La vita in famiglia è bellissima

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[bada-boom #Ù]

Quando arriviamo in Scandinavia mi rendo conto che la pandemia non esiste più. Nessuno porta mascherine, nessun disinfettante, addirittura in Norvegia nel supermercati non ci sono i guanti per prendere la frutta e la verdura. La civiltà è un po' come l'idea che ognuno di noi ha dell'igiene. Molto personale. David Foster Wallace aveva usato un paragone del genere, ma sicuramente più geniale. Incidentalmente mentre giriamo per la Norvegia sto leggendo La nube purpurea, un curioso libro di fantascienza degli inizi del '900 in cui si racconta di una intossicazione letale che uccide completamente, o quasi, l'umanità. E mentre sono a Jorpeland il libro racconta di come il protagonista arrivi a Stavenger, la città di fronte a noi, e la trovi piena di cadaveri. Tutto è morto, intossicato.

La nostra pandemia invece è come l'idea di guerra che racconta Celine. Anche se ci sei dentro non ti rendi conto di esserci. Ti sparano in pancia, dice, e tu pensi al fatto che devi cambiarti le scarpe che si sono sporcate. Non dice esattamente questo, ma il concetto è simile. Anche Zeno a un certo punto racconta una cosa del genere, quando parla della guerra. Sa che c'è la guerra, da qualche parte, ma non la vede davvero finché dei soldati non lo fermano per strada e gli fanno capire che quella strada, che lui percorreva per farsi una passeggiata, non è più percorribile. Lui insiste, cerca di far capire che deve raggiungere la famiglia che lo aspetta. E la risposta inizia a essere violenta. La guerra è arrivata davvero, come la pandemia, come la nuvola viola di Shiel. Non si passa più. Tutti i morti sono invisibili finché qualcuno non scoperchia le bare.

La guerra in Ucraina dopo e la pandemia prima hanno mostrato il pantano in cui è finita la rete. Sono stati due avvenimenti che hanno fatto letteralmente implodere i social network, li hanno trasformati in una parodia del digitale. Gli algoritmi che macinavano dati e creavano bolle per indurre a creare contenuti e che irradiavano sollecitazioni continue hanno lentamente ma inesorabilmente prodotto delle polarizzazioni sociali sempre più forti e radicate. Non che prima non ci fossero, ma la pandemia e la vaccinazione sono stati due catalizzatori importanti. La guerra in Ucraina è stato poi un processo che è scivolato su meccanismi ormai consolidati.

Ogni gruppo ha elaborato una strategia per continuare a divertirsi, a sentirsi utile. I thread, le discussioni infinite, i flame infuocati non sono andati avanti perché la gente è ignorante, ma perché è divertente stare in rete a litigare. È appagante, ti dà una ragione per promuovere le tue idee, ti aiuta a capire da che parte stare, ti spinge a cercare più informazioni per sostenere la tua tesi. La post-truth, la malinformazione, il debuking, i trollaggio, sono cose emozionanti. Danno adrenalina, non pensi ad altro, aspetti i commenti degli antagonisti e intanto elabori le possibili risposte che potresti dare. Tutta questa spazzatura con cui popoliamo i database on line è eccitante. Giustifica tutto il tempo che passiamo in rete.

Elettra ha scritto qualche tempo fa un libro sul disordine informativo, un libro molto bello che tutti dovrebbero leggere. Ha avuto questa idea di prendere la comunicazione dei social e andare a vedere quali strumenti retorici e quali fallacie della comunicazione la gente usa in maniera più o meno inconscia mentre discute in rete. Mentre leggevo le bozze, che gentilmente mi dava da controllare, ero impressionato nel ritrovare nelle discussioni che seguivo in rete tutte queste meccaniche che Elettra raccontava e che erano vecchie di secoli.

Dal mondo virtuale al mondo reale, questa polarizzazione è esondata: ogni tanto andando a scuola vedo sui muri simboli e slogan degli antivaccinisti. Una W cerchiata, le stampe delle foto prese in rete di gente morta per il vaccino. Dicono loro. Quello che caratterizza il linguaggio di ogni bolla è l'intransigenza, l'assolutismo, il sarcasmo dei partecipanti nei confronti di chi non la pensi esattamente come loro. Che siano per i vaccini, contro il nucleare, per l'Ucraina o contro le adozioni da parte degli omosessuali, quello che è un dato costante è la violenza verbale, la difesa estrema di una idea fatta, spesso, danneggiando le ragioni di chi la pensa in maniera opposta. Bullizzando, disprezzando.

La seconda cosa è la sfiducia. Le fonti crollano e si trascinano dietro l'autorevolezza. Nessuno è più autorevole. Se credi in qualcosa, da qualche parte troverai un documento, un esperto, un gruppo che sostiene quello che pensi tu. Non sei più solo contro il pensiero dominante. Ogni singolo pensiero è una legione, transnazionale, distribuita, antagonista, ma è una legione. Tutto è possibile, con tanto di pezze giustificative.

Da ragazzino usavo il computer al posto della televisione, pensavo che l'informazione, la cultura, nuovi linguaggi sarebbero passati dai computer soppiantando il messaggio piatto della televisione commerciale. Mi ritrovo invece oggi in un mondo dove la televisione commerciale è entrata nel computer, ha cambiato veste, si è distribuita. Un po' come l'agente Smith quando prende il posto di una persona nella matrice, in Matrix. La televisione ha mutato il suo aspetto, ha cambiato anche il suo linguaggio e si è fatta babele. Lo spirito di quella tv commerciale che era entrata in ballo negli anni ottanta andando a demolire l'autorevolezza delle reti uniche. La sua fame disperata di intrattenimento, di reclame, di consumatori.

Ora che sono a Jorpeland, in Norvegia, mi sorregge questa illusione datami dall'ignoranza. Sono lì seduto in un bar circondato da persone che parlano a bassa voce. Non capisco una parola del loro linguaggio, non so cosa stiano dicendo. E allora inizio a immaginarmelo: dal tono della voce, dalle espressioni del volto. E li faccio tutti più intelligenti. Potendomi inventare i dialoghi, tutti questi norvegesi stanno parlando di cose civili, di amore, di rispetto, di sociale. Tanto non capisco. Mi trovo in una nazione civilissima, perché me la sto inventando. L'ignoranza mi protegge dalle loro vere parole, dalle bolle in cui anche loro sono sicuramente finiti, dalle volgarità da bar, dai razzismi, dalle paure di cui – se le capissi – mi vergognerei uscendo fuori all'aria aperta.