Phil in Fediverse

Un blog delle origini. Di Filippo Albertin...

Sul revival socialista successivo al film di Amelio su Craxi, diciamoci una buona volta come stanno le cose. C'è una cricca atomizzata di “ex” che bene o male hanno nostalgia di un tempo in cui c'erano soldini per mantenere famiglie e fidanzate.

Il fediverso, se ci si pensa è una fantastica metafora per intendere il BUON sovranismo (che NON è e NON può essere nazionalismo). L'idea del fediverso, infatti, mima l'esatto contrario della globalizzazione così come è stata imposta dalle abili e invisibili mani delle tecnocrazie mondiali.

Che il nazionalismo non possa essere sovranismo lo si dovrebbe capire con poche battute. Nazionalista è colui che propugna la superiorità di una certa nazione, che rapidamente diventa costume e addirittura razza, naturalmente antagonista rispetto a tutto ciò che è diverso. In tal senso, il nazionalismo è preludio, attraverso il conseguente imperialismo, dell'omologazione come allargamento forzato del potere di una nazione sulle altre nazioni.

La globalizzazione è stato un processo in cui specifici nodi sovraordinati della rete (quelli che oggi chiamiamo poteri forti) hanno imposto a tutti gli altri sistemi non già un linguaggio comune per comunicare tra diversi territori, ma all'opposto un territorio comune dove competere con regole imposte dall'alto, dettate, guarda caso, da chi sapeva di poter vincere facile, in modalità monocratica, oltre che monodirezionale.

Se ci pensiamo, il fediverso esprime appunto la situazione esattamente opposta: una serie di “isole” del tutto sovrane rispetto alla loro esistenza interna, che però comunicano tra loro attraverso protocolli di linguaggio comuni, come a sancire una filosofia multilaterale di fondo.

Se l'imperialismo delle società di rating ha un nome, quel nome è certamente in rima con le politiche monetarie dei grandi sistemi sovraordinati, che selezionano e foraggiano una classe dirigente obbediente che nei vari territori nazionali depreda, svende, smembra, anestetizza, piega al proprio volere attraverso l'illusoria e vacua veste di una democrazia solo sulla carta.

L'omologazione che, invece, deriva dalla globalizzazione, somiglia molto, su vasta scala, al processo che Pasolini descriveva in modo molto eloquente nei primi anni Settanta, in un noto intervento di quella che all'epoca era una televisione italica pubblica degna di questo nome.

Pur non condividendo la matrice nichilista e apocalittica di Pasolini, non posso fare a meno di notare come in generale l'omologazione abbia fatto, dopo il crollo del Muro di Berlino, dopo Maastricht, dopo la grande globalizzazione, un radicale e definitivo passo avanti. Omologazione come privilegio dei pochi a danno dei tanti, in lotta perenne tra loro, alla base della piramide sociale.

Il dialogo iniziato in questo post continua su un PAD dedicato. In forma di documento condiviso daremo forma a questa idea di mappa in progress.

A commento di questo articolo di Wired, non posso fare a meno di citare (tra i tanti, ovviamente, tra i tantissimi) questo film del 1969, scritto e diretto dagli stessi attori di punta (Gassman, Celi, e il meno noto Lucignani) che magistralmente lo interpretano. Era l'Italia del passaggio dai Sessanta ai Settanta. L'Italia in cui la narrativa cinematografica popolare si fondeva tranquillamente con la più aspra satira politica e sociale.

alibi locandina

Ricordiamo la colonna sonora, guarda caso, del grande Ennio Morricone “in lounge”.

Il film è reperibile, suddiviso in parti su YouTube. Vale la pena vederlo.

UnoDueTreQuattroCinqueSeiSette

Chiunque volesse dare uno sguardo alle tesi di Nuova Direzione può farlo scaricando la mia versione evidenziata. La versione è esattamente quella regolarmente approvata, con mie personali sottolineature.

Tesi Nuova Direzione con Sottolineature di Filippo Albertin

Scrive un mio caro amico socialista in Facebook:

Ho fatto una fatica tremenda a seguire la sardina in Tv. Sono come quelli che lavorano da un giorno e vogliono raccontare cosa sia il lavoro a chi opera da 20 anni. Raccontano come fossero una sensazionale novità cose che chi milita in qualsiasi formazione politica fa da tempo immemore. Hanno scoperto l'acqua fredda. Anche questo è populismo. Abbiamo populisti tamarri, populisti toscani e adesso anche i populisti romantici. L'ennesima moda politica utilizzata da qualcuno per non lavorare. L'ennesima trovata mediatica priva di contenuti politici. Gente che non risponde ad alcuna domanda li si ponga, tranne quando si parla di Erasmus. Nella piazza di Roma delle sardine c'erano solo over 50. Pochi, sparuti, militanti di Possibile, renziani, sinistra italiana, qualche Leu, e rifondaroli. Questo fatto vorrà pur dire qualcosa, se i giovani sono fuggiti ci sarà un perché. . Siamo passati dalla speranza al solito popolo randagio dei partiti della sinistra che provano le scorciatoie emozionali invece di impegnarsi in una ricostruzione faticosa. È bello chiamarsi sardine per non fare autocritica. Non riuscirete mai a ricostruire la sinistra senza socialismo. Alla fine dovrete arrendervi.

Mi sono permesso di rispondergli allargando il campo:

Questo breve post meriterebbe di essere citato in un articolo, perché indirettamente affronta una questione ben più generale, una questione che le Sardine, con questa ormai eloquente presenza nei media di regime, evidenziano in tutta la sua crucialità. Circa una quindicina d'anni fa, quando ero trentenne, quindi neppure giovanissimo, frequentavo parecchi neolaureati in quanto animatore di svariati progetti in ambito associazionistico. Ebbene, non parliamo di ieri, quindi immaginiamoci cosa possa essere accaduto nel frattempo. Parlando con la popolazione universitaria, la sola cosa che sentivo, una scelta che veniva presentata non già come dura e sofferta, ma come ovvia, banale, consequenziale, era l'andare all'estero. Cosa possiamo aspettarci da un giovane che non ha ancora impegni di famiglia, genitori anziani, ormoni belli arzilli e una gran fregola filoeuropeista e filostatunitense, generate da decenni di subalternità del nostro paese? E questa cosa la sentivo, appunto, oltre dieci anni fa, quando comunque un barlume di istituzione, sia pure nel cosmo dell'Italia berlusconiana, esisteva. Io vi parlo di cose concrete. Nel Veneto dell'ex governatore Galan (non so se mi spiego, mica un bolscevico eh), la Regione era ancora un ente dotato di un minimo di autorevolezza e mobilità progettuale. A distanza di una dozzina d'anni, con la giunta Zaia (e sottolineo, Zaia), lo strapotere delle cricche di circuito è talmente aumentato, che oggi, per un qualsiasi progetto, la Regione – ma anche i singoli comuni – demanda alla fondazione bancaria di turno, ovviamente a conduzione piddina, che a sua volta mette in moto i meccanismi di ARCI e affini, e crea i suoi bandi truccati per fare uscire soldi con la mano destra e prenderli con la sinistra. In un quadro del genere, dove solo l'ammanicato e il raccomandato fanno strada, scippando i diritti al vicino, ci stupiamo se i giovani della politica non sanno che farsene?

Il lavoro (labor latino) inteso come fatica, impegno, sudore, ma anche opera, espressione, realizzazione. Il lavoro come problema, il lavoro come dimensione.

Sulla scia delle varie declinazioni del grande tema del “lavoro” nella quotidianità contemporanea, stiamo elaborando una grande proposta formativa ed espressiva per mettere in scena un dialogo con la città e i cittadini. Lo faremo utilizzando gli strumenti del songwriting e dell'improvvisazione teatrale, all'interno dello spazio fisico e relazionale del Vicenza Time Cafè, nel pieno centro della città del Palladio.

Un ciclo di incontri serali, a partire da marzo 2020, per arrivare a metà maggio con uno spettacolo pronto. Non serve conoscere la musica, non serve avere particolari esperienze. Basta portare sé stessi, la propria esperienza, le proprie passioni. Il per-corso può rivolgersi indifferentemente a musicisti provetti o poeti, cantanti o scrittori-scriventi, sia dilettanti che professionisti. Il bello, già peraltro sperimentato con grande successo, sarà fare di questo “labor-atorio” un'occasione propulsiva per generare relazioni attraverso l'incontro delle arti, l'affinamento della tecnica, l'ascolto e appunto la cucitura su misura di un evento da svolgere insieme.

Per informazioni scrivimi direttamente.

Ancora su non ortodossia: Si parla di politica e non ortodossia, una sorta di ossessione. Su Dialoghi e Mappe, nuovo blog di approfondimento.

Oltre a questo... Nel primo post del medesimo blog si invita a far partire un dialogo. Partecipate, partecipate numerosi.

Per commenti scrivimi direttamente.

Ho un nuovo spazio su Mastodon, che sfrutta l'isola “punto uno”, a forte presenza italica. Un luogo indubbiamente interessante. Mi trovate anche lì.

Non so quanto sia fediversico, ma trovo giusto citare anche il mio blog nella community del browser Vivaldi, che vi consiglio.