L'udito 👂: perché non basta dirci “Va tutto bene!” 🗣️❗ L'ipersensibilità uditiva.
In questo episodio ti racconterò di come la musica abbia plasmato la mia vita già da bambino e di come il mio udito eccezionale sia diventato, allo stesso tempo, una benedizione e una maledizione.
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Cos'è che scatena la compassione per la sofferenza? È la consapevolezza che potremmo anche noi subire la stessa sorte di quelli che vediamo soffrire. La vista è il senso più importante con cui noi esseri umani misuriamo il mondo ed è naturale che sia anche la prima cosa che ci avverte che qualcuno molto vicino a noi sta soffrendo. Il nostro cervello si mette subito all'erta, inconsciamente, per capire se c'è un pericolo imminente che potrebbe riguardare anche noi. Però, non tutte le patologie si vedono con gli occhi, e allora in questa puntata ti parlerò di un altro senso che può farci percepire la sofferenza: l'udito.
Pensa a quante volte, magari al telefono, ti sei accorto che un tuo amico o un tuo parente non stava bene semplicemente sentendolo parlare. Oppure pensa a quando qualcuno ha un'influenza: emette dei lamenti, non sta bene, tossisce. Ti accorgi subito quando qualcuno non sta bene perché la voce è davvero uno degli specchi dell'anima, ed è difficilissimo fingere di stare bene quando non è così. Al telefono è un po' più facile nascondere la propria sofferenza. Le persone dall'altra parte ci dicono “Va tutto bene” e scegliamo di fidarci delle loro stesse parole. “Va tutto bene”, ci sentiamo dire. È una frase rassicurante, no? Specie se pronunciata con voce ferma, con convinzione.
Io ho deciso che non voglio più nascondere come mi sento. Mi sono stancato di dire che va tutto bene. Per molti anni mi sono riparato dietro questa frase, non accettavo le patologie che stavano nascendo. Anche perché, all'inizio, i sintomi erano soltanto vaghi, non mi creavano troppi problemi apparentemente. Quindi era facilissimo dire che andava tutto bene, era facilissimo non mettere in mostra quella che era ed è una mia debolezza, non farlo sapere. Avevo paura di come mi avrebbero giudicato gli altri in una società che ci vuole perfetti. È facile dire che avrei dovuto fregarmene, ma non mi è mai stato facile perché non sono fatto così. Ci sono tanti condizionamenti che subiamo sin da piccoli e che ci tiriamo dietro per tutta la vita.
In alcuni casi era davvero indispensabile nascondere la mia sofferenza. Verso i genitori, ad esempio, li avrei preoccupati inutilmente, non avrebbero potuto farci nulla. Oppure anche durante un colloquio di lavoro. Sarai d'accordo con me che è un po' strano esordire con frasi del tipo: “Sì, so perfettamente gestire l'infrastruttura informatica dell'azienda, ma non garantisco di essere ancora in grado di muovere le dita nel prossimo futuro” o anche “Sì, adoro lavorare sotto stress e con orari flessibili. E ovviamente, anche se gli straordinari non sono pagati; il burnout per me è sempre dietro l'angolo, però non si preoccupi, sono il candidato migliore per questa posizione”.
Oltre a tutto questo, non mi andava proprio di dire a chi conoscevo che le cose andavano sempre peggio. Mi sono sempre sentito in difetto per queste patologie, diverso, in qualche modo rotto, senza possibilità di essere aggiustato. Mica bello parlarne con gli altri, poi come, con quali parole? Quando ci provavo non andava mai a finire bene. Più avanti ti racconterò. Ed ecco che allora il mio “Va tutto bene” aveva uno scopo quasi liberatorio per me, sarei riuscito a non affrontare l'argomento ancora una volta. Con il passare del tempo sono diventato bravissimo a dissimulare. “È tutto a posto, va tutto bene.” Si infarcisce la frase con un sorriso e si tira avanti. A lungo andare, e con l'aggravarsi dei sintomi, mi sono accorto che questa strada è stata controproducente, sia per me stesso che per fare dire agli altri, direttamente dalla mia voce, come stavo e che cosa non potevo più fare.
L'udito non ce l'hanno solo gli altri; può essere una grande risorsa anche per noi che siamo ammalati e ci apre un mondo di possibilità per fare cose che amiamo e che ci è ancora possibile fare. L'udito per me è sempre stato importantissimo. Come ti raccontavo anche nell'episodio precedente, anche senza rendermene conto, ho sempre avuto un udito estremamente sensibile e allenato fin dagli anni '80.
Nel 1983, ad esempio, iniziavo a frequentare le scuole elementari a Livorno e le mie orecchie avevano cominciato ad avere pane per i loro denti. Cantavo le canzoncine che ci facevano imparare durante le lezioni e finalmente potevo cantare senza vergogna, sapendo che lì si poteva fare anche a squarciagola. Ovviamente continuavo ad ascoltare e canticchiare anche le canzoni dei cartoni animati dell'epoca, come Heidi o l'Apemaia. Tutto pane per i miei denti, gioia per le mie orecchie e possibilità di assorbire tutto quel mondo fantastico di note.
A Natale avevo ricevuto in regalo un giradischi portatile a batteria; gli si potevano dare in pasto soltanto i 45 giri e, a pensarci oggi, assomigliava molto a quelli che negli anni successivi sarebbero stati i lettori CD e poi i lettori MP3. Se hai vissuto gli anni '80 ti ricorderai senz'altro del famoso “mangiadischi”, oggetto del desiderio che ti faceva ascoltare la musica fuori casa, all'onestissimo peso di 1 kg. Io lo usavo molto spesso, fermandomi solo quando le batterie erano esauste, perché...sì, erano anche costose!
Io e la mia famiglia continuavamo ad andare dai miei nonni molto spesso in quegli anni, sia nei fine settimana che in estate, quando noi bambini potevamo fermarci lassù per settimane.
Fu in quella valle fresca della Lunigiana che scoprii per la prima volta la musica degli adulti.
Accadde per caso nell'estate dell'84, tra un calippo e l'altro. Mio fratello maggiore allora aveva 14 anni e tutte le sere ascoltava musica da un giradischi. Non quello portatile di cui ti parlavo prima ma uno di qualità superiore. Lui usava i 33 giri, quei grandi dischi in vinile che sono sopravvissuti al tempo e che ancora oggi possiamo trovare in commercio per gli appassionati.
Ricordo che me ne stavo sotto le coperte al buio ad ascoltare quei battiti intensi che provenivano dal piano di sopra, come se appartenessero a un cuore enorme. Sentivo tutto benissimo perché il pavimento di legno non isolava alcun suono, nel bene e nel male. In quel caso per me era un bene, e mi arrivavano i bassi intensi; i ritmi di quella musica strana, così diversa da quella che conoscevo, e soprattutto...così seria! Non ne capivo né le parole né gli argomenti, ma adoravo come mi arrivava il canto di quelle voci e i suoni erano molto più gradevoli e pieni rispetto al mio piccolo mangiadischi.
Uno dei dischi che mio fratello ascoltava più spesso si chiamava Mixage '84. Nella copertina stilizzata, una ragazza guardava fieramente verso l'alto, abbronzata e luccicante per la crema solare, con una spiaggia tropicale sullo sfondo. L'estate era scoppiata anche nelle valli degli Appennini proprio grazie alle radio e a quei dischi, con quei brani, tutti di autori diversi, tutti dello stesso genere: musica dance anni '80. Quel disco girava e girava una sera dopo l'altra, e mi addormentavo sulle note di “Movin' On” o di “Self Control” di Raf, oppure del remake improbabile di “Every Breath You Take dei Police”, e poi altri dischi con gli Alphaville, gli A-ha, Bronski Beat, Cyndi Lauper e tutti gli altri. In poco tempo, le canzoni che mi piaceva cantare erano diventate quelle, anche se non sapevo niente di inglese e biascicavo parole senza senso. Le canzoni tristi o quelle dai toni sospesi mi piacevano molto di più delle canzoni allegre, forse anche perché le canzoncine allegre le associavo alla scuola.
E poi un giorno arrivò la svolta. Mio fratello mise un disco diverso, un singolo: si chiamava “Jump” dei Van Halen.
Quella canzone mi entrò immediatamente in testa: un ritmo incalzante, una melodia che si poteva canticchiare facilmente e che mi faceva venire tanta voglia di muovermi, anche se ero già a letto. Poi, a metà canzone, accadde qualcosa di incredibile, di inaspettato, una roba mai sentita: un cambio di passo totalmente senza senso. La voce scomparve e la musica cambiò del tutto. Fece irruzione uno strumento magnetico, che nel giro di pochi secondi vomitò un mare di note nelle mie orecchie. Che cosa avevo appena sentito? Una chitarra elettrica! Wow, che suono e che potenza! A quel punto il resto della canzone passò per sempre in secondo piano. Teniamo a mente che, ancora ai giorni nostri, è un pezzo che è un po' difficile da eguagliare. Ce ne fossero di Jump! In quel momento era nata la mia passione per uno strumento che sarebbe esplosa più avanti.
La mia fame di musica continuava a crescere e così pure il mio udito. Può darsi che la mia capacità di riconoscere i suoni, di ricordarli o di avere l'udito fino che ho ancora oggi si sia sviluppata proprio in quegli anni. Oggi, avere l'udito più sviluppato della media è sì un piacere, ma anche un grande ostacolo per me. Percepisco più suoni dell'udito medio e soprattutto di notte, quando il dolore cervicale o quella sensazione che qualcuno mi stia accoltellando a un fianco non mi lasciano riposare. Allora comincio a sentire lo svolazzare di una farfalla nel buio della stanza, l'automobile o il treno che passano a mezzo chilometro di distanza o il vicino che rientra a casa due o tre appartamenti più in là. Il canto degli uccelli delle 3:30, però, è la cosa peggiore di tutte. Quelle sono note: è la fine. L'udito si concentra su quei suoni, il cervello comincia a elaborarli, a catalogarne la ripetitività, il ritmo, il timbro e le pause.
Ma va tutto bene, sorridiamo, no?
Adesso basta sorridere.
E' ora di far percepire agli altri come stiamo noi ammalati di patologie che non si vedono. Sta a noi guidarli, insistere perché si sforzino di capire. Con il “Va tutto bene” resteremo sempre le persone che eravamo, ricordiamocelo, quando in realtà non li siamo più.
Voglio lasciarti con un buon proposito per il futuro: non fare l'errore che ho fatto io, non avere paura di dire come stai. Chi ti sta intorno e ti vuole bene capirà. Sul posto di lavoro, con prudenza, cerca di fare capire quello che vivi e le tue esigenze. Non è facile, ma siamo tutti umani e troverai senz'altro chi comprenderà la situazione o un posto di lavoro dove questo sarà possibile. Fatti udire, sfrutta questa possibilità. Io ho deciso di farlo oggi tramite questo podcast e ho ancora tanto da raccontarti. Ci sentiamo tra una settimana per il prossimo episodio, in cui scoprirai un pezzettino in più della mia storia.
Nel frattempo, stammi bene!
Questo podcast è pensato esclusivamente per raccontare la mia esperienza personale e la mia storia. Non contiene in alcun modo consigli di carattere medico o curativo. Per qualsiasi problema di salute, ti invito a consultare il tuo medico o uno specialista di fiducia.
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