[cronache dalla scuola]

In quarta oggi proviamo a fare questo gioco di comitato che ho organizzato, rifacciamo dal vivo la prima giornata degli Stati Generali, Francia del millesettecento. È una attività che ho già fatto in passato con alterne fortune e la provo in una classe dove – in genere – è difficile trovare entusiasmo.

Sono stati divisi in gruppi, tre o quattro nel clero, tre o quattro nella nobiltà, il resto nel terzo stato, eccetto Luigi XVI e due funzionari che devono gestire la riunione degli stati generali, fare entrare nella sala del re i tre ordini, dare la parola per gli interventi eccetera.

La sala del re è la classe del cooperative learning.

Ogni studente la settimana scorsa si è preparato una scheda personaggio con un minimo background su chi dovrà interpretare e ogni ordine ha inviato via mail almeno una lettera per il cahiers de doléances che Luigi XVI ha letto a casa.

Io non faccio niente, assisto con la docente di sostegno. I funzionari allestiscono la sala, mettono i biglietti per indicare dove si siederà il clero, quelli per dove si siederanno i nobili e quelli per il terzo stato. La sedia comoda diventa il trono del re e piano piano fanno entrare tutti.

Luigi XVI fa un discorso, risponde alle lettere del cahiers de doléances e invita i tre ordini, separatamente a trovare una soluzione alla bancarotta dello stato francese, a presentarla di fronte agli altri e davanti al re. Ogni proposta si metterà ai voti e quella che otterrà più voti vincerà.

I tre gruppi discutono per venti minuti e alla fine il clero propone una sua soluzione, la nobiltà propone una sua soluzione e il terzo stato dice che si rifiuta di partecipare ai lavori finché non si voterà per testa invece che per ordine.

A quel punto il re ordina al terzo stato di andarsene, il terzo stato si rifiuta, minaccia il re. Luigi XVI allora delegittima gli Stati Generali e se ne va in un altra classe con il clero e la nobiltà: ma una parte della nobiltà e del clero decide di non seguire il re e di restare con il terzo stato che annuncia la nascita dell'assemblea costituente.

Ecco, per me vedere succedere queste cose, il terzo stato attorno a un tavolo discutere animatamente delle percentuali di rappresentanza di nobili e clero in un nascituro parlamento popolare, gli studenti che in genere stanno nella loro calma piatta animarsi per un dibattito irreale sulla nascita di una nuova costituzione francese, è stato qualcosa.

Qualcosa di fragile, ma illuminante.

Alla fine torna il re e – per farla breve – la rivoluzione viene sventata grazie ad un passaggio provvidenziale ad una monarchia costituzionale. Grosso applauso spontaneo al termine dell'attività e modulo google per autovalutazione.

Esco e vado in terza dove abbiamo iniziato ieri un laboratorio di scrittura creativa. Un racconto che – come Chichibio e la gru di Boccaccio – deve avere un elemento ironico, comico o inaspettato a fare da spannung.

Li porto tutti in aula informatica e iniziano a copiare sul computer quello che avevano scritto il giorno prima per poi continuarlo e ogni tanto uno mi chiama dicendo che loro hanno finito. Io mi avvicino, leggo.

“Era una mattina di giugno quando Marco mi chiama e mi dice di andare da lui”. Il racconto continua, estremamente stringato, elementi narrativi essenziali e un po' confusi.

Io leggo tutto e dico bravi. C'è una base per lavorare. Adesso trasformiamolo in racconto. Con il dito indico la parola “Marco”. Chi è questo Marco? Che voce ha al telefono quando ti chiama. Come si veste. Che rapporti ha con te. Prendete questo nome anonimo e trasformatelo in un personaggio.

Loro ascoltano tutto e poi si mettono lì e iniziano a editare, a cambiare quello che avevano scritto. Piano piano stanno scrivendo qualcosa che cambia.

Alla fine, gli faccio salvare tutto, condividere con il mio account, continueremo la settimana prossima. Torniamo in classe, ci sediamo, tutti prendono il libro di Paolo Nori, Bassotuba non c'è e nella mezz'ora successiva io declamo Nori, chiedo ogni tanto perché secondo loro Nori ha fatto questa scelta invece di quell'altra, insomma, si fanno le due. Escono.

Poi mi fermo con i colleghi, restiamo a discutere più di un'ora dei problemi dei ragazzi, di scelte didattiche, di cosa potrebbe o non potrebbe fare la scuola.

Quando esco, alle tre, pranzo saltato, penso che oggi non sono avanzato di una riga nella programmazione di inizio anno, ma sento come queste quattro ore siano di quelle che lasciano un piccolo, piccolo segno in una piccola piccola parte dei ragazzi che oggi erano in classe.

E che il mio lavoro è fatto di piccoli piccoli segni che spesso sembrano proprio invisibili.