La dieta giusta

Sermone su Giovanni 6, 47-51

Una ventina di anni fa era di moda la dieta del gruppo sanguigno. Era una dieta che si sviluppava sul gruppo sanguigno tenendo conto della storia dei gruppi sanguigni e delle abitudini degli uomini in quel periodo.

Tanto per fare un esempio: il gruppo sanguigno 0 è il primo gruppo sanguigno dell’essere umano da cui derivano tutti gli altri. Esso è il gruppo sanguigno dei cacciatori e raccoglitori, quindi degli uomini non sedentari. Chi ha questo gruppo sanguigno non dovrebbe quindi mangiare tutto ciò che non appartiene alla dieta dei raccoglitori e cacciatori.

Su questo si basa in fondo la nuova dieta al firmamento delle diete, la paleodieta. Invece di basarsi sul gruppo di sangue si basa sulle nostre conoscenze della dieta dei nostri antenati nell’età della pietra e sul corredo genetico, quindi sul nostro DNA. Non il gruppo sanguigno, ma il DNA, i cromosomi dettano quindi ciò che devo mangiare e ciò che dovrei meglio non toccare.

Sostenitori della paleodieta affermano che l’essere umano apparso sulla superficie della terra circa 2 milioni di anni fa, ha avuto oltre il 99% del DNA che abbiamo anche noi. Solo 12.000 anni fa l’essere umano è diventato sedentario cambiando la dieta. 12.000 anni sono pochi per la genetica. Così affermano che dobbiamo mangiare come i nostri antenati del paleolitico. E’ un idea interessante che certamente ci toglierebbe tanti problemi di mezzo come il diabete, le malattie cardiovascolari e altro.

Come la paleodieta o quella del gruppo sanguigno, le diete ormai appaiono e spariscono in un attimo, ciò che ieri era la Dieta con la D maiuscola, oggi non viene più considerato.

L’inflazione delle diete dimostra certamente che è importante cosa mangiamo. Mangiare sano è diventato molto importante nella nostra società. E questo è un bene, perché sappiamo bene che il mangiare è strettamente legato alla nostra salute e a quella del pianeta.

Talvolta però ho l’impressione che il culto delle diete dell’ultimo grido è il diretto erede della nostra fede. Chi oggi dice di aver peccato, in genere pensa ad un pezzo di torta o ad altre cose che avrebbe forse dovuto evitare. Anche nel mondo delle diete ci sono missionari, dogmatici e fanatici. E chi scrive un libro su una nuova dieta, ecco, diventa profeta. Il messaggio: vivi sano. In contrasto con questo culto delle diete sta il fatto che stiamo perdendo la cultura del mangiare e del cucinare. Indagini rivelano che in un nucleo famigliare in Italia in media si sta 37 minuti al giorno in cucina per cucinare i pasti del giorno. E ciò solo grazie a molte famiglie del sud dove si cucina ancora quasi 55 minuti al giorno, mentre al nord spesso vige la pessima “cultura” di comprarsi monoporzioni da microonda. In India invece si cucina 1 ora e 56 minuti al giorno. Parallelamente i pasti in famiglia o con amici consumati insieme diminuiscono.

Anche nei ristoranti non è diverso. La professione del cuoco sta sparendo. Oggi basta saper aprire tetrapak, sacchetti di plastica e altro, riscaldarli ed ecco, il pasto è pronto. Poi questo modo si chiama convenience food.

Eppure mangiare è importante e essenziale come respirare. Mangiare è un bisogno elementare e serve per vivere. Chi non mangia, muore. Perciò è importante riflettere bene sul nostro mangiare. Dare un valore al mangiare. Ma anche qui, parlando di valore espresso in denaro, la realtà non è proprio rosea e sembra contraddire la mania delle diete. Oggi non diamo più valore al mangiare. Sappiamo bene che sarebbe utile mangiare bio e preferibilmente dal commercio equo e solidale. Ma cerchiamo di trovare una scusa che le cose costano. Allora il mangiare non vale e se il mio mangiare non vale, non valgo nemmeno io, perché comprare a buon prezzo significa comprare ciò che mi fa male.

Mentre negli anni 50 si spendeva oltre la metà delle entrate di famiglia nel cibo, oggi non sono nemmeno il 7% e la tendenza di cercare cibo a buon prezzo senza guardare la qualità è in aumento.

Il cibo oggi non vale e ci fa ammalare. Forse per questo abbiamo le varie diete-religione e in internet accanto ai selfie si trovano spesso piatti artisticamente fotografati, forse per questo nella TV trasmettono una trasmissione sul cucinare dopo altra. Il mangiare diventa arte, ma il nutrirsi ogni giorno diventa spazzatura, tempo perso.

Eppure il mangiare, mangiare bene e in compagnia è da sempre strettamente legato anche alla nostra fede. Sia nell’Antico sia nel Nuovo Testamento consumare il pasto insieme era importante, creava comunione fra i commensali e anche con Dio.

Pensiamo solo agli uomini che passano alla tenda di Abraamo per continuare verso Sodoma e Gomorra. Abraamo fa preparare un pasto squisito che crea una tale comunione fra loro e Abraamo che loro alla fine non nascondono ad Abraamo i piani di Dio in merito a Sodoma e Gomorra e Abraamo, dopo un pasto insieme ha il coraggio di iniziare a trattare con loro.

Dio si dimostra il Dio d’Israele dando loro da mangiare nel deserto la manna e le quaglie. Gesù insegna a condividere 5 pani e due pesci, ed ecco tutti si saziano. Nella giovane chiesa l’agape, il pasto consumato insieme, è una caratteristica importante, tanto che Paolo si arrabbia con i Corinzi che c’è chi arriva alla Santa cena a stomaco vuoto e chi con la pancia strapiena.

La cena del Signore ricorda il pasto che Gesù ha fatto con i discepoli prima della sua morte. Dio si fa riconoscere nel semplice gesto di rompere il pane e condividere il vino.

Ed ecco, le parole di Gesù nel nostro testo: io sono il pane della vita … se uno mangia di questo pane vivrà in eterno. Anche qui abbiamo il nesso stretto fra il nutrimento e la vita, ma il livello è diverso. Dietro queste parole non ci sono le promesse pubblicitarie dell’industria alimentare che ci vuole affibbiare lo yogurt o il muesli con aggiunta di vitamine. Qui siamo al centro della vita che va oltre il nutrimento quanto importante esso possa e debba essere per noi. Gesù, autodefinendosi il pane della vita, lega la sua persona a ciò che egli chiama la vita eterna. Qui non si tratta quindi di una nuova filosofia, un nuovo stile di vita o addirittura di una nuova fede.

Gesù si dimostra qui come colui che può saziarci cambiando davvero la qualità della nostra vita. Gesù offre qui una relazione nuova, un legame profondo fra se ed i suoi.

Ciò può sembrarci strano, ma è in realtà una grande liberazione. Perché la vita eterna non dipende da me ma da Gesù, la vita eterna non dipende da quello che sono, ma da Gesù, la vita eterna non dipende da ciò che faccio, ma da Gesù, non da come vivo ma da Gesù.

La vita eterna di tutte e tutti è solo ed esclusivamente legata all’uomo che si è fatto crocifiggere. La vita eterna dipende da colui che ha seguito le orme dell’amore di Dio fino alle ultime conseguenze. Chi riesce a vedere questo amore, chi si affida al Dio d’amore e in Cristo vive una relazione, non deve preoccuparsi della vita eterna.

Ma che cosa è la vita eterna? Il teologo della speranza Jürgen Moltmann dice: la vita eterna è vita terrena amata eternamente. Chi viene amato in eterno vive anche se muore.

E il primo versetto del nostro brano dice: In verità, in verità vi dico: chi crede in me ha vita eterna. Gesù non insegna quindi una fede che aspetta la vita eterna dopo la morte, Gesù non trasferisce la questione della vita eterna a una vita dopo la morte che non ha fine, non parla di una realtà al di là delle nostre esperienze.

Così il brano apre tante domande. Se ho la vita eterna, cosa significa per me e per te? La senti, questa vita? E’ un aiuto nella tua vita quotidiana?

Penso che la risposta a queste domande dipenda dal fatto di come intendo la vita eterna. Chi vede la vita eterna solo come esistenza infinita, un’esistenza liberata dalla fragilità, non avrà niente in mano per affrontare la vita terrena, ma perde la vita qui ed oggi perché solo orientato alla vita dopo la risurrezione. Infatti, questa è più una fede in voga nel medioevo dove la domanda centrale dei credenti era: dove trascorro la vita eterna?

Conosciamo la storia: la paura di finire nell’inferno ha fatto sì che molti hanno dato l’ultimo denaro per comprarsi le indulgenze.

Dobbiamo invece capire la parola “eterno” non come tempo senza fine, ma come qualità. Avere qui ed oggi la vita eterna significa sapere Dio vicino, ma non come colui che esaudisce i nostri desideri, ma colui che ci fa capire la vicinanza del suo Regno.

E siccome il Regno di Dio non è un luogo ma un modo di vedere il mondo, siccome il Regno di Dio si realizza laddove si compie la volontà di Dio (venga il tuo Regno, sia fatta la tua volontà!), la vita eterna significa partecipare al Regno di Dio, compiere la sua volontà, vivere il suo amore per tutte le creature. La vita eterna qui ed oggi apre quindi nuovi orizzonti e ci rende sensibili per il prossimo e per noi stesse e stessi. La qualità della vita cambia dove non sfrutto l’altro, dove cambio radicalmente lo stile di vita, dove rinuncio a tutto ciò che nuoce ad altri e alla creazione di Dio. La vita eterna è dove nessuno deve vivere sfruttato, oppresso, emarginato e dove la mia vita è pienamente consapevole del legame che dobbiamo avere anche con la natura.

Solo con la volontà di Dio che è la volontà di vita per tutte e tutti, noi potremo avere una qualità diversa della nostra vita.

E il ruolo della chiesa? Dovremmo essere uno spazio per la nuova vita, per la nuova qualità della vita che Cristo ha già aperto per tutte e tutti.

Abbiamo il grande incarico di parlare del pane della vita alla gente affamata. Per questo la chiesa non può essere un luogo isolato ma si deve trovare in mezzo alla vita della gente.

Come già detto altre volte: la missione della chiesa non è predicare: vieni a Gesù e sarai salvato, ma dire: vedi, Gesù è il pane anche della tua vita, Gesù è morto sulla croce e questa morte ti rende partecipe della vita eterna, cioè della vita nuova qui ed oggi che ti libera da tutte le paure insite nell’essere umano e ti da una nuova prospettiva mettendo in equilibrio l’amore per Dio, per il prossimo e per se stesso.

Possa il nostro messaggio che portiamo nella nostra quotidianità essere un’offerta di vita qui ed oggi.

Jens Hansen

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