[cronache dalla scuola]

Io se fossi a capo di un mondo distopico, privo di principi e scrupoli, farei la scuola con due sezioni principali: la sezione “la buona e vecchia scuola come una volta” e la sezione “la scuola che manco i finlandesi”.

Nella prima tutto il meglio del magico quadrilattero del conservatorismo, tra Gramellini, la Mastrocola, Crepet, Galli della Loggia con una spruzzata di Galimberti e compagnia cantante: pedagogia dell'umiliazione, distanziamento sociale e umano tra docente e studente, cattedra messa sul rialzo di legno, scrittura in corsivo, scuola fortemente incentrata sui contenuti disciplinari, lezioni prevalentemente frontali, forte meritocrazia e valutazione solo in cifre per verifiche e interrogazioni misurative. Niente smartphone, uso essenziale del digitale e studio delle radici cristiane, eurocentriche e romane della Nazione. I docenti preparano con cura lo studente per l'esame di maturità.

Nella seconda classi aperte, scuola pomeridiana, niente voti, valutazioni formative e descrittive, lavori di realtà, sviluppo delle competenze, meglio se trasversali, byod, inclusione e valorizzazione del sostegno, rapporto “umano” tra docenti e studenti, aule per lavori prevalentemente collaborativi e dove si può fare casino, forte componente di didattica e conoscenza del digitale. Visione cosmopolita del mondo e studio trasversale costante della contemporaneità. A nessuno, docenti, studenti e genitori, importa un fico secco del voto con cui il ragazzo uscirà dalla maturità.

Poi uno sceglie.

Un'altra riforma della scuola che farei se fossi padrone del mondo è quella della secondaria superiore dove – dopo il biennio – ogni studente può presentare durante l'estate un “piano di studi” dove segnala il peso maggiore o minore che vuole dare alle materie del suo indirizzo, con un effettivo carico/scarico progressivo man mano che si procede verso la fine della secondaria.

Giravo due giorni fa per l'Università di Pavia, vedevo i manifestini dei corsi, laboratori e mi sarei messo lì e avrei ricominciato tutto. Perché, mi sono chiesto, perché l'Università – pur dura – è un posto in cui gli studenti si sbattono in maniera attiva, mentre la secondaria superiore sempre l'inferno della noia.

Non è solo questione di valutazione (che pure c'entra, e molto) ma anche perché all'Università studi cose che ti interessano. Alle secondarie no. Quanti studenti di quinta vedo a pochi mesi dalla maturità essere già con la testa nella facoltà, per dire, di psicologia, morire sotto esami di matematica o disegno tecnico che si caricano sulle spalle con tutto l'odio possibile per scaricare via tutto appena finita la maturità.

È uno spreco. Per il docente che si trova a cercare di spiegare cose a studenti a cui non frega di meno, e allo studente che è costretto a studiare approfonditamente discipline per cui – dopo cinque anni – ha capito non essere portato.

E la risposta non può essere il “reindirizzamento”, perché il reindirizzamento è in realtà un 'allontanamento'. La risposta dovrebbe essere un “ribilanciamento” delle discipline. Uno studente non è proprio portato per matematica ma è bravissimo in italiano? Non lo “reindirizzo”, ma calo il numero di ore di matematica e aumento il numero di ore di italiano (o l'opposto), senza allontanarlo, ma bilanciando il suo “piano di studi” a inizio anno.

Cose che – in altre nazioni – si fanno già da anni e che permettono agli studenti di approfondire le discipline nelle quali – anno dopo anno – si rendono conto di essere più portati. Ma la scuola italiana ha un sistema rigido, dove gli indirizzi sono impermeabili gli uni con gli altri e dove è lo studente che deve adattarsi ad una struttura disciplinare e didattica del tutto irrazionale, basata su “indirizzi” che sono il più delle volte improbabili nella loro struttura, decisi a livello ministeriale da gente che non vede cosa succede all'interno delle aule.