BREVE STORIA DI ENZINO, CHE VOLEVA AMMAESTRARE LE PULCI
Le aveva chiamate Maria Rosa, Berenice e Graziella, come le sue tre nonne. Fino agli 11 anni non si era nemmeno mai posto il problema del perché lui avesse tre nonne e tutti gli altri due. Né in verità si era mai chiesto come mai portasse i calzoncini corti anche a scuola. Almeno fino al giorno in cui i due occhi neri neri della ragazzina del secondo banco l’avevano fissato mentre addentava affamato la sua mela scrocchiosa. E allora aveva capito che fuori dalla sua testa esisteva un mondo che poteva essere diverso dal suo, forse più colorato o forse più monotono, ma comunque diverso. Maria Rosa era la mamma di Cristina, sua madre. Berenice e Graziella erano le mogli di suo nonno Nicolino. Nonno Nicolino arrivava, spesso, alla domenica pomeriggio a casa sua e Cristina preparava il caffè e metteva sul tavolo qualche biscotto Atene in un piatto bianco che prendeva da sull’acquaio. Non come quando arriva nonna Maria Rosa con Giuseppe, perché allora tirava fuori le tazzine e i piattini dalla credenza, quelli col bordo d’oro zecchino, preparava il the come aveva imparato non ricordava da chi (ma veniva buonissimo!), e metteva in tavola la torta che aveva cotto al mattino. A ripensarci non aveva mai visto i cinque nonni insieme, neanche a Natale o per qualche altra occasione speciale. Un giorno aveva pensato che, però, tutto questo non era giusto, questa disparità, ma non aveva mai chiesto niente perché capiva che erano cose da grandi. Poi ai suoi tredici anni aveva ricevuto per il compleanno un bel dizionario della lingua italiana, con tantissime parole spiegate per bene. Appena poté andò in camera sua e cominciò a sfogliarlo con una fame che veniva dal cervello invece che dalla pancia. E d’un tratto lesse “bigamo” e capì che, forse, quella parola poteva andare bene per nonno Nicolino. Ormai era grande, se gli avevano regalato quel bel dizionario e andava a scuola coi pantaloni lunghi come tutti gli altri, così pensò che era arrivato il momento di parlare da grande coi grandi. Perciò una sera aspettò che suo papà tornasse da lavoro, cenasse e sedesse sulla sua poltrona di similpelle rossa. “Papà” disse con tono il più rispettoso possibile, “perché nonno Nicolino viene qui con due mogli e nonno Giuseppe ne ha una sola?” Suo padre lo guardò come se non avesse capito le parole che Enzino aveva appena pronunciato. Fissò il televisore ancora spento, poi diede al figlio un ceffone, ma non forte come le altre volte. Quindi prese il telecomando e accese l’apparecchio in tempo per l’inizio del TG delle 20,30. Enzino capì che suo padre non ce l’aveva veramente con lui. Che per quella volta non aveva fatto nessuna marachella che andasse punita. Era solo che non gli andava di rispondere, per qualche ragione che lui non conosceva ma capiva che era importante, perché per tutta la durata del TG il suo papà non fece nessun commento, come invece era solito. Se quella sera suo padre non ce l’aveva con nessun politico né col papa, voleva dire che la sua domanda era stata più importante. Enzino teneva le tre pulci, quelli coi nomi delle tre nonne, in una scatola di legno. Quando suo cugino Giannino gliele aveva regalate si era raccomandato di tenerli bene perché, aveva detto, ogni bambino si giudica dalla cura che mette nelle sue cose. Così era andato in cantina e aveva trovato quella scatolina che poteva fare al caso suo. L’aveva colorata con le tempere ma non aveva scritto i nomi dei tre animaletti, perché gli sembrava poco rispettoso verso le nonne se qualcuno l’avesse trovata. All’inizio passava lunghi pomeriggi a fissare le pulci, a cercare di distinguerle tra di loro, ma per quanto si sforzasse era riuscito solo a capire che due litigavano sempre, dandosi zampettate in testa l’un l’altra, mentre la terza se ne stava in disparte. Così chiamò quella solitaria Maria Rosa e alle altre due diede il nome delle mogli di nonno Nicolino, perché anche loro battibeccavano in continuazione, per ogni più piccolo motivo. Enzino provava a parlare con i tre animaletti, però non era sicuro che loro capissero o anche solo lo stessero ad ascoltare. Tutti i giorni, comunque, passava un po’ di tempo con loro, ma non molto più come prima, perché ora gli studi erano più impegnativi e lo distraevano dalla missione che si era dato sin dal primo giorno: ammaestrarle per bene fino a potersi presentare in pubblico e mostrare la sua bravura. Quando ormai era cresciuto abbastanza da perdere il diminutivo e diventare per tutti Enzo, un giorno fissando Maria Rosa, Berenice e Graziella gli venne spontanea una domanda: ma quanto vivono le pulci? Cioè: è normale che tre esserini così piccoli siano vissuti per tutti questi anni? E si rispose che, evidentemente, la natura (di cui aveva grande rispetto) sapeva quello che faceva. Il tempo trascorreva e i suoi sforzi di insegnare alle tre pulci a saltare a comando non davano frutti; tuttavia Enzo continuava ogni giorno a tirare fuori dalla scatolina di legno per una nuova lezione, anche se sempre più breve. Ormai aveva la sua bella targa d’ottone sulla porta di casa, che annunciava a tutti che l’avvocato era pronto ad assistere chiunque avesse bisogno della sua perizia professionale. Poi un giorno Berenice (o Graziella?) rimase nella scatolina quando il coperchio fu tolto, ed Enzo capì che il suo tempo era arrivato. La prese con delicatezza, se la mise sul palmo della mano sinistra e la guardò a lungo per essere sicuro che non si muovesse più. Allora afferrò le altre due, le mise vicino alla prima e, senza darsi tempo di pensare, batté una mano sull’altra, con forza. Maria Rosa, Berenice, Graziella ed Enzino non c’erano più. Gli rimase tuttavia un dubbio: le pulci possono essere ammaestrate? O era semplicemente lui che non c’era riuscito?