sottocutaneo

[undici]

vedi, avrei sbagliato. avrei scelto il Basquiat minore. la sua gioventù ci abbaglia. avrei perso milioni di dollari inutilmente. mio figlio parla con la gatta. la sgrida sottovoce. sudo da fermo seduto al tavolo. già descritto. ho un occhio iniettato di sangue. capillari. forse. forse pressione. nei fumetti ci sono meno briciole e polvere che nel mondo reale. il sinistro. non sento i limiti del mio corpo. come dei cavi tesi, del materiale strutturale. andiamo avanti così – nella tradizione. similitudini. personaggi. proprio non ne riesci fare a meno eh. dialoghi, certo. flussi di coscienza. mi sono sporcato di latte. di soia. sul dito sembrava dolce. così non te ne frega niente. errore comune. non è mai fregato niente a nessuno. eppure si continua. quando vuoi il secondo caffè fai un fischio. così la mia anima si nutriva – non di parole – ma di suoni e immagini in movimento – il mio – che partito dal cuore del niente, nel buio più denso che sta a settentrione, a passi rapidi e nervosi ero sceso lentamente – sciogliendo metro dopo metro la zona annichilita – anchilosata – dell'immaginario delle ultime facciamo ventiquattro ore, ma potrebbero tranquillamente essere il doppio – si scioglieva man mano che apparivano i colori delle luci elettriche, i suoni umani le voci che si disarticolavano le une nelle altre – la rapida apparizione delle tribù umane quanto il sottoscritto – quindi intrinsecamente umane – quindi violentemente animali – aumentavano di numero e di varietà sociale man mano che lasciavo la noce nera del nucleo suburbano e mi avvicinavo al centro – il popoloso affastellamento di unità abitative – c'è un numero preciso che ora non ricordo – superato il quale – eccetera- mappe catastali sovrapposte come un labirinto minotaurico, voi non avete idea di quanto io apprezzi tanto il brutalismo architettonico delle piramidi in cemento e acciaio in forma di altissimi parallelepipedi infilati a forza nel fango e tenuti uniti alla civiltà da fragili colonnati che reggono possenti ponti e camminatoi che sul vuoto permettono allo sciame di accedere alla propria tana – i relitti dell'edilizia abitativa popolare del secolo scorso – pronti per la cronaca nera locale – quanto il centro in questo suo respiro concreto di terra e pietre e mattoni attaccate ogni volta che espira emette materia – stratifica giardini, muri perimetrali, divisioni di particelle, accastamenti improvvisi e sanatorie improvvide – inspira – espira ancora strati di cementificazione ricostruzione riqualificazione e accesso al degrado sfondamento abbandono delle istituzioni che – la meraviglia dell'umanità fatta cosa – casa- luci colorate ombre di visitatori – turisti che corrono sbalorditi verso il maelstrom dell'intrattenimento sociale – fondi e bassi – zone interdette – una popolazione di questo campionario – avevo scritto database ma ho cancellato – questo campionario di materie e lingue e frammenti di storie in cui mi lascio annegare e osservo come se io fossi un elemento estraneo e interno al tempo stesso, immateriale e concreto – no non ho soldi mi spiace non ho niente – che transita e si beve tutto l'armamentario di pieni e di vuoti – una intera promenade fatta camminando verso un auto lontana con le luci accese sparate addosso a me che mi avvicino e penso – fino a a raggiungerla chiudo gli occhi per un attimo li riapro a vedere l'interno dell'abitacolo – adesso alla mia sinistra – motore acceso luci puntate sulla promenade – la guardia giurata con lo sguardo sbarrato il regime del motore al minimo – ora parte – ho pensato – e inizia a colpire le ombre nere che appaiono in distanza – aumentano di dimensione fino a formare una sostanza che sembra umana di cui puoi provare a immaginare la forma – la storia – gli anni passati su questa terra – il logoramento degli arti dopo così tanto sforzo, così tanto lavoro costante, così tanta energia per essere qua a persistere – così tanta energia per essere qua a persistere dando le spalle a quell'immensa ombra che si stende come una coperta oceanica a nascondere le vergogne della crosta terrestre, le cartillagini respiranti degli abissi – non senti lo strappo di quando la narrazione si spezza così, all'improvviso, perché ha finito tutta la sua ragione elastica

[dodici]

dovrei un po' staccarmi da queste cose, dodici potrebbe essere il numero perfetto, fare i miei otto pezzi di broccato, passare a quelli, così simili, così diversi, rendersi conto della dimostrazione dei teoremi, prendersi il tempo per pulire le cose con attenzione, per oliarle una a una, nettare tutto, l'uomo prima nomina le cose, poi le lecca, infine le copre con cera protettiva, solcando con il coltello sotto la pelle per fare spazio per piccoli oggetti, il corpo è una sacca, la comunicazione la selezione di un vocabolario base, non ho così tanta voglia di fare, è arrivato il momento in cui fermarsi, prendersi del tempo per non fare niente, un vocabolario base con cui la gente si capisce, con cui si addomestica, con cui si rende comprensibile, iniziando a mentire si rende comprensibile di qualcosa che non è, ricominciamo, una sacrosanta volta emozionale che trasuda dalla periferia dell'immaginario, ecco, siamo piccole cose, io sono una piccola cosa eppure questa piccola cosa che sono è l'ambiente all'interno del quale vivo, vedo attraverso questa piccola cosa, mangio nei fori di questa piccola cosa, soffro e godo con le arterie e le estremità di questa piccola cosa, tutto il mondo creato è allestito nell'ambiente di questa piccola cosa, per quel che ne sappia io, non c'è niente fuori questa piccola cosa – un po' come quando discutevo su cosa ci fosse fuori dall'universo e lui si incazzava e diceva, niente fuori dall'universo, per quanto ne sai dicevo io, niente fuori dall'universo, benissimo dico io, allora anche niente fuori dalla piccola cosa che sono, anche lui è dentro la mia piccola cosa, anche tu sei dentro la mia piccola cosa, tutto è dentro questo ambiente, lo capisco bene seduto sul divano mentre vedo quello che tengo in mano, sulle gambe, tra le dita, giro la testa per guardare la porta, il vano del salotto, la testa azzurra di una ragazza, è tutto lì dentro, qua dentro, all'interno del mio ambiente, cosa c'è oltre l'universo? ma tutti gli altri universi, tutti gli altri ambienti delle altre piccole cose che resteranno per sempre aliene le une alle altre, puoi infilare la lingua sottocutanea alla lingua del tuo fratello, della gemellanza umana, ma quello resterà dalla sua parte dell'ambiente, inchiavardato dentro la sua piccola cosa, e tu dall'altra parte, nel tuo ambiente, tutto dentro la tua piccola cosa, per sempre alieni gli uni agli altri, per questo alla morte tutto viene smembrato e fatto a pezzi, un vocabolario base, vedi, per allestire questo canale di comunicazione, per superare il disturbo, è una cosa di un attimo, questo stupido grosso clitoride che eiacula pozze di linguaggio animale inintellegibile che è lì incastrato dentro da sempre, tra la veglia e il sonno, anche lui comunica, hyke!