[cronache dalla scuola]

Attività di cinema in classe, siamo seduti per terra in cerchio davanti a una mappa simbolica del mondo e l'esperta che sta facendo la lezione chiede agli studenti del loro futuro: dove pensano di vivere da adulti e come si immaginano la Genova dei prossimi secoli.

E tre cose emergono. La prima è che la quasi totalità di loro non vede l'Italia nel proprio futuro felice. Non dico Genova, proprio l'Italia. Tutti sognano una vita distante dalla nazione dove sono nati.

La seconda è che sognano di vivere in posti che – se ci vivessero – significherebbe che ce l'hanno fatta. Hanno fatto i soldi. Dubai. Montecarlo. La felicità è completamente sovrapponibile al raggiungimento di una solidissima retribuzione economica.

La terza è che la propria soddisfazione capitalista è l'unica speranza possibile. Non c'è nessuna fiducia di un futuro collettivo e felice. Molti dicono che non hanno alcune intenzione di fare figli, perché il mondo è sull'orlo di un disastro. Hanno paura della guerra: per loro, non per i loro figli. Il clima è un problema reale ma nessun politico davvero ha interesse a risolverlo. Sono problemi che verranno davvero al pettine quando i politici di oggi saranno morti. E loro, gli studenti, non potranno fare niente. Anche dopo la scuola “noi non contiamo niente”. Una totale rassegnazione e sfiducia verso il progresso.

Alla domanda “Come vorresti la Genova del futuro?” uno studente ha risposto, “come è adesso, prima che il progresso la rovini del tutto”. Avevo davanti dei ragazzini di diciotto anni che parlavano come dei vecchi disillusi.