Quaderni Giapponesi: Moga, Mobo, Mostri

Con questo terzo viaggio nella terra del Sol levante Igort ci porta tra le vie dell’occulto, del bizzarro e del macabro. Vie che molti considerano troppo cupe perché vi si possa annidare cultura. Ma d’altronde si sa: La bellezza senza veleno è noiosa.

Potrebbe sembrare strano ad un primo sguardo che Igort abbia dedicato un intero volume della trilogia sul suo Giappone ad un fenomeno, quello dell’ ero-guro (crasi di “ero guro nansensu”, ovvero erotico e grottesco nonsense), così di nicchia. Parrebbe un piccolo anfratto di una cultura più vasta, quasi insignificante rispetto alla tradizione giapponese che tutti conosciamo e amiamo.

Dopo poche pagine tuttavia, grazie ad una accattivante ma nostalgica introduzione, appare chiaro come il fenomeno ero-guro sia ben più ampio rispetto a quanto il Giappone stesso non ci voglia far credere, e affondi le sue radici nello stesso cuore delle tradizioni riconosciute e rispettate.

Come un fratello diseredato, estromesso dalle foto di famiglia, ma che conduce senza timori e vergogna una sua vita spregiudicata, così l’ero-guro ha sempre giocato un ruolo fondamentale nell’arte e nell’immaginario collettivo, dalle stampe, al teatro, al cinema.

Un passato e un presente costellati di violenza, mostri, perversioni, arte occulta e contemplazione artistica di drammi macabri. Una profusione di noir, yokai, personaggi singolari e fatti reali. Il fascino di questo modo di vedere il mondo sta proprio nel non riuscire a individuare una retta via, un’etica, un limite preciso tra la perversione psicologica ed il reale.

Tutto questo convive con un Giappone che ha costruito ed esportato una immagine di sé fondata sul rispetto, l’onore, la bellezza naturale e la saggezza buddhista. Appare chiaro quindi come il contrasto con l’ero-guro sia logicamente insanabile. Come possono convivere aspetti così distanti e contraddittori?

In realtà, l’arte dell’imperfezione, il wabi-sabi, e la celebrazione della violenza dei samurai e della guerra, oltre che la paranoica ossessione con le occulte forze della natura dello Shinto e delle religioni locali sono risvolti simili e compatibili con l’arte ero-guro. Quest’ultima declina però tali aspetti in chiave moderna, quasi pop, urban, e inaspettatamente progressista.

All’improvviso riusciamo a scorgere lo yin nello yang, la violenza nell’ordine, il sangue nella perfezione, il progresso nel caos.

La vita idealizzata lascia spazio ad una realtà di sopravvivenza, conflitto interiore psicologico e conflitto esteriore con le imposizioni di una società sempre più inquadrata in paradigmi aziendali.

Tutto molto poetico per noi, che possiamo osservare tali fenomeni con occhio distante e imparziale. Non altrettanta fortuna hanno però gli autori di tali opere, che sin dal medioevo giapponese si ritrovano a vivere esistenze squallide ai margini della società, cantori di storie affascinanti ma terribili, artisti maledetti dalla loro stessa arte.

La fondamentale influenza nella cultura giapponese moderna viene loro negata, ogni loro conquista prontamente nascosta sotto il tappeto. Non ci sorprende quindi constatare come tali autori abbiano avuto più successo e riconoscimento artistico all’estero che in patria.

Un aneddoto emblema di questo rapporto conflittuale tra arte e patria ci viene raccontato da Igort stesso. Alla frontiera d’ingresso in Giappone vengono confiscate e trattenute le opere più scabrose e anticonformiste, persino le opere stampate nel paese stesso.

L’arte violenta, morbosa, occulta resta quindi relegata a piccole pubblicazioni clandestine, mostre di terza categoria. Forse ciò le permette di rimanere incorruttibile, libera da regole e imposizioni. E’ in questo panorama che alcuni luminari del cinema e del fumetto riescono a concepire film di genere (pink eiga) progressisti, fumetti irriverenti, scevri dai condizionamenti delle grandi produzioni e perciò liberi di sperimentare e raccontare in modo sincero il Giappone con tutti i suoi difetti.

Nazionalismo, violenza di genere, ritmi di vita sfrenati assumono allora le forme di mostri, di personaggi bizzarri, vere incarnazioni delle reali mal sanità del paese.

L’uomo si spaventa del mostro, come se la sua forma fosse il problema. E’ solo un modo di non riconoscersi colpevole di ciò che il mostro rappresenta. Questo approccio di esorcizzazione psichica non viene colto dai più, ma sempre di arte si tratta. Anzi, dell’arte forse più concreta, più trasformativa, più utile: quella velenosa.

Gio