Transit

Il blog di Alessandra Corubolo e Daniele Mattioli (on-line, in varie forme, dal 2005.)

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(Scurati)

Il testo cassato dalla #RAI (o tornerà a chiamarsi “Eiar”?) a #AntonioScurati. Il nostro dovere, civico, morale, intellettuale è quello di continuare a dirci antifascisti in un paese che non vuole seppellire in maniera definitiva un regime miserabile. Contro la destra che vuole un paese muto e asservito. Viva il #25Aprile, festa della liberazione.

“Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924. Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro. Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania. In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944. Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati. Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via. Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023). Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola, Antifascismo, non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana.”

#Italia #FestaDellaLiberazione #Antifascismo

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(153)

(ODR)

Saltando di slancio ogni considerazione teologica, quasi un miliardo di euro per insegnare #religione nelle disastrate, cadenti scuole italiane è l'esemplificazione dell'asservimento di uno Stato. Nettamente. Più di un milione di studenti ha scelto altro, e, per correttezza, va detto che in quegli 859 milioni ci sono anche quelli destinati a loro. Però, se fossero tutti per altro, sarebbe meglio.

Quest'anno, inoltre, ci sarà il concorso per assumere i nuovi docenti della materia. Mentre migliaia di persone -nuovi insegnanti-, che regolarmente hanno passato altri concorsi, tra cui uno nel 2020, si vedono scavalcare da quelli che ci sono riusciti nel 2023, si va avanti: i “Patti Lateranensi” non sono mai stati così vivaci. Niente di meno da #Valditara, un ministro che si sta dimostrando, se fosse possibile, peggio di pochi altri nel suo incarico.

Però, almeno, le nostre radici cristiane vengono salvaguardate, Dobbiamo gioire. Quando la materia più importante sarebbe l'educazione civica, così carente a qualsiasi livello (ad iniziare dalla politica), ci si balocca con favole e moltiplicazioni senza calcolatrice. Mi chiedo, quindi, una cosa. Ma le nostre non sono anche radici che affondano nella storia Romana? Ed allora, perdio, si reintroduca il latino. Così nelle “bio”, sui social, si scriveranno meno cazzate. Sarebbero soldi spesi bene, altrochè. (D.)

#Italia #Scuosla #Istruzione #Opinioni #Laicità

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(152)

(Suviana)

Proviamo a scegliere un registro. Immacolato, oppure già usato, con la possibilità di metterci tutto quello che vogliamo. Immaginiamo di scrivere qualcosa su #Suviana e sulle #mortisullavoro.

Registro del dolore. Difficile da maneggiare. Solo chi deve provare certe cose, certe assenze, certi vuoti può scrivere. Solo chi sa, può usarlo.

Registro dell'empatia. Più accessibile, più semplice. Forse le parole più che la penna, però.

Registro della retorica. Ce ne sono tanti, in giro. Quello dei giornali, quello delle televisioni, quello della politica, quello a buon prezzo. Scontato. Cioè costa poco e vale poco.

Registro sindacale. Bisogna ordinarlo, perchè ce ne sono tanti, ma mai disponibili al momento. Sempre un attimo dopo a quando servirebbero.

Registro delle indignazioni. In Italia se ne fanno, ma venduti quasi per niente. Messi in ombra da quelli artigianali: tutti se ne fanno uno.

Registro degli stupori. E', di solito, venduto insieme ad un pero (albero del), da cui cascano quelli che ci salgono. Ogni volta che accadono certe cose.

Registro delle banalità. Viene fornito con mille pagine già scritte. Quelle da scrivere ammettono anche errori ortografici.

Registro economico. Piuttosto corposo. Contiene cifre molto basse (lavoratori) nella parte sinistra, molto alte (“imprenditori”) nella parte destra. Si usa carta ruvida, perchè sia fastidioso.

Registro delle stupidaggini. Viene fornito insieme al quaderno delle cretinate. Lo passano le mutue.

Registro degli scioperi. “Sì, ma io ho da fare.” “Non posso, Chi mi sostituisce?” “E' uno strumento spuntato.” Utile per le scuse. Degli altri.

(Suviana2)

Registro dei nomi e dei numeri. L' unico che viene sicuramente usato, anche se inutilmente. In media ci si possono scrivere, ogni giorno, tre nomi e tre numeri, per ogni giorno dell'anno. Anche la Domenica, che i lavoratori dovrebbero riposare (direttiva che arriva da molto in alto.) Aggiornato con solerzia e con altrettanta rapidità nascosto, specialmente a chi dovrebbe guardarlo. Non è consigliato farsene trovare addosso: c'è il reale rischio di passare per disfattisti.

#Italia #Lavoro #Opinioni

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(151)

(News)

Nel suo film “La giusta distanza” (del 2007, che sembra un secolo fa), Carlo Mazzacurati narra la vicenda di un giovane, apprendista giornalista, che non riesce, in merito ad un fatto di cronaca, a mantenere la “giusta distanza” dai fatti, come gli ha suggerito il suo mentore. Ovvero non riesce ad approfondire abbastanza quel che accade per averne una visione imparziale, il più possibile corretta e scevra da opinioni ed idee personali: quello che, nella teoria, ogni giornalista dovrebbe tendere a fare nel suo mestiere.

Da parte di molte testate giornalistiche e di TG d'ogni canale è un muoversi nelle direzioni più disparate: dapprima per rimanere “sul pezzo” e, passata la fase di “picco” della notizia, per estendere all'infinito una serie di tematiche, perlopiù allarmistiche e con un alto tasso di sensazionalismo, fino a coprire intere giornate di trasmissione.

E' anche un po' il limite, per esempio, dei canali “All News”, dove per ventiquattro ore al giorno si trasmette ogni sorta di dettaglio, di accadimento, di vocio per coprire la giornata intera. Reiterando all'infinito le stesse cose (non può accadere qualcosa di clamoroso ogni ora), si finisce con il “caricare” la notizia fino allo spasimo, spesso inserendo note di colore che rendono la narrazione volutamente altisonante, pervasiva, angosciante. Una estremizzazione indotta per mantenere lo spettatore attento e soprattutto sintonizzato.

Chiaramente è una maniera d'operare per nulla corretta e, per quanto giornalisti ed opinionisti lo neghino, appare abbastanza chiaro che è un mare in cui a loro piace nuotare. Possiamo comprendere che sia più semplice fare così che mantenere quella distanza di cui sopra: si rischia, magari, la noia o una maniera troppo blanda di porgere le notizie e molte persone amano, inconsciamente o meno, il clamore e la chiacchiera, a discapito di coloro che, invece, vorrebbero leggere o sentire semplicemente ciò che è successo, senza fronzoli.

(News2)

D'altro canto ognuno può essere un amplificatore dei fatti: basta un account su “Facebook” o su “X” dove riprendere e commentare ogni cosa venga detta, magari distorcendo ulteriormente le cose, caricandole con opinioni personali (cui si ha diritto) e facendo rimbalzare tutto ovunque. Una sorta di cerchio infinito in cui la sconfitta è l'informazione di qualità, quella cui dovrebbero sempre ambire tutti. Sarebbe un freno per un mondo già pieno di input, dove siamo “bombardati” senza sosta, senza tregua di cose da seguire.

Un corto circuito permanente d'attenzione e di sovraccarico mediatico. E come ogni cosa portata all'eccesso, è un danno cui, temo, non si possa più porre rimedio, se non con la volontà personale di distaccarsi da questa narrazione sbilanciata, reinserendo nel proprio modo di informarsi una quanto mai necessaria dose di distacco e di ragionamento. Cose difficili da fare, ma non impossibili.

#Informazione #SocialMedia #Giornalismo #News #Italia

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(150)

(1)

Qualche giorno fa, se stavate su “X”, qualcuno avrà saputo di che umore eravate. No, non i vostri “follower”; meglio, non solo. All' “UVM” nel Vermont è stato, già da tempo, messo a punto e migliorato un sistema di indagine denominato “Edonometro”. Detta in soldoni un modello virtuale che analizza l'umore che facciamo trasparire quando inviamo ai nostri amici, o al mondo intero (se vogliamo), un post. Non importa l'argomento o se sia una risposta ad un un altro “cinguettio”: l'edonometro analizza giornalmente cinquanta milioni di tweet e traccia una mappa dei sentimenti espressi sui #SocialMedia. Quindi, almeno in parte, dell'umore di una massa imponente di persone.

L'utilizzo attivo di tale mezzo è ancora abbastanza lontano. Le variabili linguistiche e la difficoltà di un apparato meccanico nell'interpretare le sfumature letterali rendono l'edonometro uno strumento in evoluzione permanente, ma già abbastanza efficace per poter valutare parecchie situazioni generalizzate: sappiamo, quindi, se le cose sono viste con, per esempio, prudenza, o panico, o se, più semplicemente, la gente è arrabbiata e delusa. Appare chiaro come un tale sistema possa, nel futuro (anche se in parte lo sta già facendo) essere assai utile per uno screening psicologico ad uso della sanità pubblica o, più prosaicamente, per indirizzare messaggi pubblicitari sempre più mirati.

(2)

Ma al di là di tali considerazioni ciò che potrebbe farci riflettere sull'immediato è il cambiamento del “mezzo” #Internet, della rete. Se l'affermazione “Il mezzo è neutro: è l'uso che ne fai che lo rende più o meno utile, più o meno pericoloso, più o meno efficace” l'abbiamo recepita, adesso la possiamo ribaltare. Noi siamo il mezzo. L'utente è il mezzo. Chi fa un post non usa solo i Social media: lui è la piattaforma cui guardare. Il suo umore, le parole che usa, l'atteggiamento che ha nei confronti degli altri sono il mezzo. E' un'evoluzione in senso personalistico di internet: è divenuto la rete “delle cose” e chi lo fa girare, chi lo influenza è il singolo, staccato dal resto.

Ciò che potrà divenire questa nuova concezione della rete lo stiamo già scoprendo. Sarebbe utile arrivare ad una consapevolezza piuttosto profonda, intanto, di come noi tutti siamo stati cambiati da questa evoluzione della comunicazione. Renderci conto che si vuole che i nostri sentimenti siano valutabili, spendibili; che ciò che proviamo e che esprimiamo vada al di là della nostra opinione personale e che io, proprio io, sono una rotella dell'ingranaggio. Ci stiamo dentro, non siamo più fuori pensando che le conseguenze si limitino alla “perdita” di follower o di pochi like ai nostri post.

Oltre la gratificazione personale, ci giochiamo perfino l'umore: se stare su “X” o Facebook ci crea ansia e depressione, anche questo disagio ha un suo scopo. E non lo decidiamo. Noi, ingenuamente, continuiamo regalare anima e mente a coloro che vogliono creare persone modellate su un sistema che mira al profitto: potete pensare, se volete, ai bozzoli di “Matrix”, creati per dare linfa vitale al mondo che tutti credono reale. Invece è fittizio, come lo è la notorietà che ognuno di noi pensa o vuole avere. Quasi a tutti costi.

Quindi un mezzo che ingabbia, quasi senza via d'uscita. E tutti, tutti sanno che la porta che conduce al vero cambiamento non è quella di un PC, ma della vita: occorre definirla “reale”? A quanto pare sì. Ed è quella in cui le idee, i confronti, gli scontri, le chiacchiere, lo stato umorale di altri e tutto ciò che ogni giorno incessantemente vogliamo far sapere (ed è un bene, spesso, sia chiaro) devono tradursi in atti, in fatti. Azioni che migliorino noi stessi e la società, prima che tutto si confonda irrimediabilmente. Là fuori.

Piccola nota personale. Centocinquanta post, se non si scrive per mestiere, possono essere tanti. In effetti l'impegno è discontinuo, ma anche bello. Proprio perchè non obbligato. Grazie soprattutto alla mia amatissima moglie Alessandra, per la pazienza e per avermi fatto capire, a forza di dai, la profonda vacuità di tutto questo, che era e resta un esercizio personale per non addormentarsi.

Le foto sono di Lasse Hoile.

#Rete #Opinioni #Post #Blog

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(149)

(Acerbi)

A me appare stranissimo che nel 2024 si parli ancora di calcio. Figuriamoci di #razzismo. Si sa, però, che toccare il fondo non ha mai fermato moltissime persone. Non sapevo chi fosse #Acerbi e ben che meno mi importa. In questi giorni, nonostante tutto, questa paradossale e -diciamolo- noiosa vicenda ha accalappiato il mainstream e, perciò, tutti quanti, che siamo colpevoli di mancanza di umiltà.

Ci sono, evidentemente, persone che credono di non fare parte del mondo: in qualche maniera, nota solo a loro, credono di vivere in bolle impermeabili a qualsiasi spiffero che provenga da quel pianeta scassapalle che sta all'esterno. Lo steso che cerca, non riuscendoci mai appieno, a progredire. Meglio, quel sasso volante che collasserà per la stupidità di chi lo abita, compresi questi che si sentono esenti da qualsiasi obbligo, morale e mentale.

Buttiamo da un'altra parte la cultura, è troppo svilente chiamarla in causa. E' evidentemente un guaio che deriva dal non capire che stare fermi è morire. Acerbi è uno che va aiutato a afferrare una complessità fastidiosa: quella del mutare dei tempi, della società, del linguaggio, del (sic) pensiero. Con lui i milioni che hanno lo stesso comportamento. Frega assai di dieci, trenta, cinquanta giornate di squalifica.

(Razzismo)

Il cervello si può educare, una questione di volontà. Come quella di andare oltre agli stereotipi, che sono più facili e che non impegnano nessun organo vitale. Se uno non vuole crescere, non lo farà. Può avere miliardi in quella cazzo di cassaforte, ma resta un poveretto. Anzi, un miserabile. Qui non siamo né giudici né carnefici: qui stiamo alla umana conoscenza.

Pertanto, se non vogliamo più perdere tempo con queste banali questioni, che ci sono guerre, fame, carestie ed altre quisquilie più urgenti, bisogna incominciare ad essere duri. Con se stessi e con chi si comporta -e non ragiona- da pesce. Ché anche il mare può essere affollato ed è fastidioso, fastidioso, fastidioso. (D.)

#Italia #Opinioni #World #Society

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(148)

(FA)

Diritto. Non obbligo. Su questa cosa molte brave persone ci marciano, in Italia. Dalla Francia siamo abituati a prendere poco, con quel revanscismo di vecchia memoria, un pochino liso e folcloristico. Ciò che è stato deciso, ovvero l'inserimento nella #Costituzione del diritto delle donne ad abortire, non dovrebbe nemmeno stupire, come fa, invece.

Anche i paragoni stonano e continuare a proporne non sposta l'obiettivo, che è uno solo. Quello di una carta costituzionale che si può aggiornare sui diritti e sulla laicità dello Stato. Quindi, non per meri scopi elettorali o di favore politico a qualcheduno (qui, sì, sentiamoci parte in causa), ma per aderire ad un mondo che si evolve e con lui le persone che lo popolano.

Chi ha il dovere di opporsi, lo farà. A certi livelli le implicazioni filosofiche e morali si spargono come coriandoli e, spesso, non si spazza per raccoglierli e gettarli. D'altro canto, se voglio cambiare le gomme dell'auto non vado dal pizzicagnolo. In molti casi la convinzione cieca (sorda, muta) è l'appiglio di coloro che hanno paura.

(FA)

Guardare bene, in fondo, presuppone un certo impegno, che verso le donne si stenta ancora moltissimo ad avere. Questa mossa dovrebbe perlomeno far riflettere, tornando al nostro orto. Un paese immobile, che preferisce voltarsi indietro e sospirare per la perduta grandezza, è sconfitto. Non lo dico io, che non conto un'ostia, ma la storia.

E' anche più comodo, certo. La maggioranza delle persone, a queste cose, evita di pensare, credendo che siano secondarie. Guerre, genocidi, fame, bollette, la “Serie A” sono argomenti così densi che quello del diritto delle donne a decidere del proprio corpo, della propria gravidanza è cosa secondaria, da demandare a qualche trafiletto di sinistra, ca va sans dire.

La crescita di una nazione è un coacervo praticamente inestricabile di azioni, di scelte: come nella vita di ogni singola persona. Ma se si vuole il bene della comunità, diventa tutto più chiaro: prima io e le mie convinzioni, poi gli altri. Anche per questo stiamo ancora qui a combattere con il patriarcato e l'ignoranza, con la violenza psicologica, con l'indottrinamento oscurantista di certe figure meschine. Io sarei stufo. Tanto. Mi piacerebbe che ci fossero politici con gli attributi per farmi respirare. Anzi per *farci respirare. Tuttə. (D.)

#Francia #Aborto #Costituzione #Opinioni

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(147)

(Fine corsa)

Me lo ricordo bene quel periodo in cui già iniziavi a pensare che #Twitter e #Facebook fossero un po' uno schifo, ma la gente ti rispondeva che stavano tutti lì. Quindi. E basta. Quindi. Poi la cosa si è trascinata, come una rete bucata dal granchio blu: inutile, fa scappare qualsiasi cosa che, poi, viene mangiata dal predatore. Quindi -appunto- è passato tutto in cavalleria, per usare un'espressione dei miei tempi.

C'è la pancia. Quella che ti fa scrivere cento post al giorno perchè i tuoi neuroni si nutrono di apprezzamenti. La via più semplice è scrivere contro il Governo (che se lo merita), a favore delle popolazioni mondiali massacrate da chiunque, dei #Vip che mangiano i tuoi like a colazione e li sputano pure. Sei contento così, tra i cento e i mille cuoricini.

C'è l'incazzatura e quella, i neuroni, li fa morire. Però è liberatoria, fa fare carriera tra i compulsivi dei like, fa avanzare in graduatoria tra quelli che le medaglie le hanno perchè le regole inconsistenti, ridicole ed offensive dei #SocialMedia li bloccano. Così poi tornano ancora più livorosi, ma si sentono un Achille sulla spiaggia di Troia.

(FC2)

C'è la testa, che si cerca di usare, magari associandola ad un italiano corretto (in linea di massima), la cosiddetta profondità che bisogna far stare in pochi caratteri, però. Non ci si può permettere, a nessun stadio, di annoiare alcuno. La soglia di attenzione è quella di un sasso di fiume, ma lanciato a caso da un ponte. Fa un bel rumore, quando atterra.

C'è chi è bravo, e c'è sempre stato. C'è chi ci prova e farebbe meglio a coltivare zucchine. C'è chi non c'è ed è pure meglio, che a fare massa sono miliardi (il guaio è che le tastiere, a forza di “dai”, le conosciamo bene) e miliardi di troppo. E' la rete, bruttezza. Fare il giro e ritrovarsi con una mano davanti e l'altra dietro è costante.

Tutto questo a dire che la via d'uscita è indicata a colori variabili, ma tanti sono daltonici. Il libero arbitrio esiste, ma ci muoviamo a scatti come la Bella di “Poor Things”, circondati da creature fantasiose, perlopiù con la testa di cazzo e le mani libere -purtroppo-. Adattarsi o crepare, ma sarebbe troppo tranchant: meglio illudersi che la prossima fermata è un pollice in più. Dove volete voi.

Il fine corsa non c'è mai. Tanto ci siamo venduti anni fa, quando ci sentivamo rispondere “Quindi? Ci sono tutti.” come se fosse merito, come se dire al mondo “Eccomi” non avesse monetizzato ogni singola parola, ache e soprattutto quelle che non sappiamo. Molto semplice. (D.)

#SocialMedia #Internet #Opinioni #Blog

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(146)

“Anatomie d'une chute”, Francia, 2023.

(ADC)

Un premio come l’#Oscar ti apre moltissime strade. Piaccia o meno, è così. Per i film non americani vale di più. Anche questo è un argomento relativo. Personalmente, una delle difficoltà più evidenti e non poter vedere tutti i film inseriti nella competizione: intendo tutti, che sarebbe perfetto. I motivi li potete immaginare.

La passione arriva fino ad un certo punto e quel limite è, spesso, imposto. La cosa importante è, comunque, continuare ad amare il cinema. Lo slancio, a volte, ti porta davvero a guardare pellicole di una qualità ormai rara. Prendete “Anatomia di una caduta”, candidato al suddetto premio.

Sono sempre più convinto che quando ti “innamori” di un lungometraggio non c’è un genere, una regia, una piccola sega mentale che tenga: ti piace e basta, tanto c’è sempre chi ne farà una recensione edotta, zeppa di riferimenti cinematografici strabilianti, con un sacco di vocaboli azzeccati. E, magari, bella fredda.

Qui, di freddo, c’è solo l’ambientazione. Il resto è costruito su una narrazione a più livelli, di certo usata in migliaia di altre situazioni: eppure la capacità di scrittura di Arthur Harari e Justine Triet (anche regista) fa quello che a sempre meno sceneggiatori riesce. Scrivere bene. Scrivere un bel film, complesso, emozionale, profondo.

Il resto, magari con fortuna, è fatto dagli attori, dalle scelte di inquadratura, dalla -pochissima -ottima scelta- musica. E’ costruito dai dialoghi (su tutti quello della lite precedente all’evento, in Inglese) e da come gli stessi riportino ad una quotidianità che diventa straniamento ed introspezione, violenza e perdono.

(ADUC2)

Il diavolo sta nei dettagli e “Anatomia di una caduta” ne è colmo: dalle espressioni del viso di ogni personaggio, all’uso di più lingue -straniante ed efficace-, alle aule di un tribunale riprese quasi sempre con “non luogo”, più un confessionale che imparziali spazi dove si dovrebbe amministrare la giustizia.

E’ un film lungo, come amo io lento, ponderato. Fateci caso: nella vita ci sono accelerazioni e quiete, momenti di improvvisa passione e lunghe distrazioni. Ci sono coloro che non sappiamo collocare e coloro che, più da vicino, non riusciamo lo stesso a comprendere appieno. Buio e luce. Più il buio, forse.

Lo dico con grande serenità. Se “Anatomia di una caduta”, in una improbabile corsa a due con “Io capitano”, vincesse ne sarei lieto. E’ un’opera più completa, compatta, più convincente e tutto questo sapendo che il film italiano ha moltissimi meriti. Questo non è dettato solo dal fatto che mi sono emozionato maggiormente con questa pellicola, ma esclusivamente di validità artistica.

Per fortuna, la mia è solo una delle infinite opinioni. Conta come tale. Sarebbe un piccolo peccato, però, non prestare a attenzione al vincitore della “Palma d’oro”. Non per il fatto in sé, che è ampiamente secondario, ma per dire di aver visto un ottimo film, sotto tutti moltissimi punti di vista. Come amo ripetere -sic-, mica poco, nel 2024. (D.)

#CBS #Film #Opinioni #Blog

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(145)

(Rafah)

Sfiancante. Questo è il termine. Credo che i quattro lettori di questo #Blog abbiano provato, io spesso, cosa significhi, nei fatti, questi parola. Sarà più probabile per chi ha collaboratori o responsabili inetti e menefreghisti. O quando, anche solo camminando, si nota la mancanza di educazione civica ormai dilagante. Alla fine, si cede per sfinimento.

E' quello che si prova dinnanzi a ciò che i più definiscono “rischio”, parlando del genocidio che #Israele perpetra, da qualche mese (nella realtà fattuale, da decenni), nei confronti del Popolo Israeliano a #Gaza. Tra poche ore, assai probabilmente, a #Rafah. Gran Bretagna, Francia, Cina e tanti altri stanno tentando di fermare, a parole, questo disastro che è già epocale.

L'inutilità di questi atti, più programmatici che altro, la leggiamo e la sentiamo quotidianamente ed è, appunto, sfiancante. Molto peggio è l'assoluta baldanza, il totale menefreghismo, la protervia Israeliana nel perseguire i propri scopi, che sono quelli di una pulizia etnica (va detto, va scritto). Le parole pesano, ma non come le bombe, come i morti.

(Rafah2)

Fregarsene di tutto e di tutti, ben sapendo che armi e sostegno morale arrivano in ogni caso, è la vera forza di uno come #Netanyahu: non fa più nemmeno “finta” di ascoltare. Anche tramite i Ministri del suo Governo, guerrafondai e profondamente inumani, perpetra una sorta di guerra psicologica che hanno già vinto i suoi predecessori.

Inermi, quasi volutamente, stiamo qui, a indignarci e a scagliare offese contro chi, bellamente, ha “colto al balzo” gli atti terroristici di #Hamas (che, qui, nessuno difende) per finire il lavoro. Tutto questo è sterile. La stessa volontà che si sta mettendo a difesa degli interessi economici nel #MarRosso, con armi e proclami, per #Rafah non è presa nemmeno lontanamente in considerazione.

Troppo rischioso, ed è vero. Con l'#Egitto difeso solo da una rete arrugginita, nessuno vuole fare un passo. Eppure la litania dei morti, che hanno un peso diverso a seconda di chi ne parla, ammonisce. Più questo, quasi nulla. Il vortice di una umanità selettiva grava su tutto il globo. Lezione inascoltata, destinata a finire sotto le macerie di #Rafah. Un luogo che ha tutti i nomi che volete.

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