monosillabica

introversa, emotiva, schietta

#socialità #felicità

Che ci sarebbe stato sciopero oggi ne parlavano anche i TG. Per questo, forse, c'è un'aria strana in giro. Una gogliardica rassegnazione, direi. Sì. Alcuni si lamentano, certo, ma i più accettano, sorridono, si scambiano battute scherzose sul destino infame, sono più attenti a ciò che li circonda, più empatici. Devo tornare a casa e, come tutti su quel binario, aspetto un treno che tarda sempre di più. Un ragazzo mulatto si avvicina con un bicchiere di carta in mano. We, non è che c'hai qualche spicciolo? Un accento alquanto milanese. E non siamo a Milano. Sbatto le palpebre per sopprimere una risata. No, mi spiace. Se ne va barcollando. Mi giro verso due ragazzi sulla tarda trentina che commentavano la scena. Li guardo e gli faccio uno spontaneo... Taaac! spezzo l'aria in diagonale, dall'alto verso il basso, con la mano tesa. I due ridono a crepapelle. Siamo diventati amici di sventure, amici di sciopero. Indugiamo in quella gogliardica rassegnazione, chiacchieriamo e ridiamo per qualche minuto. 20 minuti rit. 30 minuti rit. Cancellato. Me lo aspettavo, non mi scopongo. Devo andare al binario 1, a prendere il treno successivo. Saluto ragazzi e vado. Il treno è lì. È un'Intercity, non il regionale che dovrei prendere. Ma non so quando passerà il prossimo treno. Attorno a me c'è gente che corre dappertutto. Ritardi. Cancellazioni. Salgo, anche se con mille timori. Squadro la gente sopra il treno. Molte di queste persone non sono tipiche di un Intercity. Di sicuro si trovano nella mia stessa situazione Mi siedo. Mi sento lievemente più sollevata. Ancora qualche goliardica battuta di rassegnazione attorno a me. Appoggio i miei guanti sul tavolino. Sospiro. È una giornata difficile. Pochi secondi dopo, un signore brizzolato mi chiede se può sedersi di fronte a me. Certo, ci mancherebbe! Indossa una giacca di pelle. È un motociclista, porta con sè un casco. Si sarà seduto qui perchè ha visto i miei meravigliosi guanti con i teschi. Gli sorrido. Lui fa un cenno poco caloroso ma entro i limiti della cordialità. Gli chiedo se anche lui, come me, ha un biglietto regionale invece che per l'Intercity. “Sì, ma ho chiesto alla capotreno e mi ha detto di salire comunque. Col cazzo che pago un altro biglietto con questo servizio!” Scambio qualche parola, per ringraziarlo e fargli capire che i miei timori sono spariti grazie a lui. Perchè scioperano, poi? Una volta mi sarei interessata di più... Arrivo alla mia fermata e saluto il motociclista. Scendo. Devo aspettare in stazione, mi vengono a prendere. Che ne dici di un bel bufalo? Ci mangiamo un bufalo, eh? Una tortina di carote, grazie. Il mio stomaco disapprova. Mi siedo nella saletta del bar. Molti pendolari erano lì, più del solito a causa dello sciopero. Mangio la mia tortina. Quanto basta per arrivare a casa. Una ragazza mi prende in simpatia... Saranno ancora i miei strepitosi guanti con i teschi.... ... e chiacchieriamo per qualche minuto. Mi saluta e va via. Mi guardo intorno, sono energica ora. Alcuni chiacchierano dello sciopero, molti sono con gli occhi fissi sul telefono. Noto un barboncino bianco accanto a me. Trema, ha un collare rosa. Il padrone è seduto di spalle. Lei lo fissa, nella speranza che lui accenni al fatto che è ora di andarsene. Ehi... Mi guarda e trema. Parlo con un sacco persone, oggi. Vuoi essere anche tu la mia amica di sciopero? Propende verso la mia mano. Direi che è un sì. Mi accovaccio. Stiamo lì insieme, ci isoliamo da resto. La accarezzo dolcemente e lentamente, per rassicurarla. Lei si calma un po', ogni tanto guarda il padrone ma con meno ossessione. Tutto vortica ma io e te abbiamo fermato il tempo. Non credi, cagnolina senza nome? Mi godo il momento. Noi, due perfette sconosciute, ci coccoliamo mentre fuori c'è il caos più totale. Sento di essere osservata e alzo lo sguardo. Una ragazza mi sta sorridendo geniunamente. Stavolta non sono i guanti, è il fatto di accarezzare un cane. La gente ama i cani. Ricambio e continuo a rilassarmi. Il padrone della cagnolina si alza con calma. È un uomo lievemente abbronzato, sulla quarantina. Mi nota. Ho le mani nel sacco... cioè sul cane. Mi sorride. Accidenti che sorriso. Impossibile tu sia single. Non lo dico, ovviamente. Più probabile che sia arrossita, come al solito in presenza di un bell'uomo. La cagnolina sguiscia via da me come fosse d'acqua e va verso l'uscita. Lui mi saluta. Ricambio. E aspetto da sola.

C'è quest'aria solidale quando c'è sciopero. Sono tutti propensi alla chiacchiera e al sorriso. Mi piacerebbe fosse tutti i giorni così. Mi sono venuti a prendere. Sorrido alla ragazza di prima ma lei ha immerso la faccia nel suo panino e gli dedica una doviziosa attenzione. Pazienza. Ho avuto abbastanza soddisfazioni per oggi, va bene così.

#stress #scrittura #università

Accendo un monitor gigantesco, tutto questo è ben diverso dal mio modesto computer da viaggio. Apro un file chiamato “Scrivo col pepe nel cu.”, un altro chiamato “Introduzione-Capitolo 1”, due finestre di Firefox (una con il dizionario dei sinonimi, l'altra per ricercare), infine un pdf che devo leggere. Mi serve tutto per scrivere la tesi. Finestre grandi, piccole, micro. Ognuna incastrata nello schermo per comporre un luminoso mosaico. Scrivi. Scrivi, per Dio! Quante pagine hai scritto oggi? Va male, molto male. Non ce la farai. Continue pressioni, più o meno esterne, affinchè io sia una macchina. Produttiva. Infallibile. Efficiente. Sono esausta. Dire che sono nervosa è dir poco. Già. Ieri giravo attorno al tavolo come un giaguaro in gabbia... Uno strano turbinio di pensieri mi porta a pensare a questo blog e al mio rapporto con la scrittura. Non c'è dubbio: prima di questa università scrivevo di più per me stessa. Ricordo Valvola di sfogo, il mio diario/fumetto adolescenziale. Avventuroso, umoristico, innocente. Ero una pallina gialla, per ragioni di trama. E poi Pensieri, o “le riflessioni di una giovane adulta insicura e ingenua”. Pensieri... un nome talmente poco creativo che ho dimenticato il suo contenuto specifico... Poi il mutismo, anche verso me stessa. Depressione, quanta depressione. Quanto tempo perso. Mi sarei aiutata se fossi stata esterna a me. Ma ero interna a me, purtroppo, coinvolta. E ho fatto il doppio della fatica. C'è chi non ha aiutato, chi ha tirato fuori i pop corn, chi non si è accorto di nulla. Ho imparato tanto da tutto questo, davvero, ma a che prezzo? Ho pagato con la mia voce.

Ora sono qui, almeno monosillabica. Cerco di non portare rancore. Scriverò come una macchina, se proprio devo. Ma non vedo l'ora di non farlo mai più.

#ciclomestruale #femminilità #horror #tabù

Goooooooore! Mh? Buongiorno... Buongiorno, cara. Cerco di aprire gli occhi appiccicati. Che succede lì? Eh? Niente! Perché deve succedere sempre qualcosa?! Stai altri cinque minuti a letto, non vedi quanto sei stanca? Sì, lo sento. Sento anche un leggero freschetto umido, però, là sotto. Passo con la mano sull'asciugamano che la sera prima avevo adagiato sulla superficie del letto. Ripiegato due volte, così da non sporca... Cazh... ho sporcato!! Lui sghignazza soddisfatto: Attenta! Muoviti lehnthamenthe. Non vorrai sporcare altro, no? No! Bradipeggio giù dal letto. Una bomba di sangue, di almeno 3 cm di diametro, esce da me. Si bagnano entrambe le cosce interne. Aspetta! Dammi un attimo!!! Ha una risata malevola e incontenibile. Si diletta, il maledetto. Non devo ascoltarlo, devo affrettarmi! Serro le cosce e analizzo la situazione. I miei occhi sono sbarrati ma non sono molto sicuri che quello che stanno recependo sia la realtà. Vedo che ho sporcato l'asciugamano, e questo lo sapevo. C'è una chiazza bella grande, mamma mia. Ho sporcato anche il materasso? Lui si zittisce e osserva insieme a me, in un attimo misto a suspense e trepidazione. Scoppia a ridere ancora prima che io realizzi l'accaduto: certo che ho sporcato il materasso, accidenti. Il mio compagno dorme ancora, però, cosa faccio? Non posso lavare tutto prima che si secchi e sia ancora più difficile da togl... Tic tac, tic taaac! cantilena. Un'altra bomba di sangue. Non c'è tempo: copro frettolosamente l'indecenza e corro in bagno come meglio posso. Sto ancora stringendo le cosce: quella corsa è goffa, da zombie, ma è anche incredibilmente silenziosa. Mi ci vedrei agguantare alle spalle un adolescente di un film horror, stupidamente sperduto nella notte. Per mangiargli il cervello. Mangerei di tutto, mi sento così debole... Mi siedo sul wc, maledico tutto il creato. Prendo tutto ciò che avevo indosso e lo butto dentro la lavatrice. Ricordo l'asciugamano, le lenzuola e il materasso da lavare e mi innervosisco. Dolore alla pancia. La faccio partire dopo, quando si sveglia. Lavo ogni centimetro del mio corpo. Mi profumo. Mi rilasso. Decisamente meglio, ora. Mentre mi asciugo voglio farci due chiacchiere... Con chi? Con te, brutto parassita di un utero! Senti, non te la prendere con me. So che sorride maliziosamente Anche il più dolce dei cardellini vomita nel becco dei suoi piccoli, sai? Attendo una spiegazione. I piccoli non riescono a digerire il cibo degli esemplari adulti, quindi gli vomitano il cibo in bocca. È bello? No. È gentile? Nossignora. La natura è molto pragmatica... La natura fa schifo. Giudicare, giudicare, giudicare. Bello, brutto: che differenza fa? Ci sei dentro, cara. È necessario che sia così per i piccoli. Mi asciugo. Realizzo di essere anche fortunata: non ho mal di schiena come le altre. Solo dolori alla pancia e... Mi gira la testa. Barcollo, mi reggo al lavandino. Ups! Ahttentah... Sogghigna. Rimango a fissare il vuoto per... un'eternità? Devo andarmene da qui: vitamine, ferro, magnesio, uova. Che altro? Il mondo vortica, il dolore cresce, la fame passa in secondo piano. Mi aggrappo al muro, alla lavatrice, poi, faticosalmente, al tavolo. Mi accartoccio dal dolore. Per i piccoli. Provo disgusto e rabbia, vorrei volassero teste. Una furia omicida che non mi rappresenta. Lui mi osserva. So che freme ma tace per quieto vivere: è pur sempre incastrato dentro di me, volente o nolente. Si diverte a vedermi così, non ho dubbi. Gode soprattutto nel risvegliare in me quei pensieri primordiali. Vita e morte, dolore. Aspetta questi momenti ogni mese. Attende nell'ombra di portarmi all'esasperazione.

  • disclaimer: non parlo con uteri malevoli nella realtà; non rappresento l'esperienza di tutte le donne con questo racconto.

#solitudine #felicità #amore

C'è festa oggi in città. La strada principale, e qualche traversa, è piena di bancarelle, principalmente di cibo. Siamo proprio italiani... Cammino con passo calmo e osservo chi incrocio. Molti anziani e bambini: d'altronde è una mattina feriale, sono io la palla impazzita in questa situazione. Forse dovrei chiamarti, dirti che potremmo passeggiare insieme in centro, nel tardo pomeriggio. Cammino. Calzini. Pancetta. No, troveresti qualche scusa per non passeggiare con me, probabilmente il freddo o la folla. Attenta al bambino! Un signore si scusa, saluta. No, meglio prendermi del tempo per me: da quanto non lo faccio? Riempio i polmoni d'aria, guardo il cielo e continuo per la via principale. Sto così bene qui: in mezzo a un numero modesto di gente, senza parlare, ad osservare... Scamorze. Bigiotteria. Vestiti ammatassati in montagne irrispettose. Sento della musica in quel chiacchiericcio, è nella piazzetta, in una traversa. Un violino!! Cos'è? Andiamo! Vedo un violinista, in effetti, sotto la cattedrale. È un uomo curato, forse va per i quaranta, ha un cappotto involontariamente steampunk e un violino molto consunto. Noto una ragazza che lo ascolta, distantissima ma molto felice. Io mi metto a poca distanza da lui, in una ipotetica prima fila, ma non di fronte... Sono pur sempre una timidona. ...ma neanche in modo tale da essere davanti alla ragazza in disparte. Ascolto. Lui mi nota e ci sorridiamo. Una canzone triste ma intensa, che so che scorderò, ma applaudo con fervore. Lui si inchina, io accenno un inchino applaudendo. Un'altra canzone intensa, molte signore porgono monete. Lui molte volte sorride, altre volte inclina il capo, altre volte è troppo immerso nel suo violino per notarle. Sono l'unica ad essere rimasta per cinque minuti, forse dieci, e non gli ho dato neanche una moneta. A quelle signore non cambiano la vita i due spicci donati a un musicista di strada, a te sì. E poi è bravo: c'è chi gliene darà ancora. Il rintocco della campana dichiara che è mezzogiorno. C'è qualcosa di poetico in quel momento, le campane sembrano voler assistere il violinista e suonare con lui. Resto inebetita di fronte quella scena e a quel pensiero. Dai, su, è ora di andare. L'ultima canzone e andiamo, ok? Lo ringrazio con due parole, ma faccio sì che siano calorose. Ci inchiniamo ancora e, a malincuore, riprendo a camminare. Sono felice, ci voleva. Come vorrei che fossi qui con me... Forse... forse non così tanto. So che non avresti capito questa felicità. Cammino. Aspirapolveri, signore! Osservo tutto divertita. Un violino ricomincia a suonare in lontananza: Alla prossima emozione! Ricordati di restare viva! Sorrido. Cammino senza di te.