Lidia

Sermone narrativo su

Atti 16, 9-15

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Mi presento, sono Lidia, Lidia di Tiatiri, una città che conoscete sicuramente, non solo perché è la mia città di origine, ma anche perché è una delle sette chiese di cui leggete nell'Apocalisse di Giovanni: « Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette chiese: a Efeso, a Smirne, a Pergamo, a Tiatiri, a Sardi, a Filadelfia e a Laodicea». La mia città di origine si trova proprio sulla strada fra Pergamo e Sardi. Ai vostri tempi si chiama Akhisar e ha ben 74.000 abitanti, mentre ai miei tempi era molto più piccola.

Come me, Lidia, a Tiatiri e in tutta la zona che porta il mio stesso nome, ci sono moltissime donne che si chiamano come me. Sono donne di umili origini, alcune anche schiave. È un po' come da voi, dove certi cognomi hanno le loro origini nel passato, quando veniva dato il cognome “di Dio” o “Spiritosanto” a un trovatello.

Avete indovinato! Sono di origini umili, ma il mio padrone ci ha trattati benissimo e a un certo punto mi ha dato la libertà. La mia città non ha una lunga storia, non come Roma, che è la capitale. È stata fondata da poco più di 300 anni e da allora è diventata un centro di produzione tessile e di lavorazione di metalli. Gli schiavi lavorano il metallo, mentre le schiave sono impiegate nel settore tessile, nella produzione di tende e tappeti, e anche nella lavorazione di stoffe. Ho imparato il mio lavoro da schiava, e non è stato facile, soprattutto tingere la lana. Non potete neanche immaginare quanto pesa la lana quando la tiri fuori dalla botte dove l'hai immersa, e poi per fissare i colori la devi lavare e rilavare in acqua salata.

Quando il mio padrone mi ha liberata, sono partita da Tiatiri. Ho sentito che a Filippi, che è una colonia militare romana e un importante centro commerciale, c'è tanto lavoro. Il mio padrone andava in sinagoga a Tiatiri, lui credeva in un solo Dio che ha liberato il suo popolo dalla schiavitù, e io imparavo molto da lui.

Arrivata a Filippi, ho cercato la Sinagoga, ma non c'era. Allora ho scoperto che c'era un gruppo di donne, come me, che si incontravano al fiume il sabato. Erano poche, ma tutte impegnate nel tessile, proprio come me. E dato che c'era tanto lavoro, mi hanno insegnato una tecnica per tingere la lana e il lino di un rosso intenso. Usavamo il colore di una lumaca, ma c'erano anche metodi con coloranti rossi di origine minerale. I Romani a Filippi vanno matti per la porpora e una volta al mese passa un commerciante che compra da noi per portare i nostri tessili fino a Corinto.

La porpora è una cosa che rende tanto, e a un certo punto ho potuto mettermi in proprio con la mia attività. Certo, è logorante. La sera dopo un giorno di lavoro sento le mie mani e le braccia, e a volte non riesco più a aprire bene la mano. Però non mi voglio lamentare. Ho una casa dove vivo con altre donne. Alcune lavorano per me, ma non le tratto come schiave. Tanto il mio padrone mi ha lasciato libera e questo per me è un insegnamento importante. Penso che la storia del popolo d'Israele liberato dalla schiavitù in Egitto mi abbia influenzata e non me lo sento di avere delle schiave.

Durante la settimana lavoriamo insieme e il sabato andiamo al fiume a parlare di Dio, la liberazione, i profeti e a volte cantiamo dei salmi e preghiamo. Mi dà la forza riposare e lodare Dio il sabato e lo ringrazio che ci ha donato il giorno libero per riposare.

Ho una casa e sono libera. Credo in Dio, che si è rivelato a Mosè con un nome strano, ma ho capito che questo nome significa che Dio non è lontano e non è un Dio capriccioso come le altre divinità qui a Filippi o anche nella mia Tiatiri. È un Dio con cui puoi parlare. Ci ha dato delle leggi e delle regole che ci aiutano a vivere e a trattare le persone con rispetto. Insomma, ho una vita serena e sono contenta e felice. Solo che con l'avanzare dell'età, ho superato i 35 anni e sento il peso del mio lavoro, talvolta ho un po' di paura, perché non so come fare quando non sarò più in grado di lavorare. Non ho marito né figli, quindi non ho nessuno che possa badare a me quando sarò più vecchia, ma va bene lo stesso. Sono grata a Dio per ogni giorno che mi regala la forza di lavorare e guadagnare abbastanza per vivere.

Un giorno, un sabato di primavera, me lo ricordo ancora bene, mentre cantavamo il Salmo 139, da lontano vediamo arrivare un gruppo di uomini. “Non sono di qui”, penso subito, hanno un aspetto diverso e soprattutto danno l’impressione di aver fatto un lungo viaggio. Questo gruppo di uomini si dirige proprio verso il nostro posto al fiume. Forse cercano anche loro un posto dove riposare, lontano dal trambusto della città, dal ritmo frenetico della vita quotidiana. Infatti, il fiume è un luogo di tranquillità dove la gente come noi donne viene a pregare, a trovare pace e semplicemente a non fare nulla per una volta. Il gruppo si presenta, il più importante di loro si chiama Paolo, dice di essere di Tarso, città che non conosco proprio, dev’essere davvero lontana. “Che strano”, penso, un gruppo di uomini che inizia una conversazione con un gruppo di donne, con noi donne che, nonostante la nostra professione e indipendenza dagli uomini, abbiamo pochi diritti. Non solo iniziano a parlare con noi, vogliono sapere di noi, si interessano di noi che in genere riceviamo poca attenzione se no da chi vuole comprare le nostre stoffe.

Ci ascoltano, quasi lo sento come miracolo. Parliamo a loro della nostra vita, delle nostre speranze e dei nostri sogni. Non so perché, ma racconto tutta la mia storia, la storia di fede, la storia della mia liberazione personale dalla schiavitù.

A quel punto Paolo parla direttamente a me. Dice che anche lui è stato un credente nel Dio d’Israele, un ebreo. Nel corso della sua vita ha fatto un'esperienza che ha cambiato la sua vita ma anche il mondo, parla di un certo Gesù di Nazareth, della libertà a cui lui, il Cristo – come lo chiama ora – lo ha liberato. Paolo ed i suoi compagni lo hanno preso come modello e vogliono vivere secondo le sue azioni e le sue parole, il che significa andare per esempio anche da noi donne che non contano molto nel mondo, emarginate, poco ascoltate e raramente prese sul serio.

In quel momento mi sento come se Dio stesso aprisse il mio cuore. Sento un calore in me e che capisco il passo che Paolo ha fatto dalla fede del mio ex-padrone alla fede liberante del Cristo risorto. Paolo ci dice che siamo tutti stati salvati in Cristo e che già Gesù di Nazareth si è relazionato in modo molto diverso con le donne.

Perciò Paolo ed i suoi hanno deciso di parlare a noi donne qui riunite al fiume. Dice più volte: Non c’è né Giudeo né Greco; non c’è né schiavo né libero; non c’è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù. Un Dio che non fa come noi uomini e donne, un Dio che supera le barriere ed i muri di separazione, un Dio che non esclude nessuno. Allora, insieme alle altre donne, non desideriamo altro che appartenere a Cristo e farlo vedere, chiediamo di essere battezzate.

Una volta battezzata mi viene naturale dire: «Se avete giudicato che io sia fedele al Signore, entrate in casa mia e alloggiatevi».

E’ normale far vedere con l’ospitalità quanto Dio ha fatto per me e a me. E non mi chiedo cosa pensano gli altri vedendo che io donna invito degli uomini a casa mia.

Ho ricevuto una nuova fede, una fede nata dalla conversazione con il gruppo di uomini, nata dall’ascolto reciproco. Questa fede mi insegna di camminare nel mondo con occhi e orecchie aperti, in modo da poter riconoscere dove c'è qualcosa da fare per me.

Solo così mi troverò in situazioni in cui posso fare la differenza, dove le mie idee, le nostre idee e i nostri talenti sono necessari. Io vi auguro questa fede che ha cambiato la mia vita.

Jens Hansen Mastodon