[quattro]
In centro evito la polizia, ci sono camioncine posteggiate in mezzo alla strada – attorno una città vuota – una pioggia svuotata fatta di lacrime scavate, agglomerati di gocce spente che cadono sull'asfalto grigio sul cemento grigio sulle colonne del viadotto grigio, anche il greto del fiume è grigio oggi, anche l'acqua che scorre è grigia – solo io ho un frammento di luce che mi esce dal corpo, un raggio come quello dell'annunciazione che illumina piccole porzioni di materia davanti a me, e questa luce interna è la mia sventatezza e la mia vergogna, comunque, l'importante è tenere dentro di sé le cose, schiacciarle sul fondo per poi vederle emergere per conto loro senza la tua partecipazione attiva, chiedo poi al supermercato – nel momento della cassa – ma perché c'è la polizia, perché le strade bloccate – una voce dice che è una manifestazione degli operatori ecologici, dice, hanno anche, dice, sigillato i bidoni della spazzatura no, no, dice una seconda voce, è per le foibe, guarda il carrello davanti a sé, è per le foibe – ripete – questo supermercato oggi è pieno di vecchi occidentali, la domenica si radunano al supermercato i vecchi occidentali mentre tutto attorno a noi crolla – l'occidente, il suo potere, l'ombra lunga degli statunitesi e del loro odore intenso nel momento dell'abbraccio, anche quello crolla con un conato a rovescio, verso l'interno a proteggere il loro fragile sistema di privilegi – cosa non è fragile rispetto al tempo e ai mercati azionari – tutto prima o poi muta, inizialmente in maniera impercettibile e poi ti rendi conto che quella cosa impercettibile era anche irrimediabile, come una lacerazione, per quanto sia infinitesimale la natura dello strappo, alla fine quella sensazione che prova il vuoto è il precipitare dello spazio in due elementi separati e divergenti, così noi dentro le fauci, le luci e i faretti disperati dell'Esselunga o del Carefour o della Coop o della Conad, dell'Ekom, dell'IN's, siamo qua a sentire il frastuono lontano dell'occidente che frana, a invecchiare mentre nuove tribu e nuove idee emergono fameliche e divoreranno tutto sulla lunga distanza, divoreranno i nostri dei, le nostre pietanze, divoreranno gli appunti che abbiamo preso sull'illuminismo, divoreranno i diritti umani e gli orientamenti sessuali, e mentre sentiamo questo collasso scendiamo in piazza per le foibe, passiamo la nostra tessera sconto, raccogliamo i nostri punti risparmio, piombiamo i tombini, sigilliamo i bidoni della spazzatura per tenere in sicurezza i residui del capitalismo, le carte, le plastiche, lo sporco di cibo attaccato al tetrapack, alle latte di conserva, alle aperture facilitate, i sacchetti fiacchi di estrusi del mais, fingiamo ancora di essere come me – bestie sottocutanee – acari sociali che scavano il loro tunnel nella sottotraccia della storia e ci vivono dentro masticando e vomitando dal retro, aspettando la fine e pensando che sarà l'ultima cosa a cui dovremo pensare e intanto studio il reticolo del mondo, le strade che posso percorrere per tornare a casa evitando i posti di blocco delle sacre festività.