[dell'intelligenza artificiale e del progresso della tecnologia]

Ci sono questi libri che ho con me dell'Enciclopedia della Fantascienza, di cui parlo spesso, lo xanadu del mio immaginario fantastico inizio anni ottanta, in cui si profila un mondo in cui il lavoro viene svolto alle macchine o dalle intelligenze artificiali lasciando tempo libero all'umanità di rilassarsi.

In realtà nella mia esperienza in campo lavorativo con macchine & informatica, l'aumento delle capacità di calcolo o di interazioni della macchina non ha mai aumentato di un minuto il mio tempo libero dal lavoro, anzi, in genere l'opposto.

Quello che è successo, finora, è che l'aumento di produttività di uno strumento informatico semplicemente aumentasse il ritmo di produzione: se prima in un'ora terminavo un lavoro, oggi ne termino dieci, magari con meno cura rispetto ad un tempo.

Ma il carico di lavoro mio è sempre restato immutato man mano che l'informatica diventava pervasiva e che occupava ogni spazio che mi circondava. Il sistema capitalista trasformava la possibilità di avere più prodotto in una realtà produttiva.

Quindi oggi capisco chi ha paura dell'intelligenza artificiale, in ambito di generazione immagini o nel campo delle traduzioni. Le difese di 'si creeranno nuovi posti di lavoro per chi saprà capire per primo le potenzialità di questi strumenti' sono vere, ma non consolatorie: i nuovi posti di lavoro saranno radicalmente diversi di quelli che verranno dismessi e – probabilmente – saranno meno e remunerati meno.

Anche questa volta l'Enciclopedia della fantascienza ci resterà male: l'intelligenza artificiale non salverà l'umanità dalla disoccupazione, dalla frenesia lavorativa e dall'abbassamento del punto di non ritorno tra benessere e sostentamento, ma verrà integrata e assorbita in un sistema economico produttivo che cercherà di trarre in massimo beneficio al minor costo possibile, come è sempre stato.

Di contro questo sistema funziona perché funziona. L'informatizzazione in questa sua frenesia nel produrre di più abbassando il più possibile i costi di produzione crea di fatto possibilità che un tempo erano impensabili. Se giochi al suo gioco il capitalismo informatico inizia a trasudare una sorta di democratizzazione di base.

Quando qualche anno fa lavoravo a quintadicopertina, nei primissimi mesi di lavoro in cui io e Elettra allestivamo il tutto, ero a un certo punto rimasto stupito del fatto che in qualche mese di lavoro un team di due persone avesse creato libri interattivi, messo su un sito online, uno store indipendente e avuto anche un discreto riscontro in termini di comunicazione online.

Nel corso dei primi anni lo stesso team di due persone avrebbe integrato i bitcoin, il pagamento via carta del docente, lavorato con la comunicazione video e social. Fare la stessa cosa solo qualche decennio prima avrebbe necessitato di una squadra e di risorse di ben altra portata.

Così oggi non posso non pensare che questo furto che le intelligenze artificiali hanno fatto a danno dei materiali di addestramento ha dato via a uno strumento generativo e creativo che è – potenzialmente – democratico. Posso interagire con linguaggio naturale con un software che restituisce informazioni, testo e immagini che un tempo non mi sarei potuto permettere.

Aumentano, ancora una volta, le possibilità di creare nuovi prodotti a costi, ancora una volta, più bassi rispetto a prima, accessibili a un pubblico molto più vasto.

Non è forse quello che volevamo fare da sempre, quando inserivamo i nostri comandi in BASIC sugli home computer a basso costo che entravano nelle nostre case?

Ma a scapito di chi?