Stevie Ray Vaughan, il Jimi Hendrix bianco

Questa storia la raccontiamo a partire dalla fine. Perché proprio la sua fine, assurda, insensata e forse anche un po’ banale a renderla particolare.

È la notte del 27 agosto 1990 e al Pine Valley Music Theater di East Troy, Wisconsin, si è tenuto un concerto a cui hanno partecipato parecchi musicisti, fra cui Robert Cray, Buddy Guy, Eric Clapton e Stevie Ray Vaughan. I musicisti alloggiano a Chicago e per fare il viaggio di rientro hanno a disposizione un elicottero. Quando è ora di prendere il volo di ritorno, il primo viaggio toccherebbe a Slow Hand, ma Stevie Ray è stanchissimo e chiede di poter andare per primo e Clapton dice che per lui va bene. Così partono Stevie e tre membri dello staff di Eric Clapton, Bobby Brooks, Night Browne e Colin Smythee. La zona è avvolta da una fitta nebbia e il pilota non è molto esperto di volo in quelle condizioni. Improvvisamente l’elicottero si schianta su una collina. Non si salva nessuno. E in questo modo, molto poco da rockstar, muore uno dei più grandi chitarristi blues di tutti i tempi. E per una di quelle strane sliding door del destino si salva la vita Eric Clapton.

Stevie Ray Vaughan nasce il 3 ottobre del 1954 a Dallas ed è attratto dalla musica e in particolare dal blues fin da giovanissimo. È il fratello Jimmy , che sarà poi il chitarrista dei Fabulous Thunderbirds, ad avvicinarlo alla chitarra e all'ascolto dei grandi musicisti blues del passato, come Albert King, Otis Rush o Lonnie Mack.

Le prime esperienze sono, come sempre, in qualche piccolo complesso locale, sempre assieme al fratello, ma l'anno della grande decisione è il 1972, quando si trasferisce a Austin, deciso a dimostrare il suo valore. Passa di continuo da un gruppo all'altro, senza però trovare quello che sta cercando. A questo periodo risalgono le esperienze con i Nightcrawlers e i Paul Ray & The Cobras. (con i quali registra il demo “Texas, Clover”). Infine, nel 1977 fonda assieme alla cantante Lou Ann Burton i Triple Threat Review, che presto diventeranno i Double Trouble. Quando, nel 1979, Burton decide di intraprendere la carriera solista i Double Trouble assumono la formazione definitiva (Stevie Ray Vaughan alla voce e alla chitarra, Chris Layton alla batteria e Tommy Shannon al basso), SRV trova il suo equilibrio ideale e iniziano a vedersi i primi frutti di questo stato di grazia.

A scoprire e lanciare Stevie Ray Vaughan è niente meno che Mick Jagger, che lo sente suonare e lo segnala al produttore Jerry Wexler, il quale lo porta al Montreux Jazz Festival del 1982, dove ottiene un successo clamoroso, tanto che David Bowie, dopo averlo sentito, lo ingaggia per la registrazione dell'album “Let's Dance” e per il successivo tour. Si tratta però di un passo falso: a metà del tour Stevie insoddisfatto dal tipo di musica che gli fa suonare Bowie, così lontana dalle sue radici, decide di abbandonare tutto e se ne torna in Texas. Ma grazie ai soldi guadagnati con Bowie e all'incontro con il produttore John Hammond sr. nel 1983 incide il suo primo album “Texas Flood”. Finalmente, a 28 anni, ha raggiunto la maturità artistica: produce assoli travolgenti e di una qualità rara e anche la sua voce è ottima per il blues.

Passa un solo anno e supera anche la prova più difficile per un'artista: il secondo album. “Couldn't stand the weather” è un successo e lo lancia nei primi 30 posti della classifica, facendogli vincere anche un disco d'oro. Questo album contiene anche la sua famosa versione di “Vodoo Child” di Jimi Hendrix. Con “Soul To Soul” del 1985 si aggiunge anche il quarto Double Trouble, il tastierista Reese Wynans, mentre Vaughan è sempre più richiesto, tanto che partecipa come guest star ai dischi di Johnny Copeland (“Texas Twister”), James Brown (“Gravity”), Marcia Ball (“Soulfull Dress”) e del suo idolo Lonnie Mack in “Strike Like Lightning”. Il ritorno al Montreux Jazz Festival viene immortalato nell'album “Blues Explosion” che gli fa vincere il primo Grammy Award.

Ma, come sempre, non è tutto oro quello che luccica e l'abuso di alcool e droghe, che da tempo affligge l'artista, inizia a creargli molti guai, finché, nell'ottobre del 1986, in Germania, non collassa sul palco finendo prima ricoverato in ospedale poi in un centro di disintossicazione in Georgia dove rimane per oltre due mesi.

Torna in studio nel 1989 per incidere “In Step”, che venderà oltre un milione di copie, facendogli vincere un secondo Grammy Award, poi, l'anno successivo, assieme al fratello, collabora con Bob Dylan in “Under The Red Sky”.

Tutto però finisce quel 27 agosto 1990 quando le già citate sliding door della vita mettono lui su quell'elicottero al posto di Eric Clapton e ci portano via uno dei talenti più cristallini delle sei corde.

Di lui ci restano sei album in studio (quelli citati, più il non esaltante “Family Style” inciso nel 1990 con il fratello Jimmy e “The Sky is Cryng” uscito postumo nel 1991), le sue performance al Montreux Jazz Festival oltre alle collaborazioni con altri artisti.

Riposa al Laurel Land Memorial Park di Dallas, accanto al padre, morto il suo stesso giorno, ma quattro anni prima.

Nella sua carriera ha usato diverse chitarre, quasi esclusivamente Fender, ma la preferita fu sempre la Stratocaster sunburst del 1963 che aveva acquistato nel 1973 ad Austin e successivamente decorato con l’iconica scritta SRV in corsivo maiuscolo sul corpo, chiamata dal musicista “Number One” o “First Wife”, oggi di proprietà del fratello di Stevie, Jimmy, anche se qualcuno dice che sia stata sepolta con lui. Per chi volesse approfondire la storia di questa chitarra qua trovate un bellissimo articolo che la racconta.

E ora ascoltiamolo in “PrideAnd Joy” live dal Montreux Jazz Festival del 1982