Fattoria Mallory game design: visual novel vs altra roba

Come promesso, voglio fare un piccolo documento di game design per capire cosa fare del gioco intitolato “Fattoria Mallory” ma anche per ragionare pigramente e piacevolmente sul game design stesso e sulle grandi questioni della vita che esso immancabilmente coinvolge.

Occorre perciò capire il punto di partenza da cui si muovono i primi passi, la genesi o origine di quanto già fatto. Questo è lo scopo del post odierno.

Narrativa, questa sconosciuta

Innanzitutto diciamo che l'idea era di usare Renpy per le sue possibilità in termini narrativi ma che mettersi a scrivere una visual novel mi era sembrata un'impresa improba fin dal principio. Ciò per due motivi: mancanza di tempo e mancanza di ispirazione adeguata. Col primo motivo ci si può fare i conti ma col secondo è un bel problema. A vent'anni mi sembrava che non avessi abbastanza tempo per partorire in una dozzina di vicende di fiction tutta la voglia che che avevo dentro di inanellare pagine di narrativa appassionata. Oggi è complicato. Complicato per varie ragioni ma la principale è che mi sono disabituato a leggere narrativa. E' una specie di muscolo disallenato... Vi confesso che per me è stata una questione che non ho lasciato passare sottogamba. Mi era ritornato in mente perfino un libro di psicologia che avevo trovato e letto da ragazzo nella biblioteca di mio fratello: lì c'era uno psichiatra che raccontava di un suo paziente pittore, il quale gli chiedeva di ridargli la sua facoltà di dipingere. Lo psichiatra gli rispondeva che forse la sua voglia di dipingere altro non era che l'espressione principe della sua natura nevrotica e quindi non era necessariamente un male il blocco creativo cui stava andando incontro. Credo che fu dopo aver letto quella cosa che cominciai a prendere la psicologia con le molle... Ad ogni modo, ho deciso di rimettermi a leggere qualche romanzo in più e questa estate ho completato “Jerry delle isole” di Jack London, un bel libro su cui ci sarebbe molto da dire e che avevo ricevuto (e mai letto) dal giorno della mia prima comunione. Ci sarebbe molto da dire, dicevo, ma non lo dirò perché andrei fuori tema. Tornando al tema, mi risolsi di bypassare la questione “blocco dello scrittore” con il classico espediente del programmatore: un bel ciclo. Ecco quindi l'idea dell'iterazione di giornate in cui ogni volta viene pescato un evento tra i tanti a disposizione. Pensavo di scriverne un centinaio, piccole parabolette inquietanti da poche righe, e pensavo che l'idea di spezzettare il mio compito principale in tanti minuscoli compiti da assolvere poco per volta mi avrebbe aiutato a tenere un certo ritmo di sviluppo. Ma mi sbagliavo. Perché la verità è che non si più completare e nemmeno cominciare nessun gioco finché non si ha ben chiara la struttura. E la struttura deve rispondere ad un unica domanda: qual è lo scopo del gioco?

Lo scopo

Qui è arrivata la prima definitiva presa di coscienza dell'impossibilità di fare un vero e proprio ibrido tra visual novel e X (dove X è qualche altro genere ancora non specificato in questa fase). Così ho cominciato a chiedere a me stesso lo scopo del gioco più adatto. In una visual novel, non c'è altro scopo che il suo svolgimento verso il finale. In un gioco con dei numeri da manipolare, non può esserci altro scopo che portare quei numeri a raggiungere i valori obiettivo dello stesso, evitando che nel frattempo essi raggiungano altri valori in grado di determinare invece il game over. Due concezioni opposte e sapevo che non avrei potuto sviluppare a dovere la prima per tutta una serie di questioni che ho spiegato pocanzi. Ecco allora che ho cominciato a pensare al mostro, al nemico, al villain. Quale altro obiettivo poteva esserci oltre che il portare a zero i suoi punti vita? Nessuno, mi son detto. Ma un sondaggio su Mastodon mi ha convinto a ritenere che sarebbe anche stato un po' troppo banale. O che quantomeno, come col sondaggio, era meglio lasciar scegliere. Così è nata l'idea dei quattro valori del mostro che era possibile attaccare per finire il gioco. Quattro valori come i quattro semi delle carte. L'idea del solitario era così dietro l'angolo.

Finisce qui la prima parte di questi ragionamenti oziosi sullo sviluppo della Fattoria Mallory. La prossima volta, se vorrete, entreremo più in dettaglio.

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