[due]

Cambiamo registro, mentre ero sottopelle. La cosa di cui non parlo molto è che leggo, leggo moltissimo, rovino le cose che ho. Non do cura alle cosa che ho attorno perché si rovinano, appena le metto in casa. Copertine prestigiose, edizioni brossurate, oggetti hi-tecno. Le copertine si sfaldano il gatto ci vomita dentro gli zaini prendono colpi i vetri si spaccano la plastica si spappola l'umidità attacca le pagine e le strappa i vinili si graffiano le auto fanno le fiancate, la narrativa mi salva, ma non troverete libri carini sul comodino. Li uso per accendere il caminetto per dire. Non mi interessa nemmeno lo stile. Sto lontano. Se uno guarda le mie collezioni di musica trova gli autori che seguo e in mezzo ci sono dei buchi, mancano i capolavori. Cerco di ascoltare solo le mezze produzioni, i tentativi non riusciti. Gli album brutti sono in perpetua rotazione. I capolavori dopo qualche minuto li tolgo e li do via. Mi spaventano. Non ha senso fare un capolavoro, ascoltarlo ti fai solo del male. Ho preso coraggio qualche settimana fa e sto ascoltando Music for 18 musicians di Steve Reich. Lo tolgo. Tutta quella perfezione è spaventosa. Forse per questo ho sempre ascoltato Prince, ininterrottamente da quarant'anni. Non ha mai fatto un capolavoro, forse ne aveva paura anche lui. Infilava sempre in mezzo un frammento sbagliato, una rarità accanto a un elemento pacchiano, una produzione elegante rovinata da un arrangiamento dozzinale. Ma vedi come tutto diventa ridicolo. Di cosa stiamo parlando. Per fortuna insegno e quindi devo leggere molto, per mestiere e poi scrivo, come adesso e quindi ancora leggere. Ho fatto anche l'editore, ho letto famelicamente materiali che erano ancora magmatici, segnavo tutto e li ridavo agli scrittori. Ora ho questo stato di grazia che insegno a ragazzi che della letteratura non gliene frega niente. Periti informatici. Scienze applicate. Passo a masturbarmi le cervella con Dante combo Contini e poi in classe cerco di passare la bellezza pornografica della letteratura e quelli – giustamente – mi mandano affanculo. Devo conquistare ogni singolo lemma, masticarlo e rimasticarlo come una vacca, da uno stomaco a quello successivo, ruminarlo fino a renderlo qualcosa di appetibile no, digeribile. Niente pornografia. Vedete – dico – qua Dante dice che racconterà questo sogno agli altri poeti con una poesia e lo fa davvero. E quelli gli rispondono, ma non nella fiction. Nel mondo reale. Dante scrive che un poeta amico suo gli ha risposto e quell'amico è Cavalcanti. E Dante scrive anche il titolo di questa poesia che Cavalcanti avrebbe scritto rispondendo al suo sonetto. E questa poesia di Cavalcanti esiste davvero. L'ha scritta davvero e nella sua poesia Cavalcanti parla del sogno di Dante, quello che abbiamo appena letto, dico. Ora, dico, io non voglio sempre attualizzare tutto ma, dico e uno studente mi precede e mi dice alla faccia di Whatsapp, dice. Ecco, dico. Continuamente leggo ma non faccio l'elogio del libro, quello della scrittura. Lo stile non mi interessa più di tanto. Quello che mi ha fermato nella programmazione è che più di tanto non riesco ad astrarre. Ci sono limiti oltre ai quali mi fermo. La matematica e la poesia, da questo punto di vista, non cambia molto. Prendi Miller. Henry. Cosa serve essere così perfetti, periodi così oscenamente perfetti. Anche quello l'ho chiuso. La letteratura è un anestetico non una cura, ma a volte bisogna cercare di non farsi male. Non troppo. Prendersi cura di sé, fare una lista dei medicinali. Alla fine, prendersi cura di sé è anche attaccarsi a un libro. Tengo delle liste di letture da fare finché non finisco quello che sto leggendo, a quel punto prendo a leggere qualcosa che non sia in lista. Ci deve essere un elemento random. Come la temperatura nelle intelligenze artificiali. Ci deve essere uno scarto come trovare o non trovare la preda. Poi qualcosa invece lo leggo. Ma i libri sono una frazione della mia dieta culturale. Briciole. Leggo articoli, estratti, post, leggo messaggi chat lunghissime, ascolto vocali musiche notizie dei radiogiornali suoni che il mondo fa, la mia calderina ora il frigorifero, l'elettricità statica, ascolto relazioni pubbliche, quattro lì seduti davanti al pubblico che ammiccano e io sono dentro di loro e penso cosa pensano quando sentono gli altri parlare, ci sono anche io, penso ogni tanto davanti al pubblico che mi guarda – ma perché siete qua – cosa siete venuti a sentire – guardo immagini- videoriprese montaggi, piani sequenza scorsoi tocchi del demonio, ambienti interattivi & vg, tutta questa intelligenza che cerco di scansare, tutta questa ininterrotta produzione di intelligenza e di creatività e di genialità a cui cerco di sopravvivere perché è come un blob alieno impazzito che entra da ogni foro che ho nel corpo, come la creatina mi si infila nei pori della pelle nelle orecchie negli occhi soffoca gli spiritelli, tutta l'intelligenza e la creatività che l'umanità disperatamente, disperatamente ma con il lusso forbito della cultura, continua a fare uscire infilandosi le due leggendarie dita in gola per essere sicura che il calore a cui la conservano dentro, sbocchi fuori e ci avvolga tutti come una copertina affettuosa e rassicurante.