Luca e la sua collina

Luca era un bambino di campagna. Uno di quelli che è difficile trovare nelle grandi città. Pantaloni corti, sporchi è un pò consumati, una semplice t-shirt in tinta unica per niente abbinata al pantalone, scarpe da ginnastica chiuse, dal colore sbiadito, con la suola consumata. Non si lamentava assolutamente dei suoi capi d’abbigliamento, non erano quelle le sue priorità. Avrebbe preferito girare mutande e le scarpette, mamma permettendo. Quelle comode, le sue preferite, quelle più rovinate, quelle che lo hanno accompagnato da sempre, ma che ora non può più indossare. A Luca non interessavano i bei vestiti, i cartoni animati in televisione. A Luca piaceva giocare con gli amici al campetto della chiesa, rincorrersi tra i campi, giocare a nascondino tra le case diroccate, ma sopratutto sedersi sui gradini in marmo fuori casa e vedere la sua collina. Secondo Luca la collina è viva perché cambia ogni giorno. Gli alberi sembrano i capelli della collina, cambiano colore con le stagioni. Ogni tanto in inverno indossa un cappotto bianco, simile a quello che gli regalarono i genitori, su sua esplicita richiesta. In autunno, invece, i capelli si tingono di un colore rossastro e, certe volte, non si riesce quasi a vedere dove finiscono i capelli ed inizia il cielo. Per poi diventare verdi e pieni di foglie in estate, la stagione che più piace a Luca, dove aveva la possibilità di stendersi sotto l’ombra e vedere il padre che disegnava la terra. Perché oltre gli alberi, ci sono i terreni che disegnava il padre con il trattore. Linee perfette che viste da lontano, dai gradini di casa sua, diventavano i lineamenti perfetti del volto della sua collina.

“Guarda che ti sto vedendo, torna a studiare!”

Una frase che sentiva spesso dalla mamma quando si metteva a studiare sui gradini di casa.

“Perché non entri e studi sul tavolo? Non stai più comodo da seduto, non hai dolori?” “Però dentro non c’è il vento, e poi come faccio a capire quando torna papà se sto dentro?” “In che senso non capisci quando torna papà?” “La casa in fondo alla strada, quando l’ombra la copre tutta papà torna casa” “Ti dico io quando torna tuo padre, entra e studia sul tavolo” “Ma non c’è vento dentro, senza non riesco a studiare” “E con il vento non ti volano i fogli?” “Ma no mamma, li metto sotto al trattore!” “E allora rimani fuori, ma non ti distrarre, studia che io ti guardo dalla finestra e se hai dolori dillo alla mamma.” “Va bene, mamma.”

Luca era un bambino che seguiva sempre tutte le lezioni e completava i compiti che la maestra gli assegnava. Non ha capiva come tutti quei libri e quei compiti potessero aiutarlo a dipingere la terra bene come il suo papà, ma si impegna veramente tanto. Tale devozione la doveva tutta alla promessa che gli fece suo papà tempo addietro. Quindi il piccolo bimbo di campagna si impegnava nello studio affinché il papà lo portasse ogni sabato sulla collina, per passare del tempo assieme. Era quasi sempre Luca a decidere cosa fare. Raramente saliva sul trattore con il papà, capitava quando aveva del lavoro da finire. In quei casi Luca accettava in silenzio, celando abilmente il suo entusiasmo, perché il papà non sapeva che il suo più grande sogno era quello di diventare bravo come lui. Guardava attentamente tutte le mosse del suo artista, come muoveva le mani e i piedi sulle leve e sui pedali, in silenzio perché non voleva disturbarlo. Temeva che anche la più piccola distrazione avrebbe potuto rovinare i lineamenti della sua collina. Ma da quando il piccolo bimbo di campagna aveva ricevuto il suo di trattore, Luca e il papà restavano stesi sotto l’ombra dell’albero, mangiando i frutti che il padre raccoglieva e raccontando storie sul raccolto e sulle varie tecniche per far diventare bella la collina. Spesso luca chiedeva di salire sul trattore o di fare una passeggiata, ma il padre è stanco per il lavoro della settimana, e allora preferivano rimanere a chiacchierare e mangiare.

“Dai Luca entra che tra poco torna papà”

Totalmente immerso negli studi, Luca non si era accorto che l’ombra aveva addirittura superato la casa in fondo alla strada.

“Mamma, mi aiuti? Non riesco a alzarmi.” “Perché non mi hai chiamato prima, te l’avevo detto di avvisarmi!” “Ma non mi faceva male, solo il solito fastidio”

Successe qualche mese prima. Mentre Luca giocava con gli amici al campetto. Non che fosse inciampato, semplicemente la gamba non aveva retto e si è ritrovato per terra. Aveva fatto altre cadute in passato. Quando si arrampicava sugli alberi per raccogliere i frutti o quando esplorava la sua collina nei tratti più sconnessi oppure quando esplorava le case inabitate del suo paese, con le porte di legno divelte. Ma al campetto non aveva nessun dolore. La cosa più strana è che non riusciva ad alzarsi, la gamba non ne voleva sapere di muoversi. La mamma lo raggiunse in poco tempo, casa sua si trova vicino alla chiesa, mentre il padre impiegò più tempo, quello necessario a riuscire a rialzarsi da solo e dire che alla fine non era niente di che, era semplicemente inciampato. Purtroppo per lui i genitori non gli credettero ed il giorno dopo andarono in città a fare dei controlli.

A Luca non piace la città.

Troppo rumore, tante case troppo alte che non fanno vedere neanche una collina. E poi il vento. C’è poco vento, ed aveva anche uno strano odore. Un odore che sente solo quando vanno in città, non proprio puzza ma un odore strano. Come se il vento non fosse libero di soffiare dove e quando gli pareva. Un odore simile al vento che passa dalla serratura della casa in cima alla strada, quella con la porta rotta, diceva Luca. Sempre tante luci, anche di notte che non fanno mai ombra. Tutto quello che più amava era come se fosse imprigionato nella città e Luca non riusciva proprio a tollerarlo. L’unico compromesso che era disposto ad accettare era andare al cinema con la mamma ed il papà. Sopratutto prendere i popcorn salati. Quelli della mamma erano più buoni ma al cinema, durante il film, dopo un forte rumore i popcorn sembrava tremassero.

Però in quel momento non si trovava al cinema ma in un altro luogo che non aveva mai visto. Grandissimo. “Così grande che ti perdi anche se conosci la strada” gli aveva detto il padre. Pieno di corridoi e stanze dove si alternavano persone con camici bianchi, verdi e alcuni colorati. Alcuni uscivano dalle stanze con indosso una bandana colorata e di solito ridevano, altri invece avevano la bandana in mano e sembravano tristi. Le finestre erano tutte chiuse, quindi niente vento, e non si vedeva nulla perché tutte le finestre avevano le tendine. Chissà se spostandole sarebbe riuscito a vedere qualcosa di interessante. “Qui dentro è sempre giorno, papà” disse Luca. “Si amore, qui ci sono sempre le luci accese però ora siediti e aspettiamo il dottore” “Ma papà ti ho detto che sono inciampato e non mi faceva male niente” “Si lo so, ma non è la prima volta che succede vero? Ti ho visto che non riuscivi a salire sull’albero più di una volta, anche se non mi hai mai detto niente.” “Perché mi scivolano i piedi, avevo paura che buttavi le scarpe se te lo dicevo” disse Luca con la testa china mentre guardava le sue scarpe rovinate, quelle preferite. “Lo sai che non fare mai una cosa simile, però promettimi che da oggi mi dici sempre tutto, le cose belle e le cose brutte. Così ne parliamo insieme, va bene?” “Va bene papà… posso spostare la tenda della finestra?” “No amore, tra poco esce il dottore, aspetta seduto insieme al papà”

In effetti non passò molto tempo ed una signora li chiamò per cognome e li fece accomodare in una stanza bianca sicuramente più grande della sua cameretta. Anche quella stanza era piena di luce, finta ovviamente, una grande scrivania con sopra un pc e poster attaccati alle pareti. Il pc l’aveva riconosciuto perché era simile a quelli che usava a scuola, però era più grande e di un colore diverso. I poster non li capiva molto perché avevano delle immagini strane con scritte ancora più strane.

Si sedettero e si strinsero la mano come fanno i grandi. Parlavano di quello che era successo. Sia della caduta a calcetto che delle difficoltà ad arrampicarsi sugli alberi. Il dottore scriveva sul monitor e parlava con il papà. Poco dopo incominciarono una serie di prelievi e visite in alcuni macchinari. Il piccolo bimbo con le scarpe consumate ricorda ancora che passarono praticamente tutta la giornata nell’ospedale, ma tanto lì era sempre giorno ed ogni volta che un esame era lungo o doloroso il papà di Luca gli comprava sempre qualcosa alla “macchinetta”. Quasi sempre dolci e bevande che pizzicavano la lingua. Dopo tantissimo tempo tornarono nella grande stanza bianca, Luca era oramai stanco ed aveva sonno. Questa volta parlò solo il dottore mentre il papà e la mamma ascoltavano attentamente. “Papà ma hai detto al dottore che non è niente, sono solo caduto perché ho le scarpe che scivolano” “Luca, per favore, puoi rimanere in silenzio mentre parla il dottore?” Luca rimase attonito dalla quella frase. Aveva visto altre volte il padre cosi concentrato. Capitava sempre mentre guardava la televisione, alla fine chiedeva alla mamma di alzare il volume perché non sentiva bene. Però Luca in quel momento sentiva perfettamente il dottore, anche se non capiva molto di quello che diceva. Forse anche a questo servono tutti quei compiti, penso il bimbo, per capire quello che dicono i grandi. Il colloquio con il dottore durò un pò ma, una volta terminato, tornarono subito in macchina. Il papà prese il piccolo in braccio, e suo papà era molto veloce. Una volta in macchina Luca si addormentò quasi subito e mentre chiudeva gli occhi vide la mamma abbracciare il suo papà.

Da quella visita son passate svariate ombre che hanno coperto la casa in fondo la strada ed il padre aveva continuato a disegnare varie volte i lineamenti della collina. Luca non indossava più le sue scarpe preferite ma il papà, come promesso, non le aveva buttate. Indossava delle brutte scarpe nere. Il dottore aveva detto che servivano per mettere bene il piede a terra, però non riusciva più a camminare come prima. Non bene come prima, almeno. Non riusciva ad arrampicarsi sul alberi, aveva difficoltà a giocare a nascondino e se correva forte come prima cadeva quasi sempre, o aveva comunque forti dolori alla gamba. Un sabato, mentre stavano giocando in collina, Luca ed il padre trovarono un ramo bello grande, probabilmente staccato da un albero. Quel giorno si sedettero sul ramo e il piccolo Luca chiese al padre se gli insegnasse a guidare il trattore. Il ramo, quel giorno, diventò il sedile del trattore e Luca, per la prima volta, guidò insieme al suo papà. “Sarebbe bello poter tornare a casa con il trattore” disse Luca, mentre tornavano a casa. “E dove lo parcheggiamo? Non possiamo mica lasciarlo in mezzo alla strada?” “Ma non il tuo trattore, il mio trattore papà!” “Il tuo trattore? Ah, intendi il ramo di oggi!” “Non è un ramo, quello è il mio trattore” Il padre sorrise e gli accarezzò la testa. Dopo qualche giorno tornò a casa con un bastone di legno lucido con un estremità che sembrava la leva di un trattore e alla punta un pezzo di gomma, molto simile ad un copertone. “Tieni Luca, questo è per te” “Che cos’è papà?” “Come che cos’è? È il tuo trattore, ricordi? L’ho preso e portato dal mio amico, quello che lavora il legno, e ti ho fatto fare un trattore tutto tuo, così ti aiuta a camminare e lo puoi portare sempre a casa”

“Dai Luca, prendi il bastone che ti aiuto ad alzarti” “Mamma quello è il mio trattore” “Si amore, hai ragione. Ma rientriamo ora che tra poco torna tuo padre” “Mamma ma domani è sabato, vero? Domani vado con papà in collina” “No amore, non penso. Domani dobbiamo tornare in città per gli ultimi controlli prima dell’intervento.” “Mamma ma devo per forza farlo?” “Luca, amore, ne abbiamo già parlato lo sai” “Ma se faccio l’intervento dopo riuscirò a correre di nuovo e arrampicarmi?” Avrebbe voluto aggiungere anche guidare il trattore di papà, ma si vergognava troppo per dirlo. “Ma certo amore, magari non subito, ma se ti impegni poi ci riuscirai” rispose la mamma con un sorriso che Luca notava diverso dal solito.

Luca continuava a vedere i giorni passare lenti dalla finestra del grande complesso ospedaliero. “Potete alzare la tendina della finstra?” è stata la prima cosa che ha chiesto al dottore appena risvegliato dall’anestesia. L’intervento era andato bene, secondo i dottori. Ma Luca, nonostante i vari mesi di terapia e riabilitazione non riusciva a riacquistare il totale controllo della gamba. Dipendeva molto dai giorni e dal tempo, pensava il piccolo, ma di fatto non riusciva più a camminare come prima. Mille volte si domandò se fosse riuscito nuovamente a correre con gli amici, senza esser preso in giro, scovare nuovi anfratti del suo paese ma più di tutto se mai fosse stato in grado di guidare il trattore del padre sulla sua collina. Piangeva, silenzioso nella notte. Non sempre, non tutte le notti. Solo quando il cielo era limpido e poteva vedere le stelle ed nei suoi occhi risplendeva l’immagine della sua collina riflessa da esse. Non fù facile per Luca abituarsi a quel suo nuovo corpo. Non lo è stato in precedenza e mai lo sarà nel futuro, pensava il piccolo bimbo di campagna. Ma gli anni trascorsero più o meno veloci tra i primi amori e le prime delusioni. Con le ripetute prese in giro per il suo modo camminare. Smise di correre, troppo dolore. Non fisico, quello poi passa, ma ancora oggi sente le risate degli altri bambini quando inciampava. <> ripeteva costantemente il padre. E di questa frase fece tesoro il piccolo Luca.

“Stefania, ti spiace se vado via prima oggi, devo fare una cosa. Torno prima di cena, non ti preoccupare” Prese il suo bastone, quello che gli regalò suo padre anni prima, con le necessarie modifiche avvenute negli anni. “Non mi preoccupo, sei sempre puntuale, ci penso io a Giovanni, vai tranquillo.” Luca salutò la moglie con un bacio e chiuse la porta del suo ufficio, l’ultimo del corridoio. Quello che affacciava sulla sua collina, ma sul versante opposto. Prese le scale, riluttante come sempre nel prendere il montacarichi. “Capo buonasera, ha due minuti?” Luca, assorto nei suoi pensieri, si girò quasi di scatto e, guardando il suo orologio, rispose “Si, giusto due minuti, però” lo disse sorridendo, poi aggiunse “e chiamami Luca, non capo.” Il giovane impiegato ricambiò il sorriso “eh sig.Luca prima o poi mi abituerò. Comunque le volevo dire che abbiamo sempre problemi con il battitore della mietitrebbia, tocca farlo revisionare prima di riutilizzarlo, altrimenti rischiamo di buttare il raccolto.” “Preferisco prima controllarlo di persona, magari è solo questione di regolazione. Ora però devo proprio andare, se non c’è altro da dire ti auguro una buona serata.” No no cap..Signor Luca, tutto qua, volevo solo avvisarla. Ci vediamo domani, buona serata.” Luca riprese il cammino verso la sua jeep e mentre avviava il motore gli scappò un sorriso. A distanza di anni aveva capito l’utilità di tutti quei libri e quei compiti. Ne aveva fatto tesoro, laureandosi e rilevando l’attività del padre ampliandola. Ma ogni tanto Luca si rifugiava nel vecchio podere del padre, parcheggiava la sua jeep, apriva il vecchio capanno e accendeva il vecchio trattore del padre. Era difficile da guidare, un mix di vecchiaia e dolori, ma insieme si divertivano a disegnare i lineamenti della sua collina. Senza interessi economici o secondi fini, solo per renderla bella. Quando arrivò a casa, l’ombra non aveva ancora coperto del tutto la casa in fondo alla strada, Luca si accorse della finestra aperta, la luce accesa e riusciva a sentire il profumo della cena. Arrivato all’uscio disse “Indovinate chi è tornato?” “PAPÀ” da lontano un urlo di gioia di un piccolo bimbo riempì la stanza. “Bravo, ometto forte, è papà. Dai vieni fuori, siediti sui gradini. Papà vuole farti vedere una cosa…”

°Fine°


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