Nella tempesta
Predicazione sul testo biblico di Marco 4, 35-41
Basta leggere i giornali della settimana scorsa per capire che il barometro del clima politico ed economico mondiale va verso la tempesta. Inizio il sermone proprio con una lettera arrivatami questa settimana che da proprio voce alle mie preoccupazioni e a quelle di molte persone:
Jens, Donald Trump è tornato. E non si tratta solo di un ritorno politico: è il simbolo di tutto ciò che ostacola il progresso nella lotta contro la crisi climatica. Trump non è solo un negazionista climatico; è il paladino di un sistema che sacrifica i diritti delle persone e la salute del nostro pianeta per proteggere i profitti delle grandi compagnie petrolifere. La sua amministrazione ha già tentato di bloccare ogni tentativo di azione climatica attaccando la scienza e smantellando regolamenti fondamentali per la protezione dell’ambiente. Ora promette di trivellare ovunque, sbandierando il suo slogan “drill, baby, drill” e si è ritirato ancora una volta dall’Accordo di Parigi, sabotando gli sforzi globali per combattere questa crisi. Jens, il messaggio di Trump è inequivocabile: negare la scienza, distruggere l’ambiente, arricchire i potenti e soddisfare l’ingordigia delle compagnie fossili! Quelle che hanno finanziato la sua campagna elettorale con ben 14.1 milioni di dollari! Nel frattempo, però, la realtà è un’altra: è un mondo afflitto dalla crisi climatica. - Incendi devastanti che trasformano foreste e città in cimiteri di cenere. - Siccità che affamano milioni di persone costringendole a migrare. - Alluvioni e tempeste che spazzano via strade, ponti, case, vite umane, storie di singole persone e intere comunità. Solo nel 2023, il numero di disastri climatici ha raggiunto un nuovo record, con oltre 100 miliardi di dollari di danni e milioni di persone sfollate. Eppure, Trump e i suoi alleati continuano a trattare questa crisi come un gioco politico. Trump rappresenta tutto ciò che non possiamo permetterci: negazione, avidità e distruzione.
Aggiungiamo la prospettiva che i populisti e le estreme destre possano vincere le elezioni future e far ricadere il nostro continente in una situazione che conosciamo dagli anni trenta del novecento.
Ovunque, a quanto pare, delle nuvole scure si stanno addensando all'orizzonte, preannunciando un fronte globale di maltempo che potrebbe scuotere e forse addirittura capovolgere la barca del “Pianeta Terra” nella quale ci troviamo tutti e tutte insieme.
Se ora concentriamo il nostro sguardo sulle tempeste che si abbattono sulle nostre vite, le conosciamo tutte e tutti. Sappiamo come ci si sente quando soffia il vento nella propria vita. Sono situazioni in cui non sempre dobbiamo avere paura della nostra vita, ma in cui sperimentiamo, talvolta in modo diretto, che non abbiamo il controllo totale della nostra vita, che abbiamo la sensazione di essere vissuti anziché di vivere... scusate il passivo forzato.
Talvolta la situazione si aggrava. A quel punto, nella nostra disperazione, cerchiamo qualcuno che ci tiri fuori da questa situazione e che faccia passare la tempesta.
Ma come?
Non so se vi ricordate che anche nell’AT si parla di salvataggi in mare. In quel racconto, proprio come nel nostro, si tratta di dover calmare le onde, questa volta del mare vero e non di un piccolo lago. Sì, parlo del libro del profeta Giona.
Giona, incaricato di predicare a Ninive, preferisce defilarsi e non seguire la chiamata divina. Trova una nave, sale a bordo e si sente al sicuro. Fino a quando non arriva una tempesta tremenda che, nonostante i tentativi dei marinai di portare la nave in salvo, non accenna a placarsi.
A quel punto Giona racconta la sua fuga e si fa buttare in mare per evitare il naufragio agli altri. Pare che allora si seguisse ben volentieri l’idea che un sacrificio umano potesse salvare la nave.
Se siamo sinceri, anche oggi non mancano i sacrifici umani. Per mantenere il nostro benessere, lasciamo morire migliaia di persone nel Mediterraneo, sacrificando le loro vite. Per il profitto di pochi, miliardi di persone sono schiavizzate o sfruttate fino al limite delle loro forze. Oltre ai sacrifici umani, si sacrifica anche la creazione che geme sotto i nostri piedi ogni giorno sempre più forte.
Il nostro racconto della traversata del lago di Galilea è diverso. Innanzitutto, siamo testimoni di un Gesù che non si lascia sconvolgere dalle onde. Gesù non è un pescatore, non conosce i venti e le onde, al massimo potrebbe aver pensato che su un lago non c'è alcun pericolo.
Questo, però, non basta a spiegare la sua tranquillità. Gesù dorme nella parte posteriore della barca. L’evangelista Marco sottolinea il sonno profondo di Gesù, parlando di un guanciale e di un cuscino. Un cuscino su una barca da pescatori!
La domanda dei discepoli, invece, è: «Maestro, non t’importa che noi moriamo?» – ci riporta alle esperienze che talvolta facciamo. Esperienze che ci riempiono di dubbi. Esperienze che ritroviamo anche nei salmi, e che sono all'origine di tanti nostri dubbi.
Dio, perché non intervieni? Perché non impedisci che i malvagi possano avere il sopravvento?
Una domanda che, nel Salmo 22, assume estreme conseguenze e diventa un'accusa: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?” Un'accusa che lanciamo verso Dio quando affrontiamo catastrofi personali, senza però trovare una risposta che ci soddisfi pienamente.
Ecco perché, in molti, non desiderano altro che ciò che Marco racconta, ciò che dell’episodio sul lago fa un miracolo. Come già detto sopra, i discepoli si avvicinano in preda al panico a Gesù con la domanda: «Maestro, non t’importa che noi moriamo?»
La risposta di Gesù, che dopo aver placato la tempesta non sarà piaciuta, sarà: «Perché avete così tanta paura? Non avete ancora fede?» Certo, lo dice dopo aver placato il mare e il vento. La situazione si calma. Silenzio. Bonaccia, scrive Marco.
Ciò che segue è altrettanto inaspettato e strano. I discepoli non gioiscono per essere stati salvati, sono spaventati. Prima avevano paura delle onde e del vento, ora sono colmi di timore e spavento per Gesù.
Cosa ci vuole insegnare, alla fine, la vicenda della tempesta?
I primi cristiani leggono la vicenda in questo modo: Gesù ha predicato, annunciato e aspettato il Regno di Dio. Per loro, il Regno di Dio significa che Dio sale sul trono del mondo e vince tutte le potenze che soffocano e opprimono la vita: la violenza militare romana, la sofferenza, le malattie, la fame, la miseria, lo sfruttamento, la schiavitù. Dio avrebbe sconfitto tutto ciò con la forza del suo amore.
Tuttavia, le forze oppressive sono ancora presenti e le chiese di 2000 anni fa si sentono come in una barca in mezzo alla tempesta, abbandonate al vento e alle onde. Gesù, morto e risorto, che un giorno tornerà, porterà aiuto adesso? Ora?
Man mano, le prime chiese hanno compreso che ciò che viviamo ora, le persecuzioni, il maltrattamento degli schiavi, mette a dura prova la nostra fiducia in Dio. In tutto ciò, nonostante la nostra poca fede, possiamo contare sulla presenza di Dio in mezzo a noi. E noi? In mezzo agli uragani di cui ho parlato all’inizio del sermone, in mezzo a una situazione mondiale che ci rende insicuri e dubbiosi, forse ci riempie anche di paura e ansie, come ascoltiamo questo evento in cui Gesù calma la tempesta?
Quanta paura è giustificata? Quanta paura invece è indotta e ci rende ciechi di fronte a ciò che si può e si deve fare? Possiamo fare come i discepoli nella tempesta: «Signore, aiutaci!».
E scopriremo che Gesù toglie il fondamento alle nostre paure. Il vento deve cessare, la forza primordiale della natura deve tacere. Le fauci mortali del mare devono chiudersi. Segue un silenzio.
Essere con Gesù nella stessa barca significa attraversare il pericolo. Prima bisogna vincere la paura, poi anche la tempesta si placherà. Gesù è con noi. Con lui la paura non ci sopraffà e abbiamo la forza di contrastarla con l’amore di Dio, un amore che può cacciare via la paura.
Jens Hansen Mastodon