[uno]
Esco con grinta, vivo come uno spillo sottopelle, era così che mi piaceva usarli al di sotto di una certa età, cosa ero? un bambino forse ragazzino, mi infilavo gli spilli sotto la pelle, sterili cunei bianchi e con gli occhi del mio stesso corpo mi osservavo compiere le mutazioni – sbuco ora sulla soglia dei cinquantacinque come la punta di uno spillo che è stato sottopelle per tutto questo tempo e con la parte finale guarda sgomenta il mondo, per quel che vede, grosso calo di diottrie nel frattempo, e scopre che fuori pelle c'era un friabile strato atmosferico e sopra quello l'universo e tanto che stava sotto nessuno ha capito bene dove finisce, solo l'auto lontana di un imprenditore va nello spazio come la parodia del progresso, le sacche seminali rese capitale e monoformate in una piccola atomica cavallo su cui – l'immagine cinematografica è chiara – un cowboy texano dà colpi con il cappello alla carcassa e intanto l'altro, l'intellettuale, gira e dà anche lui il suo ciak, la barbetta, andiamo avanti, cinquantacinque passate a non vedere – guardando la mia tastiera posso capire quali lettere uso più delle altre, alcune sono più consumate, so che dito uso per fare gli spazi, il destro, il pollice destro, so che mia figlia mi ama di quell'amore effervescente che prima o poi si dissiperà in altro e mi ama per motivi animali, so che uno dei miei figli mi guarda e prova la mia consistenza – si stupisce che io esista – e l'altro figlio sta per uscire del tutto dal liquido amniotico che è stata la nostra famiglia, butta fuori le gambe, gli escono dalla bocca vagiti universitari e le prime lallazioni reddituali – erano già tutti adulti dall'inizio – bastava lasciargli il tempo, stasera sono andato con mia figlia in alto sopra al Biscione, lei mi ha chiesto dove andiamo e io le ho detto a vedere le nuvole sopra la città – ci siamo trovati al buio a guardare la città sotto di noi, un freddo – l'inconsistenza della materia tra noi e il cielo e lei – mia figlia – aveva uno sguardo elettrico – le ho chiesto se voleva tornare a casa – cosa? – mi ha detto lei, dico, se vuoi tornare a casa – nel vento gelido – lei ha detto no con la testa – sorrideva – si toglieva i capelli dalla faccia – si è poi mossa verso un sentiero che andava nel niente – basta uscire dall'inquinamento luminoso e fare qualche passo in un sentiero senza illuminaizione per sentire l'odore animale della nostra preistoria – hai visto? mi ha detto indicando qualcosa lontano, una macchia – no, ho risposto – Craxi ho pensato, ho vissuto lo stesso tempo di Craxi di Cuore di Andreotti, ho vissuto con Forlani, mai visto uno, con Occhetto con Natta, Capanna, mai incontrati, Linus leggevo mi lasciavo andare – fingevo che avrei avuto tutto il tempo per vedere prima o poi tutte le cose come stavano – che non fosse importante farlo – che avrei avuto tutto il tempo – ora so che non riuscirei a maneggiare la verità – ora sono sicuro che – anche se cominciassi oggi – non riuscirei a maneggiare la verità – avrò preso le mie pastiglie? aumentare la melanina – cercare di non avere brividi – scogiurare le cadute (ero in Francia martedì – sono caduto – mi sono salvato – ho detto – nel fango le mani, i polsi – ho usato la neve per pulirle mentre colava tutta la terra sulle maniche della camicia – finché la pelle non è diventata rossa e non mi sentivo più niente dal dolore) non capirò mai più il mondo ma un cruciverba semplificato – la o, la i la u la t la r la e la a la s la d la c la n la m forse queste le più consumate, la q la z e la y quasi intonse, la w e la x anche, che spreco, la f anche lei poca roba, potrei comunicare con una forma ridotta dei lettere come i font a cui strappano via le lettere non utilizzare per evitare furti alla fonderia – furti, furti, alla fonderia, oggi ero in classe, ultima ora dell'ultimo giorno della settimana e rileggo ancora le prime righe della Vita Nova, il libro della memoria nel punto in cui c'è l'incipit della vita nova, dove prima non c'è niente, il primo ricordo è quel giorno in cui appare lei, la bambina di nove anni che ci ha rapito il cuore, prima di quello è materia informe della memoria, un magma indistinto che siamo noi e di cui non c'è rimasto nulla, pensate – dico – cercate la prima cosa che vi ricordate della vostra vita, la cosa più lontana da oggi, l'inizio di quella trascrizione della vostra memoria dati di quello che siete, il primo momento in cui avete cominciato a memorizzare e scrivetelo, sul quaderno, ora, iniziate la vostra vita nova, dico e poi giro – ma tipo – chiede uno – cosa intende per prima cosa – allora io gli racconto la mia —> ci sono io in un box per bambini, sono nella stanza dove c'è il letto di mia nonna, avrò uno o due anni sono in questo box e mi sono abbassato i pantaloni, ho le mani piene di questa sostanza che sono stato io, le dita piene di merda – dico – e me le porto alla bocca e continuo e assaggio la mia merda finché non vedo una luce, una porta che si apre e sono i miei genitori che mi vedono e dicono cose che non capisco tranne “ecce merda filie mee” – questo il mio inizio e vedo la fine con i pannoloni per adulti, le piccole perdite urinarie, finirò così con gli esami per la prostata in mano senza avere capito il mondo, senza avere assassinato nella culla l'imprenditore Berlusconi, Sbirulino, il gruppo di incartatori del cofanetto Sperlari, finirò così come una cosa che esce dal budello dopo una lunga inesorabile digestione.