Leggero
il fuoco
in queste sere di gennaio, in cui mi ritrovo sempre i piedi gelidi, mi ritrova ad aspettare solo una cosa: il fuoco. quel lento accendersi delle fiamme, che a mano a mano illuminano sempre meglio la stanza, scandisce in maniera inequivocabile il passare delle giornate. come quando in vacanza misuriamo il tempo in giorni che restano prima di tornare alla vita di tutti i giorni, in questi giorno misuro l'avanzare sulla luce che esce dal mio camino la sera. quando la vedo è il segnale che un'altra giornata è andata.
è una cosa appagante. calcolo sempre la posizione ottimale in cui sistemare i miei piedi gelidi per ricevere più calore possibile. mi sembra sia sempre così. noi uomini dividiamo il tempo in unità di piacere e misuriamo le giornate secondo il tempo che rimane alla nostra felicità (personale e momentanea). poi abbiamo inventato gli orologi, perché sono assoluti e oggettivi e, soprattutto sincronizzati. perché la mia gioia, a gennaio, arrivava una volta al giorno, tutte le sere. diversamente ad altri.
fin da quando ero piccolo, il fuoco era un appuntamento costante e gradito a gennaio. forse, dall'infanzia, era cresciuto il mio gradire il calore in proporzione a quanto era diminuita la mia tolleranza del freddo. prima mi gettavo in ogni situazione scomoda senza pensarci. col tempo divenni più cauto. cercavo conforto nelle mie passioni e aspettavo la sera. ora non l'aspetto più, ma quando arriva sorrido.
il percorso tabiano – montale
le mattine invece sono veloci, piene di impegni e scadenze. all'inizio i ritardi erano molti. ma poi, piano piano, mi sono lasciato addomesticare dalla routine. sveglia alle 7.00, colazione e via in bagno per uscire di casa alle 8.00. un'ora di macchina e una puntata di podcast dopo sono a montale, pc, davanti alla porta dell'ufficio ad aspettare i colleghi con le chiavi. in genere c'è sempre un ragazzo prima di me, chris, di cremona. penso segua pressappoco la mia stessa routine, ma a lui viene più automatica, quasi un'opera d'arte. pure a programmare sembra un robot. tiene gli occhi aperti e fissi sullo schermo.
l'insostenibile leggerezza dell'essere
alle 19.52 ho finito di leggere la seconda parte del libro di Milan. faccio fatica a capire come una persona vera possa scrivere con occhi così aperti e con così tanta scioltezza nell'esposizione. mi viene difficile credere che i suoi personaggi siano inventati, anzi un po' mi ferisce. mi ferisce pensare che, in verità, non sia mai esistito nessun thomas, nessun karenin o nessuna tereza. pensieri da sempliciotti – mi rimprovero. però davvero dev'essere un mestiere violento quello di inventare delle vite e lasciare che uomini e donne se ne innamorino, per poi confinarli su un tomo di carta.
ma confido nei grandi numeri e nella probabilità statistica che, tra tutti gli 8 miliardi, esista un thomas e una tereza da qualche parte. magari con nomi diversi e capelli mori, ma comunque finiti insieme per strane coincidenze, una canzone di beethoven o un viaggio in treno a casa di lui. certe storie dovranno pure succedere. se no che senso ha tutto questo pathos? l'umanita ha passato tutta la sua storia ad insegnare ai propri figli ad impazzire davanti a una bella ragazza e poi, mi dite, che certe storie sono destinate ad esistere solo in un libro?