La finanza è una “scienza esatta”? Nemmeno lontanamente! Anche se vanta l’utilizzo di metodi statistici e matematici, anche se si avvale di analisti che si atteggiano ad oracoli infallibili, la finanza non è una scienza esatta. Non è neppure una scienza sperimentale, dal momento che i modelli utilizzati (ahimè) falliscono e sono proprio gli strumenti creati da un “mercato” lasciato libero di agire che si rivelano tossici per il mercato stesso.

Viene anche da chiedersi che cosa valutino le agenzie di rating per formulare il loro giudizio sull’affidabilità delle imprese finanziarie. Anche nel caso recente della Silicon Valley Bank, l’istituto godeva di ottime valutazioni fino ad un’istante prima del fallimento. La stessa cosa capitò anche ai tempi della bolla finanziaria legata ai mutui subprime, quando Lehman Brothers aveva ottimi voti fino a pochi giorni prima del fallimento.

La finanza non è affidabile e non si possono certo incolpare gli “algoritmi” se nessuno li controlla e se non vengono gestiti nell’interesse dei risparmiatori. Oppure, si dovrebbe ammettere che gli algoritmi funzionano, ma solo per arricchire alcuni (pochi) a scapito di altri (molti). Per esempio, i media riferiscono che il presidente e amministratore delegato della Silicon Valley Bank ha venduto più di 3 milioni di dollari di azioni della stessa banca poche settimane prima del fallimento.

Queste vicende dovrebbero far riflettere i governi, che sempre di più si fanno guidare dalle grosse compagini finanziarie e dalle banche centrali, le quali orientano le decisioni, regolano gli investimenti e spingono verso politiche di austerity.

Il rigore finanziario è ben presente quando si tratta di spese in ambito sociale e pubblico ma quando scoppia una crisi bancaria si può ricorrere senza remore alle risorse pubbliche.

Si tratta di un’asimmetria che dovrebbe essere contestata, accorgendosi ed esclamando che il “re è nudo”.