VALERIA NON ERA UNA SBRUFFONA
Era notte fonda, la città dormiva, anche i ladri ed i truffatori avevano lasciato la strada per ritirarsi a sonnecchiare qualche ora. I viali ed i parchi erano vuoti, deserti gli ultimi locali notturni, le finestre ed i balconi separavano e proteggevano gli abitanti in attesa dell’aurora. Alla periferia di quella quiete una musica assordante attraversava le pareti di una casa che indugiava tra fiumi di birra, vino e super alcolici scolati da giovani in cerca di emozioni forti, che sbeffeggiavano la triste vita dei loro coetanei già a letto. Valeria, che aveva esagerato con l’alcol e aveva fumato, sprofondò su un divano. La testa non era più lì, vagava per altri lidi, in un sogno stranamente lucido. Vedeva intorno a sé altri sballati come lei, solo più annoiati, viziati da genitori sempre meno presenti.
“Guarda la sbruffona come è conciata”. Disse uno di loro.
Valeria non era una sbruffona. Era giunta in Italia dalla Colombia quand’era ancora in fasce. Aveva frequentato la scuola fino a 19 anni, quando affrontò l’esame di maturità e si diplomò. Il padre e la madre facevano gli operai nello stabilimento più importante della zona, erano miti, discreti e sapevano di avere una figlia speciale: affettuosa, rispettosa e studiosa. Vivevano tutti insieme in un appartamento in centro, piccolo ma confortevole e poi dalla finestra del salotto si poteva ammirare il Duomo con le sue guglie e le sue vetrate variopinte. Vi era anche un grande balcone pieno di piante e fiori che la madre curava in modo quasi maniacale, per dimenticare la fatica della fabbrica, le dieci ore consecutive di lavoro. Il suo volto esprimeva comunque felicità che distribuiva a piene mani. La domenica era sacra, era l’unico momento in cui potevano ritrovarsi tutti insieme.
Valeria non era una sbruffona. Era una ragazza come tante altre che amava la vita, mai e poi mai avrebbe immaginato quello che le sarebbe successo, si fidava di tutte le persone che la circondavano, pensando che non ci fosse alcun motivo per farle del male. Passava la maggior parte del tempo libero con gli amici. Il ritrovo era il bar “Portorico” dove si degustavano gli aperitivi più raffinati della zona, accompagnati da tartine e pizzette favolose. Da lì poi, il sabato, partivano alla volta della discoteca.
Valeria non era una sbruffona. Faceva volontariato in una cooperativa in cui erano ospitati i bambini soli che avevano solcato il mare in cerca di una vita migliore. E intanto cercava lavoro.
Fu proprio durante quella ricerca che conobbe Mattia, un bel tipo dagli occhi cerulei che lo rendevano seducente e misterioso nello stesso tempo. Aveva il fascino maledetto degli scapestrati, quelli che non si fanno tanti scrupoli e che sono convinti che tutto ciò che vogliono spetti loro di diritto. Era benestante, il padre medico e la madre insegnante lo accontentavano in tutto. Se avesse messo da parte tutte le paghette ricevute, avrebbe potuto comprare un appartamento, magari non grande ma sicuramente decoroso. Si insinuò nella vita di Valeria senza far rumore, con la discrezione di una foglia che si stacca dall’albero e fa mille giri prima di adagiarsi sul prato. Era dolce, parlava poco di sé, ma compensava questa reticenza con fiori e piccoli regalini che lei accettava sorridendo: “Grazie non avresti dovuto”. “Sei la donna più bella che io abbia mai conosciuto, non posso evitare di essere riconoscente al fato”. “Non dire così o mi farai arrossire”.
Era dicembre inoltrato, gli alberi spogli guardavano un Sole pallido, infreddolito che non vedeva l’ora di coricarsi. Mattia e Valeria passeggiavano tra i negozi che si erano trasformati in un carosello di colori e offerte speciali. “Cosa farai a Natale?” Lei non rispose subito, era assorta nei suoi pensieri. “Pranzo con i miei genitori”. “E sì, anch’io… per Capodanno hai qualche progetto?” “Non ancora, forse uscirò con le mie amiche che mi hanno proposto di attendere la mezzanotte in Piazza”. “Farò anch’io così, non ho voglia di chiudermi in qualche locale affollato… Domani sera un amico organizza una festa privata, ci verresti?” “Non conosco nessuno, mi sentirei in imbarazzo”. “Non ti preoccupare ci sono io”. Valeria, seppur con qualche dubbio, accettò.
La villa dell’amico era circondata da un parco principesco in cui prevalevano pini e abeti, le siepi guidavano i vialetti che, durante la bella stagione, si illuminavano insieme ai cespugli fioriti, che contornavano gli alberi, mostrando la loro presuntuosa bellezza a chiunque osasse entrare durante la canicola. L’ingresso dell’abitazione era costituito da tre gradini in marmo sopra i quali un portone decorato in stile Liberty permetteva l’acceso al salone principale. L’accoglienza fu garbata e i complimenti per il suo abito rosso porpora, trasparente solo fino alle ginocchia, misero Valeria a proprio agio. “Sono gentili i tuoi amici”. “Sì, è gente altolocata che sa come comportarsi in società”. Nel frattempo si era avvicinato Marco. “Posso rubarti la fanciulla?” “Certo”. Rispose Mattia Si avvicinarono al buffet. “Raccontami qualcosa di te”. “Cosa vuoi sapere? La vita fino ad oggi non mi ha riservato grandi sorprese. E’ stata tranquilla, senza salti nel vuoto. Insomma, c’è ben poco da dire”. Intanto lui riempiva il bicchiere con del whisky e lei beveva, beveva senza rendersi conto della quantità di alcol che aveva in corpo. Mattia la raggiunse. “Non bere così tanto”. “Non sono ubriaca, se è questo che pensi”. Non voleva apparire come un’ochetta senza esperienza. “Dai prendi una sigaretta”. Le disse un volto dall’aria baldanzosa. “Io non fumo”. Rispose timidamente. “Provala questa è speciale”. “Figuriamoci, perché dovrebbe essere speciale? Una sigaretta è una sigaretta”. “Va bene se non vuoi provare, non farlo… non sai cosa ti perdi”. Un pizzico di orgoglio la spinse ad adeguarsi. All’inizio fumava con un po’ di difficoltà poi, siccome le sembrava di non sentire nulla, aumentò il ritmo delle inspirazioni. Senza accorgersene cadde sul divano.
Erano le tre del mattino, in quella villa erano rimasti il proprietario con un gruppo di amici e lei, Valeria. Tutti gli altri se ne erano andati. Mattia, un po’ intontito, si allontanò da loro. “Che ne dite se provassimo a spogliarla?” Uno sguardo di intesa scivolò tra di loro e li trasformò in un branco pronto a colpire la preda. “Ma ve lo immaginate se spuntiamo nel telegiornale?” Iniziò così una violenza che si protrasse per più di un’ora. Uno dopo l’altro martoriarono Valeria. Quando Mattia si svegliò e si rese conto di quello che stava succedendo, ebbe un momento di smarrimento. Poi anche lui la stuprò. “Lo fanno tutti, non sarà la fine del mondo”. Pensava, mentre abusava di lei. A turno filmarono con grande soddisfazione tutto quello che stava accadendo. Avrebbero postato la loro bravata per darla in pasto ad internet e catturare migliaia di like. Alla fine dovettero decidere cosa fare di quel corpo, tenerlo in casa non si poteva ovviamente. Lo caricarono in auto e lo gettarono in una zona in cui vi era un complesso edilizio in costruzione.
I video divennero virali e Valeria dovette sopportare la tragedia di un altro stupro. Molti commenti la dileggiavano, la ritenevano responsabile perché non se ne era andata e aveva avuto comportamenti provocatori. Uno di quei commenti recita: “Ti sta bene cara Valeria, è questo quello capita alle donne che, come te, vogliono scimmiottare gli uomini, bevendo e fumando”.