Il Fediverso della Buona Sovranità

Il fediverso, se ci si pensa è una fantastica metafora per intendere il BUON sovranismo (che NON è e NON può essere nazionalismo). L'idea del fediverso, infatti, mima l'esatto contrario della globalizzazione così come è stata imposta dalle abili e invisibili mani delle tecnocrazie mondiali.

Che il nazionalismo non possa essere sovranismo lo si dovrebbe capire con poche battute. Nazionalista è colui che propugna la superiorità di una certa nazione, che rapidamente diventa costume e addirittura razza, naturalmente antagonista rispetto a tutto ciò che è diverso. In tal senso, il nazionalismo è preludio, attraverso il conseguente imperialismo, dell'omologazione come allargamento forzato del potere di una nazione sulle altre nazioni.

La globalizzazione è stato un processo in cui specifici nodi sovraordinati della rete (quelli che oggi chiamiamo poteri forti) hanno imposto a tutti gli altri sistemi non già un linguaggio comune per comunicare tra diversi territori, ma all'opposto un territorio comune dove competere con regole imposte dall'alto, dettate, guarda caso, da chi sapeva di poter vincere facile, in modalità monocratica, oltre che monodirezionale.

Se ci pensiamo, il fediverso esprime appunto la situazione esattamente opposta: una serie di “isole” del tutto sovrane rispetto alla loro esistenza interna, che però comunicano tra loro attraverso protocolli di linguaggio comuni, come a sancire una filosofia multilaterale di fondo.

Se l'imperialismo delle società di rating ha un nome, quel nome è certamente in rima con le politiche monetarie dei grandi sistemi sovraordinati, che selezionano e foraggiano una classe dirigente obbediente che nei vari territori nazionali depreda, svende, smembra, anestetizza, piega al proprio volere attraverso l'illusoria e vacua veste di una democrazia solo sulla carta.

L'omologazione che, invece, deriva dalla globalizzazione, somiglia molto, su vasta scala, al processo che Pasolini descriveva in modo molto eloquente nei primi anni Settanta, in un noto intervento di quella che all'epoca era una televisione italica pubblica degna di questo nome.

Pur non condividendo la matrice nichilista e apocalittica di Pasolini, non posso fare a meno di notare come in generale l'omologazione abbia fatto, dopo il crollo del Muro di Berlino, dopo Maastricht, dopo la grande globalizzazione, un radicale e definitivo passo avanti. Omologazione come privilegio dei pochi a danno dei tanti, in lotta perenne tra loro, alla base della piramide sociale.