Un bisogno che mi sembra sempre più impellente e necessario. Una necessità di cui, coscientemente, ricerco la causa. Da molto oramai non impegno la mia mente nell'elaborare i miei pensieri, quasi neanche ricordo come riuscivo ad organizzare un flusso mentale in qualcosa di leggibile ed organico, con un inizio, una struttura ed una fine. Un atto naturale forse, un processo mentale che difficilmente riuscirei a spiegare in modo strutturato e, cosa ancor più importante, comprensibile ad occhio esterni ai miei stessi. Devo esser onesto. La questione che più emerge in questo mio mare non è tanto il processo mentale che porta alla produzione di un testo estemporaneo, quanto il motivo che mi porta a sedermi, sceglier un accompagnamento musicale e cominciar a premere sui tasti di questa tastiera. Perché trovo piacere nella scrittura, cosa mi porta a tentar di riversare un qualcosa di caotico come può esser l'animo umano con le sue sfaccettature in un testo lineare (almeno in intenzione)? ”Che domanda retorica vero?“ Sorrido io stesso mentre mi immagino pormi, da solo, questa domanda davanti ad uno specchio. Si potrebbe quasi dire che certe miei scritture siano più una trasposizione di continui dialoghi mentali con me stesso. Perché quindi trasporli? Perché farli emergere, palesi e chiari, su di un testo che verrà successivamente diffuso ma in modo limitato al tempo stesso? Forse è questa stessa la chiave della questione, una diffusione limitata. Sento una sorta di timore, come una adolescenziale vergogna anzi no, direi più pudore. Vergogna presuppone un pensiero negativo, la consapevolezza che le proprie azioni sia deprecabili mentre pudore, non so, mi da più un'idea di sincero imbarazzo. Paragonabile ad esser, per la prima volta, nudi di fronte alla persona che desideriamo. Il concetto stesso di esser “nudi” è quanto più simile alla sensazione che sento di provare quando qualcuno che io conosca mi viene a dire “Ho letto cosa hai scritto sai?”. Non ne provo vergogna, sono in un certo senso orgoglioso di quello che vado a produrre e decido infine di pubblicare, ma è come se avessi dato a quella persona, nella sua mano, una chiave di lettura intima e molto personale delle mie azioni. Analizzando ancora più questo concetto si potrebbe comprendere quanto il mio apparire sociale tenda a celare le componenti del mio animo che nella scrittura esalto. Mi rendo conto quindi come le due facce del mio esser siano, in qualche modo, distinte. Come si potrebbe notare un differenza sostanziale nel me stesso posto nella società pubblica ed un altro me stesso, rappresentato nella scrittura personale. Mi sento di far un appunto, venuto alla mia mente nel momento stesso in cui ho fatto notare una differenza tra quelle due visioni di me. La differenza in me non è percepita, non vi è un muro o una maschera che separa distintamente questi due lati di una riva, non vi è menzogna o recitazione da una o dall'altra parte. Un tentativo di porre, in questo scritto, un mio stesso timore. Sono consapevole che ad una lettura distratta queste due parti possano sembrare distanti e non appartenenti realmente allo stesso soggetto ma, non so, è come se mi sembri paradossale che negli altri non vi sia questo naturale contrasto. Lo stesso uso del termine “naturale” presuppone questa mia considerazione e la rivendico senza timore. Nella mia mente a questo punto ho risposto chiaramente alla domanda iniziale, sullo scopo finale di questi scritti. Gli elementi sono tutti presenti, almeno ai miei occhi, ma sono conscio che per me basterebbe anche solo un frase per palesarli.
Scrivo perché nel sussurro trovo il mio complemento. E quel sussurro mi è indispensabile.