Dopo qualche ora che siamo in spiaggia vado da mia madre e le dico, ok io faccio una passeggiata, lei annuisce, mi dà qualche raccomandazione sui posti dove non dovrei andare e dove dovrei invece andare mentre io mi metto la t-shirt e i pantaloncini e le ciabatte e la saluto e a passi lenti mi dirigo verso il budello in modo da abbandonare la spiaggia, i miei piedi sprofondano nella sabbia bollente, protetti appena dalla plastica delle ciabatte comprate alla STANDA.

A passi lenti e pensosi lascio il calore estivo della spiaggia, sento l'odore della mia pelle mescolato al mio odore di sudato mescolato agli strati di creme solari sotto alle quali – ancora – batte il mio cuore ragazzino. Torno in strada e mi dirigo verso Pietra Ligure.

Non ho alcun interesse ad andare a Pietra Ligure, nulla mi aspetta là. Da Borgio Verezzi a Pietra Ligure ci sono due o tre chilometri e questi chilometri sono occupati da una successione ininterrotta di stabilimenti balneari, gelaterie, bar, e in ognuno di questi posti, in ogni singolo esercente aperto per il pubblico – in questi magici anni ottanta che sto attraversando – c'è un videogioco. Almeno uno. La passeggiata tra Borgio e Pietra non è una vera passeggiata, è una completa mappatura di tutti i videogiochi presenti, a volte dentro al bar, a volte tenuti esternamente in grossi container di metallo verde, lunghi, a forma di parallelepipedo.

Di notte il parallelepipedo di metallo verde è chiuso e incatenato, di giorno viene aperto, viene liberata la quarta parete e noi ragazzini possiamo avvicinarci e toccarli. Se il tipo del bar si è dimenticato di accendere i giochi ci pensiamo noi, quasi tutti i cabinati hanno l'interruttore sul tetto, in alto a destra, e l'interruttore è di metallo, fatto a forma di bastoncino. Quando scatta si sente il rumore dell'elettronica e poi appaiono sullo schermo scritte strane, simboli, segnali che le ROM sono state caricate. E noi siamo lì a vedere tutto questo, a immaginare e a sognare. Io ne ho bisogno.

Io cammino in questa via crucis da Borgio a Pietra e poi da Pietra a Borgio passando – al ritorno – per la grossa via interna che – anche quella – è carica di locali, bar e quindi di videogiochi e mi segno mentalmente i videogiochi che ci sono. Alcuni sono giochi che conosco, a cui ho già giocato in città, ma altre volte trovo rarità introvabili, giochi di cui avevo solo sentito parlare o di cui avevo visto qualche povero porting per home computer. Kangaroo, Lady Bug, Out Run, Pengo, Rally X, Mr. Do.

Passeggiando da Borgio a Pietra entro in questa enorme biblioteca di gaming digitale, mi butto nel colori elettrici, guardo gli altri ragazzini che giocano, che sognano. Esco da Borgio, esco dalla Liguria, dall'Italia. Sono a contatto con un immaginario fantastico che mi trasporta lontanissimo, mi fa sentire una voce e un linguaggio nuovo che nemmeno gli spacciatori di quei videogame capiscono, i baristi che guardano le duecento lire che entrano nel cabinato e non si rendono conto che – monetina dopo monetina – c'è una generazione che li sta abbandonando, c'è una generazione che sta imparando una nuova lingua, nuove forme di divertimento, nuove forme di comunicare e sfidarsi e loro – che alla sera raccolgono quella pentola di monetine pronte per reificarli – ne sono tagliati inesorabilmente fuori.

[da “pécmèn”, Blonk editore, 2020]