silenzio

Solo chi risiede nel silenzio contemplante vede e ascolta l'Essenziale che viene a ogni istante. Gli altri sono travolti da un rullo compressore e non se ne avvedono.

Tornare repentinamente al nucleo silente.

Dal vasto mare del silenzio sorge l'esperienza della compassione. Là dove nulla parla di un agente e tutto è vasto tacere, s'innerva quel moto che sboccia in compassione per ogni creatura, qualunque rapporto essa intrattenga con noi.

Dal più profondo raccoglimento in quel silenzio che sale e pervade, sorge l'esperienza della sacralità di ogni momento, di ogni gesto, di ogni parola.

Il risiedere in quel silenzio conduce progressivamente al misurare la parola e le espressioni. Tutta la vita e la sua manifestazione si interiorizza. Quel nucleo di silenzio contemplante si dilata e pervade ogni aspetto: tutto diviene silenzio, la parola e il gesto acquisiscono naturalmente una misura, un equilibrio, una umiltà.

La connessione con il silenzio contemplante richiede una focalizzazione ripetuta e il più possibile costante nel tempo. Va evitato tutto quello che produce una distrazione e una dispersione delle forze e della consapevolezza. Dedichiamo ogni energia al rimanere focalizzati sulla Sorgente.

Se c'è cura delle persone e delle situazioni, allora il silenzio contemplante è già lì, e sorge alla consapevolezza con un banale moto di connessione nostro. L'assenza di cura è indice di prevalenza di sé e lì non c'è silenzio che possa sorgere.

Non conta nulla ciò in cui siete impegnati, questa è la foglia di fico delle identità. Se esiste l'esperienza che ha portato in superficie, alla consapevolezza di tutti i corpi, quella dimensione d'Essere che permea di silenzio contemplante l'intera esistenza, gli impegni sono distraenti ma non impediscono la vita in questa simultaneità di essere e divenire. È solo questione di tasso di identificazione col divenire: se il focus è sul nucleo interiore, una identificazione parziale non lo smarrirà; se l'identificazione col divenire è molto forte, allora perderemo la consapevolezza della simultaneità.

Il nostro sguardo deve sorgere dalla cella esistenziale e al mondo allargarsi, ma la connessione con la cella non deve essere mai perduta. Come una barca che si allontana dalla banchina, saldamente ancorata all'ormeggio attraverso una robusta gomena. Allora vivremo il ritmo che parte dalla cella e che torna alla cella. Il punto focale è la cella, mai il mondo, il fare, il manifestare: tutto origina dall'Essere, tutto all'Essere torna. Questo ritmo, a lungo frequentato, diviene un automatismo e non richiede volontà.

L'insieme di queste disposizioni crea una focalizzazione sul 'sentire-privo-di-scopo'. Una concentrazione su un punto focale assolutamente gratuito, libero da ogni conseguimento e divenire: solo stare. L'insieme dell'essere risiede in quel punto focale: qualunque cosa accada nella periferia dei corpi quel punto focale è stabile ed emette la sua nota pregna di silenzio-profondità.

Perché uso la dizione 'sentire-privo-di-scopo'? Perché nell'umano tutto assume uno scopo e anche l'allineamento col sentire e il suo ascolto divengono qualcosa da perseguire per evolvere, per essere migliori.

Il 'silenzio contemplante' impone l'azzeramento anche di questa dinamica fisiologica nel divenire, altrimenti l'ascolto diviene di stati più o meno ricercati. Qui si tratta, invece, di azzerare ogni logica evolutiva, il contemplante abbandona ogni processo e lascia che 'sia il silenzio a contemplare'.

Il focus è sul silenzio, non sul contemplante, è il silenzio l'agente.