“Le ossa” mi risponde.