Più tardi posto questo frammento di libro su mastodon e una persona mi scrive, bello, ma – scusami – non devi scrivere “cameriera orientale”, non è educato. Devi scrivere asiatica. Orientale presuppone comunque una visione in cui al centro di tutto c'è l'occidente: il mondo è tondo non c'è nessuno oriente e nessun occidente. Le spiego che il mio romanzo parla proprio di cosa significhi sentirsi occidentali oggi, e lei mi risponde che ragione di più, ragione di più per non usare certi termini. La ringrazio.

Non spero più nelle nuove generazioni, spero nelle nuove idee. Le nuove generazioni saranno come tutte le generazioni del passato, composte di persone con le loro turbe, i loro fantasmi, la pressione del mercato, quella sociale, con tutta l'architettura di valori che hanno succhiato dai loro genitori, chiunque essi fossero. Avranno comunque malattie, faranno errori – alcuni di loro – irreparabili, avranno desideri egoisti e superbi che porteranno avanti il mondo di un'unghia, come di revisioni e generosità inaudite. Saranno fantastici e orribili, come le ragazze e i ragazzi di tutte le generazioni prima di loro.

Diverso per le nuove idee, quelle sono come un virus. Sono trasversali, attecchiscono a qualsiasi età, rendono giovani i vecchi e anziani i ragazzini. Si impiantano senza costrutto nella testa delle persone e poi iniziano a costruire impianti, cercano simpatie; creano connessione, condivisioni. All'inizio sono niente poco più dell'aria ma poi ambiscono a diventare qualcosa di concreto, a mobilitare, a farsi organizzazione e norma. Le nuove idee possono essere devastanti, cambiare il paradigma di come le persone vedono il mondo, le cose che hanno attorno. Gli utensili, l'amore.

Spero nelle nuove idee, in alcune di loro, come – alla finestra del proprio appartamento nella propria palazzina occidentale, al caldo del proprio impianto di riscaldamento – si guarda fuori dalla finestra un ambiente urbano standard e si spera nel vento che non si vede, ma si sa che sta passando tra le strutture in cemento armato, invisibile e insonoro dietro alle finestre doppio vetro. Quelle che mi interessano, che mettono l'uomo al centro per la sua debolezza e alla periferia del mondo per la sua forza distruttiva e cieca, sono tra le più fragili. A volte il mercato se ne impossessa per qualche suo obiettivo, pronto a scaricarle per una nuova folgore del profitto e del privilegio.

In quelle spero quando le vedo emergere con rabbia e ostinazione in qualche frase, in qualche spilletta autoprodotta o in qualche t-shirt stropicciata dei miei figli. Anni fa ero da solo con mia figlia, terzogenita. Stava piagnucolando sul divano, non ricordo più per cosa. Aveva sette anni, lo so perché l'ho scritto su Facebook, ho controllato. Mi sono avvicinato a lei cercando goffamente di consolarla, “dai, non piagnucolare” le ho detto e – in un remoto angolo del mio cervello – è emerso il seguito standard della frase: 'come una femminuccia'. La cameriera orientale.

Abbiamo la testa piena di lemmi e frasario che ci impestano poi le azioni e che trasmettiamo alle nuove generazioni e che usiamo come ping con le vecchie. Ogni frase è un modo di vedere il mondo. Il nostro stesso vocabolario è un agglomerato di vecchie e nuove idee. Sono rimasto così, in bilico tra due ere, due culture. Poi ho riaperto la bocca e le ho detto, improvvisando, “non piagnucolare come un salice piangente. Non sei un albero. Sei una ragazza! Sei una femmina! Le femmine sono forti!” e le ho mostrato il pugno.

E lei aveva alzato la testa, ho scritto su Facebook, aveva tirato su con il naso e mi aveva detto “hai ragione papà” con gli occhi rossi che le brillavano.

[da “badaboom”, work in progress, appunti di ieri, stamattina e sei anni fa]