I custodi del vuoto Viviamo in un’epoca in cui la conoscenza è a portata di mano, ma mai come oggi l’ignoranza appare come una scelta. Una scelta comoda, rassicurante, talvolta perfino nobile agli occhi di chi la difende con orgoglio. I benpensanti e i perbenisti sono i guardiani di un ordine superficiale, in cui ciò che conta non è comprendere ma apparire, non sapere ma ripetere. Costoro si nutrono di certezze prefabbricate, di opinioni altrui riciclate come verità, e custodiscono con zelo un vuoto intellettuale che diventa norma, abitudine, persino identità sociale. In Italia, questa attitudine si manifesta con una forza particolare. Qui, il “sentito dire” è scienza, il pettegolezzo è informazione, l’apparenza è più importante della sostanza. Il dibattito pubblico si svolge spesso a colpi di slogan, condivisioni compulsive e indignazione programmata, mentre l’approfondimento, lo studio, il dubbio critico vengono relegati tra le stranezze di pochi. L’ignoranza non è più una condizione da colmare, ma uno scudo dietro cui ci si protegge dal fastidio del pensiero complesso. Il benpensante guarda con sospetto chi cerca di sapere di più, perché la conoscenza è sovversiva, rompe gli equilibri, smaschera le ipocrisie. Il perbenista, poi, si distingue per la sua adesione cieca a un codice di valori che spesso non comprende ma applica, convinto che basti essere conformi per essere giusti. Non importa se quel codice sia anacronistico, discriminatorio o privo di fondamento: ciò che conta è apparire corretti, moralmente allineati, socialmente accettabili. In questo meccanismo si annida la più pericolosa delle ignoranze: quella che non si riconosce come tale, che si ammanta di virtù e si fa giudice di chi osa discostarsi. Eppure, la conoscenza richiede fatica. Studiare, cercare, confrontarsi, sbagliare: tutto questo implica un investimento personale che molti rifiutano di compiere. È più facile vivere di frasi fatte, affidarsi al luogo comune, rimanere nell’alveo rassicurante delle opinioni condivise. Ma questa scelta ha un costo altissimo. Un costo culturale, prima di tutto, perché impoverisce il dibattito e rende sterile ogni discussione. Ma anche un costo umano, perché ci allontana gli uni dagli altri, ci rende sospettosi, cinici, incapaci di vera empatia. Non esiste una verità assoluta, è vero ma esiste la possibilità di avvicinarsi alla complessità del reale con onestà intellettuale, con curiosità, con umiltà. Esiste il dovere morale di informarsi, di dubitare, di non accontentarsi delle versioni preconfezionate. Esiste, infine, una forma di bellezza nell’atto di conoscere: quella che ci rende meno soli, più liberi, più umani. Contro i custodi del vuoto, non servono armi ma domande. Non servono certezze ma voglia di capire. E il coraggio, sempre più raro, di ammettere che non sappiamo tutto, ma che possiamo sempre imparare.

© Massimiliano Pesenti