Una società che ha perso concentrazione
Questa è la traduzione dell'articolo di Ploum: A Society That Lost Focus, datato 18/03/2024.
La nostra mente, il collo di bottiglia
All'inizio degli anni '90, dopo aver modificato il mio computer MS-DOS, riuscii a giocare ai videogiochi. Uno di questi giochi si chiamava “Battle Chess”. Era una partita a scacchi in cui i pezzi combattevano davvero l'uno contro l'altro. Era divertente. Ero, e sono tuttora, un giocatore di scacchi mediocre. Venivo 'mattato' in meno di 10 o 15 mosse al livello più facile. Per fare un esperimento, ho aumentato la difficoltà e ho iniziato a giocare. È successo qualcosa di strano: continuavo a perdere, ma ci volevano molte più mosse. Riuscivo a proteggere la mia partita e persino ad ottenere qualche pareggio.
Era un bug del gioco?
Anche se ero solo un adolescente, ho capito subito il motivo. Con l'impostazione “difficile”, il gioco cercava con più impegno di trovare una mossa valida. Sul mio processore 386, senza coprocessore matematico, questo richiedeva tempo. Diversi secondi o addirittura un minuto per mossa. Durante quel tempo, pensavo, anticipando.
Con l'impostazione più facile, le mosse del computer avvenivano immediatamente. Sapevo di avere tutto il tempo che volevo, ma ero spinto a muovermi velocemente. Non potevo prendere tempo mentre l'altra parte reagiva immediatamente alle mie mosse.
Il mondo in cui viviamo è come quella partita a scacchi con l'impostazione più facile. Tutto accade immediatamente, in ogni momento. Il lavoro d'ufficio può ora essere riassunto come il tentativo di rispondere il più rapidamente possibile a ogni singola e-mail fino alla fine della giornata, per poi ricominciare da capo il mattino successivo, un processo che impedisce essenzialmente qualsiasi riflessione profonda, come sottolineato da Cal Newport nel suo libro “A world without email” (Un mondo senza e-mail).
Non avendo più tempo per pensare, mascheriamo la nostra mancanza di idee con trucchi comportamentali. Abbiamo sostituito i documenti con PowerPoint perché permettevano alla mancanza di struttura e al vuoto di sembrare professionali (basta copiare e incollare i dati dell'ultimo PowerPoint ricevuto in un file di testo e vedere da soli quanto sia penoso. Le comunicazioni PowerPoint alla NASA sono state persino diagnosticate da Edward R. Tufte, autore di “The cognitive style of PowerPoint”, come una delle cause che hanno portato al disastro dello Space Shuttle Columbia).
Il problema fondamentale è che, per la prima volta nella storia dell'umanità, il nostro cervello è il collo di bottiglia. In tutta la storia, la trasmissione delle informazioni era lenta. I cervelli erano veloci. Dopo aver inviato una lettera, avevamo giorni o mesi per pensare prima di ricevere una risposta. Erasmo scrisse il suo famoso “Elogio della follia” in pochi giorni mentre viaggiava in Europa. Non avrebbe mai potuto farlo in un paio d'ore su un aereo mentre il piccolo schermo del sedile davanti gli mostrava pubblicità.
Nel 2012, lo scrittore francese Thierry Crouzet ha avuto uno dei primi casi documentati di “burnout online”. Essere sempre connesso con sconosciuti interessanti e idee interessanti a cui voleva rispondere rapidamente era troppo per il suo cervello. Una notte, ha avuto un forte attacco di panico e ha deciso di passare sei mesi senza Internet, un'esperienza che ha raccontato nel suo libro “J'ai débranché”.
L'Internet sopravvalutata
Il feedback immediato della connettività permanente è chiaramente una cosa negativa. Ma il peggio doveva ancora arrivare. Dopo lo scoppio della bolla degli anni 2000, che ci ha dimostrato che Internet non era “denaro magico”, la domanda è diventata “come monetizzare Internet?”. Alcuni geek idealisti hanno risposto: “Non si monetizza, è un mondo non commerciale”. Ma i geek, come tutti, volevano o avevano bisogno di essere pagati. Per guadagnare, hanno consegnato le redini del nuovo mondo che stavano creando ai commerciali. Ecco fatto: gli hacker hanno venduto Internet in cambio di uno stipendio.
Fino al 2000, i commerciali si sono baloccati con l'idea di vendere il lavoro degli hacker. Con un piccolo problema: l'hanno venduto troppo, immergendosi nella fantasia dei geek che presto tutti sarebbero stati su Internet, acquistando costantemente cose online.
Negli anni 2000, nessuno tranne i geek voleva passare la vita dietro un enorme schermo luminoso. I commerciali si sono improvvisamente risvegliati alla realtà con la bolla delle dot-com. Se non tutti volevano essere su Internet e nessuno avrebbe comprato nulla su Internet, c'erano due possibili soluzioni: monetizzare il fatto che alcune persone stavano già trascorrendo molto tempo su Internet o convincere più persone a collegarsi a Internet.
Le aziende sopravvissute, come Google, hanno scelto la soluzione più semplice: monetizzare ciò che le persone stavano già dando a Internet: il loro tempo e la loro attenzione. La pubblicità era ovviamente già parte del web (principalmente attraverso i famigerati “pop-up”), ma Google ha innovato inventando un modo completamente nuovo di sfruttare l'attenzione: cercare di imparare il più possibile sugli utenti per mostrare loro la pubblicità su cui sono più propensi a cliccare. L'intera storia è raccontata in modo molto dettagliato nel libro “Surveillance Capitalism” di Soshanna Zuboff.
Se questa “pubblicità personalizzata” funzioni davvero meglio di quella tradizionale è oggetto di dibattito. Per Tim Hang, autore di “Subtime Attention Crisis”, e per Cory Doctorow, autore di “How to destroy surveillance capitalism”, l'impatto reale sulle vendite è trascurabile, ma poiché i venditori pensano che funzioni, investono ingenti somme di denaro in essa, rendendo l'intera tecnologia una bolla molto redditizia.
Ma il vero impatto è indiscutibile: finché qualcuno la acquista, è davvero redditizio vendere l'attenzione e tutte le informazioni che si possono ottenere dai consumatori. Di conseguenza, questa pratica si è generalizzata e quasi tutti i siti web e le app su Internet cercano di ottenere entrambe le cose. E lo fanno in modo molto scientifico.
Abbiamo dimenticato come non spiare e rubare l'attenzione
Ora è considerata una “pratica normale” cercare di ottenere l'attenzione e i dati dei propri utenti, anche se non ha senso dal punto di vista commerciale.
Le app bancarie inviano notifiche per mostrare il loro nuovo logo scintillante, i buoni vecchi siti di e-commerce chiedono ai propri clienti il numero di figli che hanno o la loro fascia di reddito. Anche i blog personali non commerciali o alcuni siti web dedicati alla privacy contengono software di analisi per tracciare i propri utenti. Non tracciare i propri utenti è più difficile che farlo! Ogni singolo venditore da cui acquisti, anche quelli tradizionali, ti sommergerà di email.
Si potrebbe supporre che l'acquisto di un nuovo materasso sia qualcosa che si fa solo ogni dieci anni e che il mercato potenziale per i venditori di materassi sia costituito da coloro che non hanno acquistato un materasso negli ultimi cinque anni. Allora perché qualcuno ha pensato che, subito dopo aver acquistato un materasso, sarei stato interessato a ricevere notizie sui materassi ogni singola settimana della mia vita?
Le due conseguenze di tutto ciò sono che la nostra privacy viene violata nella misura massima consentita dalla tecnologia e che la nostra attenzione viene catturata scientificamente nella misura massima consentita dalla tecnologia. E, in entrambi gli aspetti, la tecnologia sta “migliorando”, poiché tutte le menti più brillanti del mondo vengono assunte proprio per questo scopo.
Mentre lavorava presso Google, Tristan Harris si rese conto di quanto ciò che stavano costruendo fosse finalizzato ad attirare l'attenzione delle persone. Lasciò Google per creare il “Center for Humane Technology”, che cerca di sensibilizzare l'opinione pubblica sul fatto che... la nostra attenzione è catturata da tecnologie monopolistiche.
L'ironia è palpabile: Tristan Harris aveva un'ottima intuizione, ma non riesce a immaginare di fare altro che “sensibilizzare” attraverso i social network o costruire tecnologie che ti avvisano che dovresti concentrarti. Costruiamo un altro strato di complessità sopra tutto il resto e sensibilizziamo affinché questo strato sia adottato abbastanza ampiamente da diventare la base del prossimo paradigma di complessità.
Adorare idee superficiali
Essere costantemente distratti ci impedisce di avere idee e di comprendere. Abbiamo bisogno di uno slogan accattivante. Invece di leggere un rapporto di tre pagine, preferiamo una presentazione PowerPoint di 60 diapositive, contenente per lo più immagini di repertorio e grafici fuori contesto.
Abbiamo valorizzato l'immagine eroica del CEO che arriva in riunione e dice agli ingegneri: “Ho dieci minuti prima della mia prossima riunione. Ditemi tutto in cinque minuti e prenderò decisioni da un miliardo di dollari”.
Col senno di poi, è ovvio che prendere buone decisioni in quel contesto non è altro che tirare a sorte. In modo buffo, è stato dimostrato più volte che ogni CEO di alto profilo non è migliore di un algoritmo decisionale casuale. Ma, a differenza degli algoritmi, i CEO di solito hanno carisma e sicurezza. Possono prendere una decisione molto sbagliata, ma possono convincere tutti che è quella giusta. Che è esattamente la definizione del lavoro di un venditore.
In “Deep Work”, Cal Newport cerca di promuovere la posizione opposta, l'arte di prendersi il tempo per pensare, per riflettere. In “The Ideas Industry”, Daniel Drezner osserva che le idee lungimiranti, sottili e complesse sono sempre più sostituite da slogan semplicistici, il cui esempio più eclatante sono le famose conferenze TED. In 18 minuti, alle persone viene venduta un'idea e, se il relatore è un buon venditore, hanno la sensazione di aver imparato qualcosa di profondo e nuovo. Il solo fatto che si possa imparare qualcosa di così profondo in 18 minuti è un insulto a tutto il mondo accademico. Non sorprende che lo stesso mondo accademico sia visto da molti come un gruppo di vecchi noiosi che passano il tempo a scrivere lunghi articoli invece di inventare slogan accattivanti per cambiare il mondo.
Soccombere alle nostre dipendenze
La maggior parte dei monopoli è stata costruita eliminando le possibilità di scelta. Non era possibile acquistare un computer senza Microsoft Windows. Non era possibile visitare alcuni siti web senza Internet Explorer. Non è possibile trovare un telefono senza Google in un negozio (Google paga molti miliardi di dollari ogni anno per essere il motore di ricerca predefinito sui dispositivi Apple). E se si riesce a rimuovere Google dal telefono, si perde la possibilità di utilizzare alcune app, tra cui la maggior parte delle app bancarie. La maggior parte delle app controlla persino all'avvio se i servizi Google sono installati sul telefono e si rifiuta di avviarsi in caso contrario. Se è davvero difficile non usare Google, si tratta per definizione di un monopolio forzato. Allo stesso modo, è molto difficile evitare Amazon quando si fa shopping online.
C'è un'eccezione: Facebook. Nulla ci obbliga ad andare su Facebook o Instagram. Nulla ci obbliga a trascorrere del tempo su questi social network. È come se avessimo una scelta. Ma sembra che non sia così.
Perché? Perché passiamo un'ora su uno stupido gioco per smartphone che avrebbe dovuto durare cinque minuti invece di leggere un libro? Perché trascorriamo ogni minuto della nostra vita controllando il cellulare e rispondendo a chiacchiere banali, anche se siamo nel bel mezzo di una conversazione con qualcun altro? Perché siamo spinti a mettere a rischio la nostra vita e quella dei nostri figli solo per rispondere rapidamente mentre guidiamo?
A causa del modo in cui è strutturato il cervello umano. Dal punto di vista evolutivo, siamo alla ricerca di nuove esperienze. Imparare nuove esperienze, buone o cattive che siano, può aiutare i nostri cromosomi a sopravvivere più a lungo rispetto ad altri. Proviamo quella famosa “scarica di dopamina”, descritta in modo dettagliato da Liberman e Long in “The molecule of more”.
Ogni volta che arriva una notifica, ogni volta che compare una bolla rossa in qualche parte dello schermo, il cervello reagisce come se fosse una nuova opportunità vitale. Non possiamo perdercela. Uno studio ha dimostrato che il solo suono di una notifica è sufficiente a distrarre un guidatore tanto quanto se stesse scrivendo un messaggio mentre guida. Sì, anche senza guardare il telefono, sei distratto tanto quanto se lo guardassi (il che non è una scusa per guardarlo).
Il cervello ha imparato che il telefono è un fornitore casuale di “nuove esperienze”. Anche in modalità aereo, è stato dimostrato che avere il telefono sulla scrivania o nella borsa riduce notevolmente l'attenzione e le prestazioni cognitive. Le prestazioni sono tornate alla normalità solo quando il telefono è stato messo in un'altra stanza.
Lottare per ritrovare la concentrazione
Ecco, l'unico modo per non avere tentazioni è non avere il telefono a portata di mano. Il già citato scrittore francese Thierry Crouzet mi ha detto una volta che era molto difficile concentrarsi sulla scrittura quando si sa che basta spostare la finestra del word processor con il mouse per andare su Internet. Sul web, i forum degli scrittori sono pieni di discussioni sui dispositivi “senza distrazioni”. Alcuni, tra cui il sottoscritto, stanno tornando alle vecchie macchine da scrivere, un paradigma descritto come una vera e propria resistenza da Richard Polt nell'eccellente libro “The Typewriter Revolution”.
Ci si potrebbe persino chiedere se l'epidemia di “elettrosensibilità”, ovvero il malessere o la nausea provocati dall'esposizione al wifi o ad altre emissioni wireless simili, non sia semplicemente una reazione psicologica alla sovrastimolazione. È stato osservato che i sintomi sono reali (le persone si sentono davvero male e non stanno simulando), ma che, in un ambiente controllato in doppio cieco, i sintomi sono legati alla convinzione dell'esistenza delle emissioni wireless (se si simula un router wireless lampeggiante senza emettere nulla, le persone si sentono male; se si emettono emissioni wireless ma si dice alle persone che sono disattivate, si sentono meglio).
Nel suo libro di riferimento “Digital Minimalism”, Cal Newport offre un quadro di riferimento per ripensare il modo in cui utilizziamo le tecnologie digitali. L'idea centrale è quella di bilanciare consapevolmente costi e benefici, evidenziando i costi più nascosti. Facebook potrebbe essere gratuito nel senso che non devi pagare per usarlo. Ma essere esposti alla pubblicità, essere esposti a invettive politiche rabbiose, sentirsi obbligati a rispondere, essere esposti a immagini di persone che una volta conoscevi e che sembrano avere una vita straordinaria (anche se virtuale) è un costo molto alto.
Basta fare due conti. Se avete 180 amici su Facebook, che al giorno d'oggi sembra un numero basso, e se i vostri amici prendono in media 10 giorni di ferie all'anno, avrete in media cinque amici in vacanza ogni giorno. Aggiungete a questa statistica il fatto che ad alcune persone piace ripubblicare foto di vecchie vacanze e ciò significa che sarete bombardati quotidianamente da immagini di spiagge assolate e paesaggi meravigliosi mentre aspettate sotto le luci al neon il vostro prossimo noioso incontro in un ufficio grigio. Per come è progettato, Facebook vi fa sentire infelici.
Questo non significa che Facebook non possa essere utile e avere dei vantaggi. Come sottolinea Cal Newport, è necessario adattare il proprio utilizzo per massimizzare i benefici cercando di evitare il più possibile i costi. Bisogna pensare consapevolmente a ciò che si vuole davvero ottenere.
Questa idea di minimalismo digitale ha portato a una rinascita dei cosiddetti “dumb phone”, telefoni che non sono smart e che sono in grado di effettuare chiamate e inviare/ricevere SMS. Alcuni marchi stanno persino iniziando a innovare in questo particolare mercato, come Mudita e Lightphone.
Ironia della sorte, questi telefoni pubblicizzano la consapevolezza e la concentrazione. Cercano di attirare la vostra attenzione per vendervi... la vostra stessa attenzione.
Concentrazione contro il consumismo
Uno dei credi consumistici è che il mercato risolverà tutto. Se c'è un problema, qualcuno venderà rapidamente una soluzione. Come sottolineato da Evgeny Morozov in “To Save Everything, Click Here”, questo non è solo un modo di pensare sbagliato. È effettivamente dannoso.
Con il denaro pubblico, stiamo attivamente finanziando aziende e startup pensando che creeranno posti di lavoro e venderanno soluzioni a ogni problema. Si sottintende che ogni soluzione debba essere tecnologica, vendibile e intuitiva. Tutto qui: non bisogna pensare troppo a un problema, ma costruire ciecamente qualsiasi soluzione venga in mente utilizzando lo stack tecnologico di tendenza. L'autore francese Antoine Gouritin ha scritto un libro divertente e interessante su tutta questa filosofia, intitolato “Le Startupisme”.
La causa principale è questa: non abbiamo più alcun quadro mentale se non quello di spiare le persone e rubare la loro attenzione. Le scuole di business insegnano come realizzare PowerPoint accattivanti rubando l'attenzione delle persone. Ogni azienda è in guerra con le altre per catturare la vostra attenzione e i vostri cicli cerebrali. Anche il mondo accademico sta lottando per ottenere finanziamenti sulla base di PowerPoint accattivanti e del numero di pubblicazioni. Questa è stata l'osservazione cruda di David Graeber: anche gli accademici hanno smesso di pensare per giocare al “gioco dell'attenzione”.
Non esiste una soluzione miracolosa. Non ci sarà alcuna soluzione tecnologica. Se vogliamo riprendere il controllo della nostra attenzione e dei nostri cicli cerebrali, dovremo allontanarci e normalizzare i momenti di disconnessione. Riconoscere e condividere il lavoro di coloro che non cercano l'attenzione a tutti i costi, che non hanno slogan accattivanti né conclusioni spettacolari. Dobbiamo iniziare ad apprezzare i lavori più difficili che non ci offrono un profitto immediato a breve termine.
È la nostra mente, non la tecnologia, il collo di bottiglia. Dobbiamo prenderci cura della nostra mente. Dedicare tempo a pensare lentamente e profondamente.
Dobbiamo riportare Sapiens nell'Homo Sapiens Sapiens.
Sono Ploum, scrittore e ingegnere. Mi piace esplorare l'impatto della tecnologia sulla società. Potete iscrivervi via e-mail o via RSS. Ho a cuore la privacy e non condivido mai il vostro indirizzo.
Scrivo romanzi di fantascienza in francese. Per Bikepunk, il mio nuovo libro post-apocalittico sui ciclisti, il mio editore sta cercando contatti in altri paesi per distribuirlo in lingue diverse dal francese. Se potete aiutarmi, contattatemi!